Dal 31 maggio al 25 giugno, a Cortona, nel Centro espositivo di S. Agostino, si potranno ammirare le opere di un importante artista italiano. Sto parlando di Pier Augusto Breccia, nato a Trento il 12 aprile 1943, noto, non solo per la sua notevole attività artistica, ma anche per la professione di cardiochirurgo, che ha esercitato fino al 1985, anno in cui decise di dedicarsi esclusivamente alla pittura.
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È molto difficile la lettura di queste opere. Ci sono le citazioni di altri artisti, ma non bastano; ci sono la metafisica, il surrealismo, l’astrattismo, l’arcaismo …, ma tutto questo non basta per avere la giusta concezione della pittura di Breccia; potremmo parlare di una grande storia della storia dell’arte, ma anche questo non basterebbe per avere una visione completa dell’Arte brecciana.
Breccia va alla ricerca della verità, di una verità che si sprigiona attraverso il gioco, il mito, il logos. L’arte del pittore trentino è filosofica e anche questo termine non mi sembra appropriato per definirla. L’universalità è comunque il senso di tutto questo, l’universalità della verità. Ed è proprio questo il concetto della “pittura ermeneutica”, invenzione dello stesso artista: è un andare alla ricerca della verità attribuendo alla forma quella sostanza che nell’arco dei secoli aveva perso: il significato e il concetto. Sì, perché per Breccia la forma non può sottrarsi al significato e il significato alla forma ed è così che si giunge, attraverso un “riassunto dell’universo”, alla verità, all’ essenza, alla profondità delle cose, senza peraltro mai cadere nell’oggettivismo, ma lasciando all’individualità di ognuno di perdersi in questo universo. La cosa incredibile è come tutto questo ci risulti da una parte così chiaramente comprensibile, mentre dall’altra così chiaramente incomprensibile, ed è per questo che da una parte ci troviamo estraniati e dall’altra immedesimati davanti a questo meraviglioso e mistico “mondo dei balocchi”.
Stefano Duranti Poccetti
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