Teatro
delle Apparizioni. È solo il nome di una compagnia o anche un modo di fare
teatro?
Fabrizio
Pallara: Il Teatro delle Apparizioni è una poetica. L’obiettivo è l’incontro
tra esseri umani attraverso un percorso di avvicinamento tra il pubblico e le
persone che collaborano allo spettacolo.
Il
pubblico diventa quindi attore nei vostri spettacoli?
F.P. :
Il pubblico è uno degli attori dei nostri spettacoli, attraverso il
coinvolgimento che passa per l’estetica della visione. Si vuole far sì che lo
sguardo dello spettatore diventi drammaturgico.
È il
teatro che viene dalla letteratura o è la letteratura che viene dal teatro?
Come rispondete a questo?
Dario
Garofalo: La letteratura è per noi fare un teatro che prevede un incontro, e la
forma letteraria del romanzo si adatta a questo, perché nasce come popolare,
come semplice e come qualcosa di facilmente condivisibile. Nella nostra ricerca
abbiamo scoperto che certi romanzieri aiutano questo processo di più rispetto
ad altri, soprattutto gli scrittori del 700’ o dell’800’, portano a una
condivisione più semplice rispetto a certi autori contemporanei. Noi
utilizziamo la letteratura come base di partenza, ma la pensiamo in termini
teatrali.
Come
fate uso dell’improvvisazione?
Federico
Ferrandina: L’idea di questo lavoro fa riferimento al modo in cui improvvisa
una jazz band. Un tema, che nel nostro caso è la narrazione del testo
prescelto, è all’inizio esposto in modo chiaro. Piano piano si aggiungono gli
altri strumenti ed è così che, delle volte, si giunge a una improvvisazione
collettiva, a volte individuale.
F.P. :
Così andiamo oltre, verso la terza dimensione del testo. La parte conclusiva
dello spettacolo non è la fine del libro, non si può concludere il romanzo in
uno spettacolo di un’ora. Si conclude l’incontro, il nostro incontro, con un
finale aperto.
Paola
Calogero: Aggiungerei anche il fatto che l’incontro è qualcosa d’imprevisto che
provoca stupore. Non sappiamo niente neanche noi, prima dell’inizio, anche per
noi è una sorpresa e una meraviglia.
F.P. :
Siamo tutti lettori e questa è un po’ la chiave. Si tratta di libri che nel 99%
dei casi non abbiamo mai letto e dunque siamo anche noi spettatori di quello
che accade.
Sara
Ferazzoli: Questa condizione genera in chi sta fuori la sensazione che anche tu
potresti interagire. Tutto quello che vedi si svolge in quel momento per la
prima volta e così ti mette nella condizione di essere più attento e ricettivo.
Qual è
il vostro metodo di preparazione agli spettacoli?
F.P. :
In dieci anni di spettacoli il Teatro delle apparizioni ha sempre attuato una
modalità: la scrittura scenica, che prevede un punto di partenza, più o meno
strutturato: un testo, un’idea, un incontro con delle persone. Il metodo lo
sintetizziamo attraverso la scrittura scenica, ma, per me, a esempio, questo
spettacolo nasce dall’incontro con Dario Garofalo e da un accostamento di due
mondi differenti. Da lì poi l’incontro con Paola, Valerio e Federico. Incontri
che portano a una sintesi che, per la prima volta, sento di dire, non nega il
meccanismo di elaborazione dello spettacolo. Si vede in scena come è stato
preparato con tutte le incomprensioni e con tutte le tensioni delle
individualità interne: quanto più sono visibili quanto più lo spettacolo riesce.
Si può
vivere con il teatro?
Valerio
Malorni: Il teatro è ricerca di comunicazione e di scambio. Si può vivere
laddove il teatro non viene inteso solo come teatro, come spettacolo, ma anche
per tutte le cose che gli girano attorno. Economicamente io credo che si possa
vivere di teatro.
F.P. :
La domanda è complessa. Potrei dire sì, io vivo di teatro, ma va anche detto
che il mio stile di vita ha a che fare con il fatto che io sopravvivo di
teatro.
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