Così, come una sinfonia romantica
è divisa in quattro movimenti, anche lo spettacolo del “Brockenhaus” “La menta
sul pavimento”, andato in scena domenica 17 a Sansepolcro nell’Aula Magna di
Santa Chiara, segue in qualche modo uno schema analogo. Danza, mimo, musica e
poche parole sono stati gl’ingredienti di questo saggio drammaturgico.
Gli spettatori sono stati immessi
fin dal loro ingresso in sala all’interno della messa in scena, perché,
“accolti” dai due performers, portatori di una cassa di legno, quasi una bara,
che hanno obbligato gli astanti a passare sotto quell’arco formato dalla cassa
e dalle loro braccia. Tutti si sono messi seduti e lo spettacolo è cominciato
senza che i personaggi si trovassero ancora nella zona centrale di fronte allo
spettatore, perché, partendo dalla zona d’ingresso, a passo di danza frenetica,
solo in un secondo momento la scena si è spostata nella zona “canonica”, ed è
così che i due: un uomo e una donna, dipinti di bianco, con parrucche in testa
– parevano delle bambole – hanno continuato nel loro “carillon di balli
frenetici”, per poi dedicarsi a brillanti giochi mimici. Questo è il “primo
movimento”, che io definirei “Frenetico” e contestualizzato da una serie di
video, apparsi su un pannello posto sullo sfondo, che hanno fatto comprendere
la natura di questo racconto scenico. Il primo video è di retaggio fascista e
una voce fuori campo c’informa che chi farà un figlio avrà diritto a delle
agevolazioni statali, e che, se il bimbo sarà chiamato Benito, allora sarà
ancor meglio. Altro video apparso più volte è connotato da un’altra voce fuori
campo: “Signor Presidente, quale sarà il futuro dei nostri bambini?”, il
presidente non risponderà mai. Improvvisamente gli attori si spogliano dei loro
abiti rimanendo in indumenti intimi (metafora dell’atto amoroso) ed è ben
riuscito in questo caso il gioco scenico con l’unico elemento materiale della
scenografia: un grande tavolo di legno su cui gli attori danno vita a
figurazioni e a geometrici movimenti gestuali e mimici. Si arriva così a quello
che potrei definire “secondo movimento”, “Scherzo”, quando l’uomo e la donna si
cambiano dei loro abiti e diventano un chirurgo e una paziente in attesa di
parto, con tanto di camici verdi e cuffie da medico. In questo caso la donna si
trova dentro la cassa, ricoperta appunto dal telo, e da qui il chirurgo cerca
di svolgere in suo lavoro, che si delinea in modo comico e divertente, tanto è
vero che dalla cassa – quindi dal parto della donna – viene fuori di tutto,
tranne il bambino tanto cercato: una miriade di bambolotti neri, Topolino, una
corda di bandiere e un grande spago, tutte cose partorite dall’attrice, che in
questo frangente intona nota liriche. Da quest’aria di commedia si giunge però
improvvisamente ad una completamente diversa, che contrassegna il “terzo
movimento”, “Drammatico”, in cui l’uomo, non riuscendo a trovare nulla di sé
dentro la sua donna s’irrita a tal punto da dar luogo a degli scatti nervosi
che si agitano nell’intero spazio scenico. La donna in questo caso si comporta
come una femme fatale, che sembra disinteressarsi dello stato dell’attore,
tanto è vero che ella riappare, dopo una rapida uscita scenica, insieme a un
“pupazzo - personaggio”: un mostro dalla faccia di cavallo e vestito con un
mantello nero – la morte. Egli è forse l’amante della donna, tanto è vero che
insieme compiono una danza passionale e, poco dopo, lo stesso mostro serve
all’uomo un bicchiere di vino: il “bicchiere della morte”, che l’uomo berrà
dopo che la donna abbia cantato delle strofe terrifiche. Sarà il bere quel
“veleno” la sua fine, tanto è vero che egli cade a terra da sopra il tavolo
morto. L’ “ultimo movimento” è quello che io definisco “Lirico”, perché la
donna, presa forse dai sensi di colpa, va ad abbracciare e a coccolare il “suo
uomo”, che, dopo che sono stati proiettati dei melanconici video con foto di
bambini in bianco e nero ricoperte da foglie, si risveglia dal decesso danzando
con la sua donna. Si tratta forse solo di un ricordo di tempi felici? Non
saprei, ma queste danze liriche sentimentali segnano la fine di questo percorso
drammaturgico.Uno spettacolo sicuramente organico in cui si è distinta la
bravura dei costruttori dello messa in scena e degli attori: ottimi danzatori,
mimi e anche cantanti, ma è anche uno spettacolo il cui senso rimane in qualche
modo un mistero: si tratta forse di una invocazione al rispetto dell’infanzia? Può darsi; si tratta delle
difficili relazioni che intercorrono nell’odierna società tra uomo e donna,
dove la donna sembra avere preso il sopravvento? Può darsi; si tratta ancora
dell’inevitabilità di perdere la purezza dell’infanzia nell’età adulta? Può
darsi. Posso parlare allora di uno spettacolo molto piacevole a livello
estetico e tecnico – benché si possa osare ancora di più dal finale, la cui
forza non arriva come dovrebbe, trattandosi di una semplice danza di passaggio
da cui ci si aspetta uno sviluppo, ma non una chiusura – ma non posso dire
altrettanto dell’espressione dei contenuti, non per la loro inesistenza, ma per
il loro troppo caotico (ricercato?) pluralismo.
Stefano Duranti Poccetti (da ValdichianaOggi, 26 aprile 2011)
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