Cosa ne
pensate di questa idea di affiancare a un gruppo di giuria esperta, i
Fiancheggiatori, un gruppo di giuria di non addetti ai lavori, i Visionari?
Roberto
Scappin: I Visionari sono molto più interessanti dei Fiancheggiatori. I Fiancheggiatori
hanno le loro nevrosi intellettuali, le loro manie, i loro pregiudizi, il loro
saggistico impegno nello sviluppare un percorso di pensiero che poi alla fine è
solo un residuo, è solo un penoso vortice di nulla. Invece i Visionari leggono
lo spettacolo con la loro semplicità. Ma va bene stare di fronte a entrambi, è
necessario ed è un meccanismo anche innovativo nel panorama del teatro.
Comunque c’è più un aspetto di delusione nei confronti dei Fiancheggiatori e
più un aspetto di simpatia per i Visionari.
All’incontro
è stato detto che nel vostro spettacolo s’individuano degli aspetti
cabarettistici. Cosa ne pensate? Sentite vostra questa affermazione?
Paola
Vannoni: Assolutamente no.
R. S.:
Sì sì, la sentiamo, io voglio fare il cabarettista! Come no, come no! Io vorrei
fare anche il cabarettista, ma non ci sono riuscito!
P. V.:
Siamo stati scartati a Zelig!
R. S.:
No, non è che siamo stati scartati, perché abbiamo fatto un provino, ci siamo
dimenticati tutto e abbiamo fatto venti minuti di silenzio ed è per questo che
non ci hanno preso. Così abbiamo ripiegato sul Kilowatt.
Ho
sentito nel vostro modo di fare teatro un tentativo di cercare di fare parlare
l’interiorità dell’uomo, la natura più profonda dell’uomo. È giusto?
P. V.:
Esatto, la natura più bassa dell’essere umano.
Quello
che tutti pensano, ma che non dicono, si può dire questo?
R. S.:
Sì, si può dire. C’è una chiesa qui in cui c’è scritto “Qui il silenzio non è
invocare il divino, è la presenza del divino” Solo che noi facciamo teatro,
creiamo un dialogo, cerchiamo di rappresentare qualcosa, un umano, un
post-umano, e nelle pause ci accorgiamo che veramente non c’è niente, c’è un
muro.
È
possibile vivere di teatro oggi?
R. S.:
Per i ruffiani sì. Noi personalmente non ce la facciamo e forse non vogliamo
neanche vivere di teatro. Non vogliamo chiedere l’elemosina dello stato.
P. V.:
Per vivere di teatro devi avere il passaporto da parte degli operatori che ti
sdoganano in qualche modo e quindi ti legittimano. Pensano di essere loro a
legittimarti a circuitare, come se questo fosse l’obiettivo di chi fa teatro,
ma non è sempre questo. Loro hanno un’idea commerciale del teatro, noi ne
abbiamo un’idea sentimentale.
Stefano
Duranti Poccetti (dal giornale del Kilowatt Festival, 25 luglio 2009)
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