31 dicembre, 2011

Preferiamo piangere sulla qualità che ridere sul disgusto

Buone notizie per chi ama l'Arte di qualità - quella con la "A" maiuscola - come il "Corriere dello Spettacolo". Per la prima volta, dopo un bel po' di anni, cadono due pilastri d'incassi: "Il grande fratello" e il cine-panettone "Vacanze di Natale a Cortina". Flop per entrambi: le persone si stanno rendendo conto che "Il grande fratello", come la maggioranza dei programmi tv, è soltanto un copione mal scritto: senza realtà, senza qualità; il cine-panettone, lo si sa, non è un film di qualità, anzi, tutt'altro ... e gli spettatori l'hanno sempre saputo, ma, se prima si sedevano sulle poltrone dei cinema per vederne la proiezione, adesso sembra che comincino a esserne disgustati - finalmente, aggiungo. 
Questo momento doveva prima o poi giungere, lo si sapeva, e arriva proprio in prossimità della nostra crisi economica. Proprio vero è che nel dolore si ritrova la spiritualità, perché nel dolore si riflette e non ci va più di ridere sul vuoto, non ci va più di ridere sul non senso; preferiamo piangere sulla qualità che ridere sul disgusto.


Stefano Duranti Poccetti

29 dicembre, 2011

"La vedova allegra" e "Cin ci Là". Due operette al Signorelli di Cortona

Teatro Signorelli di Cortona
27 e 28 dicembre 2011
"La vedova allegra" e "Cin ci Là"
con Umberto Scida, Elena D’Angelo e Armando Carini. Regia Umberto Scida (Compagnia Italiana Operette)


Elena D'Angelo in "La vedova allegra"
Due trame: quella di Danilo e Anna che si amano, ma che non vogliono esprimersi il loro amore, almeno fino alla fine, quando, potendo finalmente sposarsi, coroneranno la loro unione, evitando anche così il trasferimento di 100 milioni di dollari, che avrebbero causato una grave crisi economica; l'altra è la storia della principessa Myosotis e della sua tristezza dovuta a doversi sposare con Ciclamino: le nozze infatti porteranno alla fine dei divertimenti per entrambi. Per fortuna giunge in città l'attrice francese Cin ci Là, che  con la sua allegria e spensieratezza riesce a portare i due giovani felici alle nozze.
Si tratta de "La vedova e allegra" di Franz Lehar e di "Cin ci Là" di Carlo Lombardo, due famosissime pièce portate a Cortona da un gruppo di attori oramai molto esperti del genere, che riescono a creare quella caratteristica che l'operetta pretende: la stereotipicità e l'a-psicologia dei personaggi. 
Cin ci Là
L'operetta è un genere che è stato molto in voga nell' Ottocento e il suo misto di musica, recitazione e canto è sempre piaciuto al pubblico, se poi accompagnato da trame giocose e divertenti. 

Uno spettacolo di certo senza troppe pretese la cui unica intenzione è di mettere gli spettatori a proprio agio, così per questo genere è sempre stato e così sempre è e sempre sarà.

Stefano Duranti Poccetti

26 dicembre, 2011

"Dall'altra parte". La malattia della Diversità


Dall'altra parte
Idea e sceneggiatura di Antonio Castaldo
Regia di Antonio Castaldo e Pierfrancesco Bigazzi
Fotografia di Rossano Dalla Barba
con Eleonora Angioletti, Ciro Gallorano, Biga Ion, Piero Matteini e Umberto Rossi

Antonio Castaldo
Un ragazzo (Ciro Gallorano) si muove lungo un viale. Si sente disperato, malato! Ma di cosa? Della Diversità. Quella diversità che è ancora più pesante di un male fisico o psicologico: la diversità è un malessere ancora più profondo e "astratto". Si muove, cammina con passo tranquillo/ansioso e, lungo il percorso, entra in contatto con una serie di visioni: un omosessuale (Biga Ion) seduto su di una panchina, un vecchio (Piero Matteini), una ragazza (Eleonora Angioletti), che lo guarda con occhi profondi; si scontra poi con una massa di persone che, correndogli addosso, quasi lo sovrasta. Una serie di visioni, una serie d'incontri che alimentano l'angoscia del personaggio che, alla fine, dopo un climax ascendente di sfogo, si trova al telefono per spiegare ancora il suo malessere, un malessere che però, finalmente, saprà superare: potrà finalmente vivere con la sua diversità!
Dall'altra parte
Questo è "Dall'altra parte" - proprio perché alla fine solo il saper riconoscere la propria diversità ci porta verso la salvezza - di Antonio Castaldo, un cortometraggio presentato mercoledì 21 dicembre al "Cinema Eden" di Arezzo in occasione della rassegna "Invisibili". Il corto è girato quasi interamente in bianco e nero e, solo nel finale, in cui il protagonista riesce a impossessarsi della sua vita e della sua diversità, il video simbolicamente si colora. "La paura rende prigioniero, la speranza può renderti libero": la scritta di apertura che appare sullo schermo, poi, dopo alcune immagini iniziali introduttive, il corto entra nel vivo, quando vediamo Ciro Gallorano camminare lungo il detto  viale - si tratta di quello della Facoltà universitaria di Lettere e Filosofia di Arezzo. Le immagini scorrono e nel sottofondo sentiamo la voce narrante dello stesso attore che con un monologo di grande intensità poetica e psicologica ci parla della sua condizione di "inetto", fino ad arrivare al punto della chiamata, dove termina la narrazione fuori-campo, mentre vediamo e sentiamo l'attore parlare al telefono cellulare, quando si è definitivamente svincolato dalle prigioni delle sue paure per liberarsi grazie alla speranza.
Questo è il primo lavoro cinematografico di Antonio Castaldo - regista nato a Napoli ma residente ad Arezzo - di cui già s'intuiscono le grandi capacità tecniche e, soprattutto, la facilità di trasporre i propri concetti interiori all'interno di uno schermo. Castaldo ha già altri ambiziosi progetti per il futuro e se continuerà su questa linea farà sicuramente molta strada.

Stefano Duranti Poccetti



24 dicembre, 2011

“I 4 musicanti di Brema”. Un asino, un cane, un gatto e un gallo fanno la storia del Rock And Roll!


Un asino, un cane, un gatto e un gallo sono i protagonisti di una delle più belle favole di tutti i tempi: “I musicanti di Brema”, dei fratelli Grimm.
In occasione del Festival di teatro per ragazzi “Briciole di Fiabe” – al Teatro Pietro Aretino di Arezzo -, la compagnia NATA Teatro ha portato in scena uno spettacolo – che oramai nel loro repertorio da tempo – che si riferisce appunto a questa fiaba. Si tratta de “I 4 musicanti di Brema”, con Livio Valenti, nei panni dell’asino, e con la regia di Andrea Vitali, che attualizza la storia portandola ai tempi del Rock And Roll.
Un asino è fatto troppo vecchio per lavorare e, capendo l’intenzione del padrone di volerlo uccidere, scappa via verso Brema, dove vuole diventare un musicista. Lungo il tragitto incontra anche un vecchio cane da caccia scappato di casa, un gatto diventato inutile alla padrona e un gallo a cui sta per essere tirato il collo, che, invogliati dalla proposta dell’asino di diventare musicisti, lo seguono con entusiasmo. Mentre viaggiano scorgono una casa piena di cibi e di vivande in cui stanno dentro tre briganti, e decidono d’impossessarsi della casa tramite uno stratagemma; una volta conquistata e mandati in fuga i briganti, i quattro animali mangiano per poi addormentarsi e, anche quando uno dei briganti tornerà all’abitazione, sapranno ancora spaventarlo così tanto a morte da fare loro cambiare meta. Alla fine, finalmente, l’asino, il cane, il gatto e il gallo riescono a dare il loro concerto, che ha un grande successo.
Lo scenario è composto da una grande struttura al centro della scena, come una “scatola magica” da cui si può attingere tutti gli elementi per la creazione dello spettacolo. L’uso delle musiche è molto suggestivo, dove si sentono durante la rappresentazione i pezzi più celebri della stagione del Rock And Roll. Livio Valenti è molto bravo a tenere la scena e a fare divertire i bambini inglobandoli nel fantastico mondo della fiaba e della musica, e sono proprio i bambini i veri protagonisti dello spettacolo; protagonisti per caso; protagonisti scelti dalla platea dall’ “asino” e che diventano sul palcoscenico un cane che fa “bau!”, un gatto che fa “miao!” e un gallo che fa “chicchirichì!”.
Una messa in scena molto piacevole – capace di attirare su di sé l’attenzione dei bimbi, cosa che per il teatro per ragazzi è di certo la più importante - non solo dal punto di vista di un bambino, ma anche da quello di un adulto.  

Stefano Duranti Poccetti

22 dicembre, 2011

"Cuore di cactus". Partire o restare?


Martedi' 20 dicembre
Teatro Pietro Aretino di Arezzo
"Cuore di Cactus"
di Antonio Calabrò
con Fausto Russo Alesi
Regia e drammaturgia di Fausto Russo Alesi
Composizione ed esecuzione musiche di Giovanni Vitaletti
Assistente alla regia Maria Pilar Pérez Aspa

Lo spettacolo nasce dal libro omonimo di Antonio Calabrò (scrittore, giornalista e ora top manager del gruppo Pirelli) dove viene raccontata Palermo e la Sicilia attraverso le pagine di un piccolo grande giornale ( come lo chiama Calabrò ) L’Ora.
Il giornale dell’antimafia dove Calabrò ha lavorato fino a metà degli anni 80.
Fausto Russo Alessi ci guida all’interno della Palermo di Calabrò che con il passare dei minuti diventa anche quella della sua giovinezza.
Per quelle strade riecheggia prepotente una domanda: partire o restare?
(Una domanda che ancora oggi tormenta molti ragazzi non solo del Sud Italia).
Indossare un paio d’ali per volare in un cielo che ci sembra sempre troppo piccolo o restare e non arrendersi alla violenza e alle barbarie della mafia.
Calabrò vuole restare, si attacca pieno di speranza alla sua terra e usa le parole per combattere la sua battaglia. Con il passare del tempo i nemici si fanno sempre più forti e la paura rende silenzioso e inerme un popolo che abbandona i suoi eroi.
“I servitori dello Stato" cadono uno dopo l’altro, ci si conta durante i funerali con la paura di essere il prossimo. Tutto crolla con la morte di Antonino (Ninni) Cassarà commissario e poi vice questore aggiunto della Procura di Palermo. Troppo dolore per un “uomo" solo che decide di indossare le ali e volare verso Milano.
Un generoso Fausto Russo Alessi rievoca con precisione tutti i punti di questo viaggio, accompagnato magistralmente da Giovanni Vitaletti al piano. Un ulteriore conferma della sua bravura (nonostante una visibile influenza che lo tormenta per tutto lo spettacolo) portando sul palco la bellezza di una Palermo che non vuole essere solo mafia ma cultura e speranza di cambiamento. Una prova attoriale che diventa straordinaria quando descrive il fiume di sangue che attraversa Palermo negli anni ottanta e il funerale dell’amico Ninni.
Anche questa volta il pubblico aretino è rimasto vergognosamente a casa lasciando la piccola platea semi vuota. Per vedere un vero teatro ad Arezzo non mancano solo i soldi…

Michele Squillace

21 dicembre, 2011

“Penthesilea”. “Dolci baci – denti mordaci – ecco la rima”

“Penthesilea” di Heinrich von Kleist (1777 - 1811), è un atto unico teatrale scritto nel 1808, in cui la Passione è la vera protagonista; la Passione con la “A” maiuscola, proprio quella che, arrivata al suo apice, diventa una Guerra, che mette in conflitto Eros e Tanatos.
Heinrich von Kleist (1777 - 1811)
Pentesilea (come traduciamo in Italia) è la regina delle Amazzoni, le mitiche vergini guerriere, che attraverso le guerre fanno gli uomini prigionieri, perché ciascuna trovi il suo amante. Il tutto è ambientato al tempo della Guerra di Troia, che vede scontrarsi greci contro troiani. La regina si innamora perdutamente di Achille e, volendolo a tutti costi, distoglie i greci dalle loro battaglie per la riconquista di Elena, provocando invece una guerra per la conquista di Achille, una distruzione fatta solo per avere lui, senza nessun altro proposito e che quindi desta la disapprovazione anche delle altre Amazzoni. Anche l’eroe greco s’innamora di Pentesilea, tanto è vero che, nel finale, decide di farsi catturare volontariamente dalla regina durante un combattimento frontale (perché la legge delle Amazzoni vuole che si venga alla conquista tramite la guerra), ma qui Pentesilea, avendo tra le mani il suo amore – i due si erano già confessati il loro amore reciproco prima – lo uccide divorandolo e, poco dopo, muore lei stessa, di Amore.
Un finale molto curdo che mette in risalto la violenza a cui può arrivare il sentimento amoroso, tant’è vero che Pentesilea aveva solo l’intenzione di baciare Achille, ma, presa da un sentimento forte e accecante, lo uccide; uccide il suo più grande Amore e il più grande guerriero di tutti i tempi, morto anch’egli per amore. L’Amore può uccidere chiunque: “Dolci baci – denti mordaci – ecco la rima”, dice Pentesilea, che ha trovato la frase che accompagna la vita di ogni uomo. Evidenti anche in questo testo il forte protagonismo e la forte emancipazione femminile, che fanno le donne vincitrici sugli uomini, una vittoria comunque molto triste e cruda, così tanto da portare al suicidio della donna “per metà Furia e metà Grazia”, che tanto sembra certa dei suoi sentimenti: “Lasciate che io faccia quanto ho deciso. Il fiume che dal monte precipita potresti fermarlo, non il tracollo del mio cuore”.

Stefano Duranti Poccetti

19 dicembre, 2011

"A morning in Cortona", la sonata di Nobuyuki Tsujii per Cortona

Per un caso puramente fortuito sono venuto a conoscenza di una cosa che ritengo molto importante: M. L. Liu è un americano che abita in Giappone ed è creatore di una pagina-fan (Nobufans) di Facebook dedicata al grande pianista giapponese Nobuyuki Tsujii - chi si ricorda saprà che questo grande artista ha suonato a Cortona in occasione del Tuscan Sun Festival 2010. 
Il gentilissimo M. L. Liu mi ha messo a conoscenza che il pianista è rimasto così colpito da Cortona da scrivere per la "Città del silenzio" una piccola sonata: "A morning in Cortona" ("Una mattina a Cortona"), di cui propongo una versione da Youtube, e mi è stato anche riferito che nell'agosto passato è stato anche inciso un cd per questa melodia. Questa musica sembra che sia diventata veramente molto celebre in Giappone, anche perché si tratta di una piacevolissima composizione.



Si nota che Nobuyuki Tsujii, benché per molti compositori il periodo della tonalità fluida e romantica sia passato, non rinuncia all'armonia del brano. Questa melodia è così delicata, onomatopeica, dolce. Il tema portante - arricchito da preziosi trilli acuti - è completo e aulico e, attraverso una serie di variazioni, ci porta, cullandoci, nella dimensione sognatrice del pianista giapponese. Un tema che resta impresso e che si ricorda e, nonostante la brevità del piccolo pezzo, l'intensità emotiva è veramente forte, forte senza essere petulante. Le scale corrono via con fluidità e noi non possiamo fare altro che perderci in questo immenso.
Inutile è spendere parole sul pianismo di questo artista, sempre chiaro, sempre pulito, con un uso del pedale perfetto.

Per Cortona è questo un grande onore, perché, dopo i tanti altri grandi personaggi che hanno parlato della città etrusca attraverso i diversi linguaggi dell'Arte, questo è un ultimo - per ora - tassello che si aggiunge e che regala a Cortona una bellissima colonna sonora, che accompagna la storia e la poeticità delle sue mura.

Stefano Duranti Poccetti

17 dicembre, 2011

"Stazione Pirandello, nuntereggae più", troppi viaggi per fermarsi a riflettere

Giovedì 15 dicembre 2011
Teatro Verdi Monte San Savino
Tratto dalle opere di Luigi Pirandello
con Sabrina Dodaro, Toni Allotta, Irma Ciaramella, Gabriele Linari
Regia di Gino Auriuso

Il treno ha fischiato… il dolce suono delle parole di Pirandello, ogni volta una riscoperta e una gioia per le nostre povere orecchie inquinate dalle banalità degli scrittori contemporanei.
Il treno della fantasia ci porta in un viaggio attraverso il mondo dell’autore siciliano: macchinista d’eccezione la follia.
I quattro attori, le quattro ombre sul palco, disegnano la follia come strumento di fuga dalla realtà guidandoci con efficacia attraverso le vite di Vitangelo Moscarda, Ciampa, le Donne (dalla Favola del figlio cambiato), Cotrone ed Enrico IV dove si ritaglia una nota di merito il bravissimo Gabriele Linari.
Tutto finisce con la consapevolezza del povero Belluca che dal suo treno ritorna alla sua vita di tutti giorni, concedendosi ogni tanto qualche viaggio con la mente.
Gli attori funzionano riuscendo anche a sopperire al triste impatto di un teatro vuoto (avrebbero meritato un pubblico più numeroso) e le musiche di Rino Gaetano sottolineano perfettamente i caratteri assurdi dei personaggi.
Lo spettacolo non è riuscito a convincermi fino in fondo: mi è parso uno di quei viaggi organizzati che ti costringono a fare troppe tappe in poco tempo e non riesci a goderti appieno la bellezza dell’esplorazione.
Questo treno si compiace un po’ troppo dei binari dorati tracciati da Pirandello e non trova delle stazioni dove meditare sul viaggio.

Michele Squillace

15 dicembre, 2011

"Art" o tre amici in conflitto per un quadro bianco a linee bianche

Teatro Signorelli di Cortona
Lunedì 12 dicembre 2011



Protagonista: un quadro bianco con delle linee tracciate bianche, su cui si apre la discussione tra tre amici, una discussione che diventa un conflitto e che rischia di portare alla rottura della loro amicizia. 
da sinistra: Alessio Boni, Alessandro Haber e Gigio Alberti
Serge (Alessio Boni) è un uomo facoltoso e amante dell'arte contemporanea ed è per questo che compra per 200.000 Euro il quadro in questione, attribuito a un famoso pittore; Marc (Gigio Alberti) è invece un artista figurativo e non capisce come il suo amico abbia potuto sprecare tanto denaro per quello che definisce "una merda bianca". Così i due finiscono con entrare in conflitto tra loro, mentre il terzo amico: Yvan (Alessandro Haber) è il più fragile dei tre e avendo paura di tirare fuori le proprie idee asseconda quelle degli altri due, facendo però in modo che il conflitto diventi ancora più ampio. L'arte diventa allora una cosa molto seria, se per causa sua un'amicizia rischia di rompersi, e, non per questo, il titolo del testo di Yasmina Reza è proprio "Art", dove l'arte è il tema portante di tutta la vicenda, sviluppata dalla scrittrice francese con un grande acume psicologico, visto che sul finire si scopre che la tensione non è provocata da quel semplice quadro, ma da delle vicissitudini passate delle vite dei personaggi. Si scopre così che l'astio che Marc prova per George deriva dal fatto di essersi sentito un tempo adorato da lui, in quanto diverso da tutti, e di avere visto a un certo punto in George l'intenzione di imitare il suo carattere, volendo sembrare lui l'originale e l'alternativo. Yvan si porta invece dietro i suoi problemi di coppia, sta infatti sposare una ragazza che non vuole veramente e la sua ansia contamina anche gli altri due amici. La pièce si conclude quando George, per provare la sua fedeltà di amico, dà il permesso a Marc di sporcare il quadro bianco con un pennarello verde. Dopo che Marc ha modificato l'opera i tre riescono finalmente ad andare a cena insieme, uniti come una volta, per poi tornare a casa e ripulire la tela per ridarle il suo colore originario.
Art
La regia di Giampiero Solari ci propone una scenografia minimalista con atmosfere che sfiorano il teatro dell'assurdo, dove la recitazione dei personaggi sembra a tratti incatenata dentro sé stessa, come imprigionata dentro a una parola che si vuole dire ma non si può. Anche lo scenario - la casa - dà sempre l'idea di chiusura verso il mondo esterno, un'angosciosa aria caustrofobica  che rende questo dramma - quasi una commedia - una tragi-commedia. 


Il testo di Jasmina Reza finisce qui, dove inizia un particolare epilogo creato dai tre attori protagonisti, che per raccogliere i fondi a favore di AIMA (Associazione Italiana Malati Alzheimer), accompagnano alla rappresentazione dell'opera l'asta dello stesso quadro. Così Alessio Boni si presta a valletta della situazione, mentre Gigio Alberti tiene il quadro e Alessandro Haber si diletta a divertire il pubblico. L'asta parte da 50 Euro e quando si arriva a 200 sembra tutto finito, quando, a un certo punto, si sente gridare su un palco: "300!". "1 - 2 - 3. Asta aggiudicata!". A dire il vero sono infine stati dati due quadri, che i due ferventi compratori si sono divisi equamente (non viene dato il quadro di scena, ma una versione più piccola e praticabile). Forse qualcun altro non avrebbe descritto l'epilogo con l'asta, ma io sì, perché per me anche questa brillante trovata fa parte, a pieno titolo, dello spettacolo.

Una volta terminato il tutto sono stato sicuro fin da subito che gli attori avessero fatto un'ottima interpretazione; avevo invece dei dubbi sul testo e sul meccanismo dello spettacolo, dei dubbi che però non riuscivo a chiarirmi. Tornando a casa mi sono sentito addirittura angosciato e ho capito che il dramma aveva avuto su di me un tale impatto psicologico che ne ero rimasto scosso. Evidentemente, se questo è accaduto, la messa in scena ha espresso perfettamente la sua profondità psicologica, un realismo che la mia anima ha colto prima ancora di me.

Stefano Duranti Poccetti





13 dicembre, 2011

“Giocare con la musica”, un libro incredibile


“Sin da quando cominciammo a trasmettere alla televisione gli “Young People’s Concerts” della New York Philharmonic, nel 1958, il pubblico espresse il desiderio che quel programma continuasse. Questo libro illustrato è semplicemente un modo per venire incontro a queste numerose richieste”.

Questo è l’inizio della prefazione di quel bellissimo libro che il maestro Leonard Bernstein (1918 - 1990) scrisse per avvicinare i più giovani e i più inesperti alla musica classica. Si tratta di quel volume che in Italia è stato tradotto con il titolo di “Giocare con la musica” (pubblicato da Excelsior 1881), mentre il suo titolo originale era “Leonard Bernstein’s Young People’s Concerts”, proprio perché doveva essere la coronazione del programma televisivo presentato dallo stesso compositore - strumentista, direttore d’orchestra - “Young People Concerts” (1958 - 1972), in cui venivano fatte delle lezioni di musica accompagnate da esempi musicali suonati dall’orchestra di New York.
È un libro incredibile, se mi permettete che io possa definirlo così, perché spiega la musica meglio di molti di quei manuali che fanno dell’arte musicale una mera amalgama di tecnicismi. Bernstein ci parla di tutto, partendo da “Che cos’è la Musica?”, arrivando fino a parlarci di temi monografici, trattando per esempio la “Sinfonia Fantastica” di Berlioz e la musica nazionale di Sibelius. Lungo questo percorso ci insegna cosa siano gli intervalli, le scale, i modi, tutto quello insomma che serve alla comprensione di questa materia, che Bernstein credeva sia stata fatta diventare molto difficile da capire, quando in realtà è molto semplice, tanto è vero che scrisse un libro che tratta la musica come un gioco appunto, esprimendosi con un tono colloquiale e divertente – paragonando per esempio un concerto a una squadra di football – e allegando alle pagine scritte anche dei disegni, anche questi per lo più scherzosi, e, anche quando parla dell’impressionismo di Debussy, non esita a paragonare la sua musica simile ai dipinti di Monet, mostrandoceli disegnati sulla carta stampata.
Leonard Bernestein in una puntata dei "Young people's concerts"
Io credo che tutti i giovani (e non solo) che si vogliono interessare seriamente alla Musica dovrebbero leggere queste pagine e quelli che hanno intenzione d’imparare uno strumento dovrebbero affiancare la lettura di un metodo a questo libro, che non solo ci insegna la tecnica della Musica, ma anche la sua profonda comprensione immaginativa che Bernstein esemplifica tramite la stesura di parti di spartiti musicali, invitando le persone ad ascoltarle comprando i cd – al giorno di oggi abbiamo i Social Network, e sopra a tutti, in questo caso, Youtube; sarà allora ancora più facile per noi abbinare la lettura del libro all’ascolto dei brani proposti e sapendo questo penso che anche lo stesso Bernstein sarebbe stato veramente contento.

Stefano Duranti Poccetti 

11 dicembre, 2011

Elisabetta di Terlizzi,Francesco Manenti e Riccardo Palmieri parlano de "La menta sul pavimento"


È questo un prezioso documento in cui i membri della compagnia “Progetto Brockenhaus” spiegano cosa significhi per loro il proprio spettacolo “La menta sul pavimento”. Lo scritto è firmato da Elisabetta di Terlizzi, Francesco Manenti e Riccardo Palmieri.


La menta sul pavimento

DESCRIZIONE
Si abbassa lo sguardo e si entra in un luogo deturpato, abbandonato, bombardato, lasciato alle intemperie.
La sensazione, inizialmente, è quella di violare l’accesso di una struttura fragile e friabile che potrebbe crollare da un momento all’altro.
All'ingresso ci sono due marionette in carne ed ossa con le giunture arrugginite e difficoltà di movimento. Nel petto un cuore di bambino. Con loro una cassa. Forse il peso della vita e della memoria che ci portiamo sulle spalle: si può provare a scordarla e dire che non c'è mai stata oppure giocare con le deformazioni dei nostri ricordi.
Le marionette-bambino assistono ad una trasmissione televisiva popolare in cui un uomo di potere, il Presidente, vacilla, non sa dare una risposta ad una domanda molto importante:
“Quale sarà il futuro dei nostri bambini?”
Il suo silenzio non concede via d’uscita. I due rimangono intrappolati nella mente dell'anziano uomo politico, in quel luogo silenzioso dove le parole si sgretolano.
Tutto sembra travisare la realtà in modo falso e grottesco.
Corpi capovolti, gambe sospese in aria, movimenti lenti come in un liquido amniotico: sono corpi ambigui, senza un dritto ed un rovescio, che si mescolano e si confondono nella lentezza, nella fragilità e nella mancanza di gravità. E’ un corpo individuale ed al tempo stesso sono due identità che si fondono. Identità parallele che riveleranno due destini distinti e troveranno la via d’uscita - la vera uscita - unicamente verso l'alto.

Un immaginario in cui il potere trasforma gli individui in oggetti. Immagini in bilico tra il ricordo del passato ed un futuro posticcio che non vivono solo nella memoria intima e soggettiva del sogno ma abitano una più ampia dimensione, quella della memoria collettiva, che a sua volta muta, si trasforma in stanza/contenitore del pensiero e delle sue molteplici, infinite forme.

La menta sul pavimento, il titolo che da subito è stato scelto per lo spettacolo, è un infantile gioco di parole che al suo interno nasconde più ambiguità: il lamento di una donna, il mentire dei bambini, la mente che tenta di razionalizzare e la freschezza rigenerante della menta.

Come raccontare il rapporto tra il pensiero politico e la dualità della natura umana. Come raccontare il dramma dei corpi costretti alla cecità da una cultura contemporanea che non trova risposta alle sue contraddizioni e si fa massificante e totalitaria.
Il conflitto sociale del nostro tempo, alimentato dalla natura oramai perversa di una politica distante e alle volte ridicolmente misera, è mausoleo per spiriti innocenti.
La crisi che tormenta il primo decennio è una crisi di spirito, una crisi d'anima, prima che essere una crisi economica. Ma qualcosa confonde. Disturba un livello comprensivo ampio e libero.
Non c'è risposta a nulla anche perché non ci sono domande giuste. Sono soltanto le macerie, i simulacri delle domande.

L'immaginario che si apre nella ricerca scorre tra Pier Paolo Pasolini, Carlo Collodi e Federico Fellini, indugia su Dusan Makavejev, con attenzione particolare al personaggio interpretato dall’artista Ana Prucnal nel film “Sweet Movie”.
Strumento del linguaggio proposto è il gesto danzato, il movimento coreografato che dalla azione concreta strappa suggestioni all'astrazione.
Nello spazio il corpo che si muove e si trasforma, disegna la storia narrata esulando dalla descrittività ed indaga le diafane atmosfere dell'infanzia ricordata da una memoria provocata, indotta.

NOTE

Dopo il primo lavoro si è sviluppata la necessità di dar vita ad uno spettacolo svincolato dall'atto performativo e la necessità di approfondire ciò che separa ed unisce mondi differenti: il mondo degli adulti e quello dell' infanzia, il mondo della politica e quello dell'estetica, il mondo del conformismo e quello comunista, il mondo del teatro e quello della danza.
Il primo studio, che non esaurisce il desiderio di ricerca delle tematiche, crea i presupposti per la collaborazione con il regista teatrale Riccardo Palmieri che entra nel progetto in veste di "occhio esterno" del lavoro. Riccardo Palmieri porta con sé una visione liturgica del teatro, nel quale particolare attenzione è data al pensiero, alla metafisica , alla composizione strutturale del lavoro. Con il suo aiuto, in una seconda trance di prove, abbiamo approfondito il materiale già presente, cercando di dare una strutturazione più coerente ed unitaria allo spettacolo.
La necessità della contaminazione artistica come strumento ed allo stesso tempo come obiettivo non è solo sfida concettuale della contemporaneità ma è contenuto, materiale della ricerca metodologica delle arti sceniche contemporanee.
Contaminarsi, con il preciso scopo di ibridare linguaggi per estrapolare chiavi e metodologie nuove: ed in fine aprire una rinnovata espressione del linguaggio performativo e dell'arte scenica. Danza e Teatro si confrontano impegnati in un immaginifico dialogo che, da un territorio comune si snoda prima verso l'una poi verso l'altro, per attraversare, alla fine, entrambi e poter giungere in territori che si affrancano dalle etichette e dalle definizioni. In questo territorio comune il teatro, nella sua accezione più ampia, torna ad essere unità espressiva dove le sue derivazioni e le sue infinite e possibili varianti trovano forma e contenuto aprendosi ad un pensiero più forte.
La menta sul pavimento nella struttura scenica appartiene a questa categoria di ricerca che trova nello sviluppo e nella commistione dei linguaggi scenici linfa e stimolo espressivo, versando su un’onda libertaria - ma al tempo stesso codificata e strutturata in un pensiero consapevole - il proprio potenziale creativo.

L'incontro artistico tra danza, pittura, teatro e video riserva le sorprese e le aperture di molti campi di indagine le cui esplorazioni lasciano ancora margine di innovazione. Nella trappola delle parole, nell'usare ricerca, nuovo, innovativo, è facile cadere nella retorica ambiziosa della sopravvalutazione del proprio progetto, del proprio spettacolo riferendosi ad esso come risultato di nuove forme espressive.
Ricercare e innovare significa invece esplorare con maggiore cura il processo creativo, il percorso artistico che tende ad un risultato nuovo, cioè differente, da quello che il canone solitamente può indicare.
Nella costruzione de La menta sul pavimento la commistione  danza-pittura-teatro cerca l'esposizione e la traslazione delle tematiche prese in esame attraverso l'unione di poetiche differenti - alle volte in conflitto tra loro - con l'obiettivo di creare uno spettacolo dove esse, riunite ed esplorate, possano generarne una nuova che ne sia paradossalmente matrice.



09 dicembre, 2011

Una "Bisbetica domata" tra passato e futuro; tra sogno e realtà


Caterina è una bellissima e ricca ragazza padovana che, a causa dei suoi modi isterici e sgarbati, con gran dispiacere del padre, rifiuta tutti gli uomini che la vogliono portare all’altare. Ci penserà però Petruccio, gentiluomo veronese, a “conquistarla” e a guadagnarsi il suo rispetto. Avete riconosciuto la trama? Penso di sì, si di tratta de “La bisbetica domata” di William Shakespeare, uno dei drammi più famosi dell’autore inglese in cui, anche se a molti questo particolare sfugge, è il meccanismo meta-teatrale e onirico il vero protagonista della pièce, dove le intere vicende rappresentate non sono altro che la proiezione del sogno di Petruccio.
Di questi tempi questa “commedia” è portata per i teatri italiani con uno spettacolo diretto da Armando Pugliese e che vede come protagonisti Vanessa Gravina ed Edoardo Siravo. Guardandolo ci accorgiamo fin da subito che la Padova di cui si parla non è una Padova canonica e storicizzata, è anzi una Padova “americanizzata”, con tanto di grattacieli che si vedono sullo sfondo. Nonostante questo i personaggi sulla scena sono costretti a spostarsi in carrozza o a piedi e i servitori di Petruccio abitano letteralmente dentro delle casse tipicamente seicentesche e così quasi tutti i costumi dei personaggi - a parte quelli dell’avventuriero veronese, che sfoggia un guardaroba perfettamente attuale e anche perfettamente “grezzo”, come si usa dire (con tanto di camicia sbottonata nel petto, cinturone da motociclista e orecchini penzolanti), o quelli di Gremio (Carlo di Maio), che veste una sorta di completo da sera rosa - sono perlopiù in linea con i modelli storici dell’opera shakespeariana. Il tutto è accompagnato dalle musiche di Goran Bregovic, che si applicano perfettamente alla messa in scena. Un particolare incontro tra passato e futuro allora; tra  sogno e realtà, dove il sogno di Petruccio mostra in Caterina una donna emancipata e fuori dagli schemi, capace però alla fine (per astuzia o convinzione?) di diventare la “sposa più virtuosa in assoluto”, superando anche quelle donne convenzionali che i propri mariti ritenevano obbedienti e fedeli. Questo è solo il tema principale di una storia che prevede numerosi intrecci e in cui tutti gli attori si sono comportati veramente molto bene. A parte i due protagonisti si ricordano: Carlo di Maio, Giulio Farnese, Gianluca Enria, Vito Facciolla, Alberto Caramel, Stefano Vona, Emanuela Trovato, Elisabetta Alma, Maurizio Tomaciello e Valentina D’Andrea. Una “Bisbetica domata” allora ben costruita e ben interpretata dagli attori, che trovandosi perfettamente tra di loro sulla scena hanno dato vita a un lavoro veramente organico.

Stefano Duranti Poccetti 

06 dicembre, 2011

Uno Schiaccianoci Kitsh


I quadri di Klimt appesi alle pareti della casa; le foto di Tchaikovsky disposte sopra al pianoforte; le musiche dello stesso grande compositore russo utilizzate per accompagnare canzonette durante il film; lo zio Albert reso come se dovesse essere una sorta di Albert Einstein: uno strano mix di tanti elementi male e poco sviluppati che non riescono a innescare tra di loro un valido connubio di energie e che fanno del film "Lo Schiaccianoci" un oggetto addirittura kitsch.  Il  film di Koncialovskji deriva direttamente dal racconto di "Lo Schiaccianoci e il Re dei topi" di Hoffmann, ma non c'è, come invece nel libro, quella forza onirica e sognatrice che ti trascina con sé ma che, anzi, nel film sembra innaturale, artefatta: non fluida come dovrebbe essere e anche il tentativo di trovare un accordo con l'opera di Tchaikovsky è fallita, avendo usato quelle musiche quasi a sproposito e in circostanze inoppurtune. Anche l'idea di fare del Re dei topi una sorta di dittatore totalitario intento a  "rattificare" l'umanità, mi è sembrata un'intuizione poco consona a un tipo di film come "Lo Schiaccianoci", la cui forza dovrebbe essere la capacità di fare sognare e non tanto quella di ricercare metafore storiche inappropriate per una fiaba.
Simpatico il personaggio de lo Schiaccianoci, un principe reso tale dalle perfide magie della madre del Re dei Topi, che ha scacciato il principe dal suo regno per invece soggiogarlo al suo potere, un potere che sarà costretto a cadere, grazie al coraggio del principe, di altri giocattoli e di Mary, una bambina sognatrice interpretata da Elle Fanning, molto brava in questo ruolo.

Stefano Duranti Poccetti

04 dicembre, 2011

Invito di sosta, sacrificio e Charlot. Progetto Brockenhaus e Matteo fantoni al Teatro Comunale di Castiglion Fiorentino


Progetto Brockenhaus con "Sagra"

Solo tre parole: invito di sosta, sacrificio e Charlot. “Invito di sosta” sta per tutti quegli appuntamenti di danza contemporanea che avverranno fino a marzo nel Teatro Comunale di Castiglion Fiorentino, grazie al sostegno e al lavoro di Sosta Palmizi. Venerdì 2 dicembre è stato l’inizio di questa rassegna, che ha visto sul palcoscenico due spettacoli, e qui si giunge alla spiegazione della seconda parola: sacrificio. “Sagra” del “Progetto Brockenhaus”, con Elisa Canessa, Elisabetta di Terlizzi, Francesco Manenti ed Emanuel Rosenberg, creato in collaborazione con Federico Dimitri, Piera Gianotti e Cecilia Ventriglia, porta in scena “La sagra della primavera” con le musiche di Igor Stravinsky e, in linea con la famosa opera, anche lo spettacolo di teatro – danza del Brockenhaus ne fa suo il tema principale: il sacrificio appunto, che viene elevato a tematica universale, dove sta per: sacrificio di essere attore, sacrificio di essere uomo, sacrificio di vivere. La vita insomma è un sacrificio e questo emerge dallo spettacolo, più per una conoscenza dovuta alla sensibilità piuttosto che a una dovuta al ragionamento. In effetti i significati di quest’opera (svelati in parte dai danzatori alla fine della rappresentazione) si ritrovano in un lavoro molto colto da parte della compagnia, che ha sfogliato e letto i diari di Stravinsky e di Nijinski, che  fu coreografo della “sagra”. È così che si capisce che quelle scimmie che vediamo ballare e gesticolare sul palcoscenico possono essere lette come metafora della musica di Stravinsky, una musica che al suo tempo fu considerata come nera e bestiale. Le scimmie poi, mano a mano che lo spettacolo va avanti s’incontrano con gli esseri umani, diventando alla fine umane esse stesse. L’istinto s’incontra con la razionalità insomma; s’incontra e si scontra, perché non ne è facile la convivenza. L’ “evoluzionismo darwiniano” potremmo vedercelo? Perché no (dopo tutto le scimmie partono da tali divenendo infine uomini). Ma non bisogna dimenticare il lato più astratto e immaginifico di questa “sagra”, dove le scimmie potrebbero essere anche solo immagini proiettate da un sogno-incubo della regista che sta in scena e che a tratti medita, a tratti danza, a tratti s’infuria con i ballerini mettendoli a severe regole (anche qui una citazione dal diario di Nijinskj, come si sa molto rigido con i suoi performer), alla fine riuscendo a trionfare in qualche modo sulle sue stesse proiezioni immaginifiche, che inizialmente l’avevano assediata senza che lei potesse ribellarsi, ed è così che finisce lo spettacolo, nel caos, nel “casino” completo di luci che “danzano” in qua e in là sul palcoscenico, sugli sfondi: su tutto il teatro. Gli attori – performer, poi, si muovono come in preda a un rito: la Primavera è arrivata: è giunto il sacrificio. La linea tra il cervellotico e il non senso è molto sottile, ma quello che conta è lasciarsi trasportare dall’Arte e così, in questo lavoro del Brockenhaus, non è indispensabile essere al corrente di tutta la “razionale magia” che sta sotto. Basta lasciarsi trasportare e la meraviglia verrà da sola.
Matteo Fantoni in "Leoni"
Giungo infine alla terza parola: “Charlot”. Charlot perché, nel secondo e ultimo spettacolo portato in scena è stato protagonista Matteo Fantoni con il suo debutto “Leoni”, una performance solistica in cui il giovane danzatore – mimo, vestito di un casco e qualche protezione, ha voluto mettere in scena la tematica dell’assenza di coraggio, dove la canzone di Lucio Battisti "I giardini di marzo" è stata l’apice del tutto, visto che il performer ha aperto la bocca solo per cantarne la frase "ma il coraggio di vivere quello ancora non c'è", che evidentemente ha visto come il segreto e la chiave del suo spettacolo, uno spettacolo in cui lui ha ballato e mimato facendo ironia su canzoni di Serra, Brel e Gogol, che lui stesso metteva tramite un mixer disposto in scena. È stato un quarto d’ora divertente, una piccola tragicommedia in cui “il riso doveva portarci al pianto”: all’assenza di coraggio appunto. Ho detto “Charlot” perché ho visto nel performer l’intenzione di crearsi un “personaggio tutto fare”: un atleta, un attore, un ballerino, un tecnico (sulla scena era solo lui e si sistemava da solo i praticabili e si metteva da solo la musica su cui danzare). Aveva un po’ anche il fare da macchietta, con il volto incipriato e con gli occhi truccati. Non è stato uno spettacolo negativo, l’unica cosa che è mancata è “la storia”, voglio dire: avete presente quando vi trovate davanti a qualcuno o a qualcosa e sentite in voi e davanti a voi una presenza importante perché profonda e vissuta? Questo mi è mancato da questo spettacolo - al contrario di quello del brockenhaus, un po’ come mi potrebbe mancare la poca matericità di un quadro dipinto più per un fine decorativo che artistico. Ma d’altra parte Matteo Fantoni è giovane e quella “storia” di cui parlo farà in tempo a farsela.


Stefano Duranti Poccetti 

02 dicembre, 2011

Giuseppe Giacobazzi. La solita "attuale commedia all'italiana"

Battute, lazzi di spirito, ironie sulla società: questo è "Apocalypse", spettacolo di Andrea Sasdelli con Giuseppe Giacobazzi, "andato in scena" al Teatro Signorelli di Cortona il 29 di novembre; "andato in scena" tra virgolette non essendo stato un vero e proprio spettacolo, ma l'unica prova di un comico sopra un palcoscenico. Certi frangenti divertenti, altri ripetitivi, per una prova che, come quella della stra-maggioranza dei comici attuali, fa della satira sociale il tema fisso della performance. Nonostante questo mi sono divertito davanti ad alcune figure create, come quella dell' "elettricista re", che non si trova mai e a cui bisogna stare sempre agli orari. Uno spettacolo da varietà insomma, senza tante pretese e che di solito soddisfa sempre le esigenze della maggioranza degli spettatori. 
Ps. Ma non esistono più i comici che sanno far ridere senza per forza dover parlare di qualcuno e senza per forza dover dire parolacce? I comici alla Petrolini insomma, quelli che ti fanno divertire dentro tramite la raffinatezza dell'essere comico.
Io non tolgo niente a questo spettacolo, ma tolgo qualcosa all'idea di commedia che si è creata, una commedia che non merita più di essere scritta con la C maiuscola, come si poteva fare un tempo.

Stefano Duranti Poccetti