24 novembre, 2011

Il romanzo delle apparizioni Conversazione con la compagnia Teatro delle Apparizioni



Teatro delle Apparizioni. È solo il nome di una compagnia o anche un modo di fare teatro?
Fabrizio Pallara: Il Teatro delle Apparizioni è una poetica. L’obiettivo è l’incontro tra esseri umani attraverso un percorso di avvicinamento tra il pubblico e le persone che collaborano allo spettacolo.

Il pubblico diventa quindi attore nei vostri spettacoli?
F.P. : Il pubblico è uno degli attori dei nostri spettacoli, attraverso il coinvolgimento che passa per l’estetica della visione. Si vuole far sì che lo sguardo dello spettatore diventi drammaturgico.

È il teatro che viene dalla letteratura o è la letteratura che viene dal teatro? Come rispondete a questo?
Dario Garofalo: La letteratura è per noi fare un teatro che prevede un incontro, e la forma letteraria del romanzo si adatta a questo, perché nasce come popolare, come semplice e come qualcosa di facilmente condivisibile. Nella nostra ricerca abbiamo scoperto che certi romanzieri aiutano questo processo di più rispetto ad altri, soprattutto gli scrittori del 700’ o dell’800’, portano a una condivisione più semplice rispetto a certi autori contemporanei. Noi utilizziamo la letteratura come base di partenza, ma la pensiamo in termini teatrali.

Come fate uso dell’improvvisazione?
Federico Ferrandina: L’idea di questo lavoro fa riferimento al modo in cui improvvisa una jazz band. Un tema, che nel nostro caso è la narrazione del testo prescelto, è all’inizio esposto in modo chiaro. Piano piano si aggiungono gli altri strumenti ed è così che, delle volte, si giunge a una improvvisazione collettiva, a volte individuale.
F.P. : Così andiamo oltre, verso la terza dimensione del testo. La parte conclusiva dello spettacolo non è la fine del libro, non si può concludere il romanzo in uno spettacolo di un’ora. Si conclude l’incontro, il nostro incontro, con un finale aperto.
Paola Calogero: Aggiungerei anche il fatto che l’incontro è qualcosa d’imprevisto che provoca stupore. Non sappiamo niente neanche noi, prima dell’inizio, anche per noi è una sorpresa e una meraviglia.
F.P. : Siamo tutti lettori e questa è un po’ la chiave. Si tratta di libri che nel 99% dei casi non abbiamo mai letto e dunque siamo anche noi spettatori di quello che accade.
Sara Ferazzoli: Questa condizione genera in chi sta fuori la sensazione che anche tu potresti interagire. Tutto quello che vedi si svolge in quel momento per la prima volta e così ti mette nella condizione di essere più attento e ricettivo.

Qual è il vostro metodo di preparazione agli spettacoli?
F.P. : In dieci anni di spettacoli il Teatro delle apparizioni ha sempre attuato una modalità: la scrittura scenica, che prevede un punto di partenza, più o meno strutturato: un testo, un’idea, un incontro con delle persone. Il metodo lo sintetizziamo attraverso la scrittura scenica, ma, per me, a esempio, questo spettacolo nasce dall’incontro con Dario Garofalo e da un accostamento di due mondi differenti. Da lì poi l’incontro con Paola, Valerio e Federico. Incontri che portano a una sintesi che, per la prima volta, sento di dire, non nega il meccanismo di elaborazione dello spettacolo. Si vede in scena come è stato preparato con tutte le incomprensioni e con tutte le tensioni delle individualità interne: quanto più sono visibili quanto più lo spettacolo riesce.

Si può vivere con il teatro?
Valerio Malorni: Il teatro è ricerca di comunicazione e di scambio. Si può vivere laddove il teatro non viene inteso solo come teatro, come spettacolo, ma anche per tutte le cose che gli girano attorno. Economicamente io credo che si possa vivere di teatro.
F.P. : La domanda è complessa. Potrei dire sì, io vivo di teatro, ma va anche detto che il mio stile di vita ha a che fare con il fatto che io sopravvivo di teatro.

Stefano Duranti Poccetti (dal giornale del Kilowatt Festival, 31 luglio 2009)

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