In un momento in cui il cinema contemporaneo sembra aver
trovato nella tridimensionalità posticcia l’unica via di scampo per uscire
dalla crisi, non solo economica, ma soprattutto di idee e di linguaggio, ecco
arrivare in Italia The Artist, del regista francese Michel Hazanavicius. Un
film muto, proprio come se ne facevano una volta, rigorosamente in bianco e
nero, con inquadrature e tecnicismi dettagliatamente da cinema anni ‘20. È
stato adottato persino il formato dell’epoca, l’originario 1:1,33. Qualcuno
potrebbe pensare, cosa ci fa nel 2012 un film muto, prodotto in Francia nelle
sale italiane? Per capirlo basta dare un’occhiata alla pagina che
Wikipedia dedica al film: praticamente è per metà occupata dalla trama e da altre
comunicazioni di rito, mentre l’altra metà rende conto dei numerosissimi premi.
Si parte dal premio decisamente meritato per la migliore interpretazione
maschile a Jean Dujardin all’ultimo Festival di Cannes, per finire ad una serie
interminabile di riconoscimenti e nomination nei tanti, diversi e oramai
variegati festival in giro per il mondo. Cosa succede? I critici di tutto il
mondo soffrono di nostalgia? Ricordano con candore quando infanti venivano
accompagnati al cinema dalle casalinghe madri divoratrici di fotoromanzi? O
forse come succede spesso quando ci sono grossi cambiamenti in atto ricorriamo
alle origini? Sinceramente non lo so, ne tanto meno vorrei azzardare una tesi
al riguardo. Se però, ricercando nelle classifiche dei film premiati nei
maggiori festival d’Europa degli ultimi anni, mi accorgo che tanti film sono in
bianco e in nero, come Il Nastro Bianco 2009 di Michael Haneke, o
film quasi senza dialoghi, come Bal del regista turco Semih Kaplanoglu, premiato
con l’Orso d’oro a Berlino nel 2010, allora mi viene da pensare che The
Artist non è solo un film muto in
bianco e nero francese,The Artist non è una scommessa del regista o
del produttore folle che investe soldi di tasca sua per realizzarlo. The
Artist arriva da un percorso che si sta consolidando da un po’ di tempo
nel cinema d’autore. Autori raffinati che considerano il cinema muto la forma
più pura per una narrazione, in quanto un film fatto di sole immagini, oltre ad
essere più difficile da realizzare, richiede davvero grande intelligenza e
conoscenza, ma soprattutto grande sensibilità visiva. Quante infinite
possibilità ci sono per realizzare una scena muta? Si devono inventare le
atmosfere, bisogna avere grande cura dei dettagli, si deve ricorrere alla
gestualità, alla fisicità degli attori. E l’ espressione del viso? Quanto può
essere forte un sorriso, un pianto, una carezza o uno sguardo? Ecco, per chi fa
questo mestiere e crede nella potenza visiva dell’immagine fare un film senza
le parole che spiegano tutto è il massimo. Voler raggiungere il cuore degli
spettatori senza che nessuno apra bocca significa comunicare universalmente
senza dover tradurre ogni gesto, ogni situazione o atteggiamento. E poi chi
vede un film di sole immagini deve inventarsi i dialoghi e quindi è costretto a
fare uso della propria immaginazione, deve pensare, deve partecipare alla
creazione. Ecco, The Artist non solo ci parla, The Artist ci fa sognare e,
come dicevo all’inizio, nei momenti di crisi più intensi l’uomo ha sempre avuto
bisogno dei sogni!
Antonio Castaldo
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