Due uomini sul palco. Due voci,
due entità. Due forze che si contrappongono: la purezza e l’istinto più
selvaggio; la ragione e la pazzia; la razionalità e l’impulso naturale. Tutto
questo in un dialogo atto a comporre un quadro del malessere del vivere. Parlo
della piece teatrale “Insana Opera”, per la prima volta in scena e forse per
l’ultima. Si tratta di un pezzo di circa quaranta minuti, tratto liberamente –
stravolgendolo – Dal “Caligola” di Camus.
Ciro Gallorano – diplomato alla
Libera Accademia del Teatro di Arezzo - interpreta la personificazione di
quella parte della vita che ha ancora una speranza, che ha ancora una morale e
che cerca di ribellarsi alla bestialità, questa invece interpretata da Luca
Bisaccioni – ha studiato presso il Teatro Stabile di Genova - che di questo
spettacolo ha curato anche la regia. Una regia che, nella sua essenzialità, ha
colto nel segno, con un disegno luci semplice e con una scenografia
minimalista, composta praticamente solo da una sedia. Questo ha dato la
possibilità di concentrarsi sulla recitazione degli attori e di porre la
vicenda in un piano atemporale, dove non sono stati due uomini a confrontarsi,
ma due entità, due forze naturali, due filoni dell'umanità. Ben calibrati anche
i cambi scena e anche la lunghezza del testo, dove i concetti sono stati
espressi a dovere, senza inutili dilungamenti. La punteggiatura del ritmo
teatrale è stata perfettamente rispettata e tutti i punti e tutte le virgole
sono stati messi con precisione. Da annoverare, accanto a una regia riuscita,
la bravura degli attori, indispensabile a una messa in scena incentrata su
questa qualità. Mi ha impressionato soprattutto Ciro Gallorano, perfettamente
immedesimato nel suo ruolo, dove gli occhi gli si bagnavano nei momenti più
lirici e dove la sua tremante ansiosa gestualità entrava in sintonia con la
decadenza della sua parte. “Insana Opera” (già dal titolo si capisce il disagio
del contenuto), ricorda da vicino il mito letterario del Faust, dove il Diavolo
Mefistofele corrompe l’uomo puro e morale. Anche qui è così, con una eterna
lotta tra bene e male, ma di un bene vacillante, che contro il male non può
niente, e di un male, che forse una volta era stato il bene, mutato poi dalle
vicende della vita. Una lotta continua, un dialogo continuo, finito con la
morte: solo due colpi di pistola per dare un termine e un sollievo a due anime
arrugginite dalla vita, per porre universalmente una simbolica fine al bene e
al male.
Stefano Duranti Poccetti (da
ValdichianaOggi, 8 febbraio 2011)
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