Evgeny Kissin |
L’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia entra in scena accompagnata dagli
applausi del pubblico e, all’arrivo del direttore James Judd, la serata
musicale prevista all’Auditorium Parco della Musica di Santa Cecilia di Roma domenica 5
febbraio 2012 comincia sulle note di Johannes Brahms, con la sua “Tragishe Ouvertüre” (Ouverture Tragica)
op. 81, gemella di quella più conosciuta: La “Ouverture Accademica”, composta
da un tono melodico più leggero e vivace rispetto alla Tragica, molto più
drammatica e, del resto, anche assimilata dalla critica, in modo opinabile, al “Coriolano”
di Beethoven.
L’orchestra si comporta
molto bene sotto la guida di James Judd, che mentre batte il tempo non si
dimentica di “disegnare” le emozioni che l’orchestra deve “dipingere”. La
strumentazione è molto limpida e pulita e anche gli stacchi più vistosi
scorrono tra loro con fluidità, in questo pezzo che, a mio parere, è drammatico,
ma non “profondo”. Quelle di Brahms sono ouverture che non seguono un percorso
letterario o immaginifico: quella di Brahms è musica per la musica,
contrariamente per quanto avviene per le ouverture di Beethoven, di Schumann,
per i poemi sinfonici di Liszt. È inconciliabile per me il paragone tra questa
Tragica e il Coriolano, dove quest’ultimo ha un’intensità nettamente superiore,
avendo intenzione di evocare qualcosa – la Tragica non evoca niente. Dunque
grande drammaticità per questo pezzo, una drammaticità puramente musicale e non
extra – musicale, un tipo di drammaticità resa benissimo dall’Orchestra di
Santa Cecilia.
Il brano termina tra
gli applausi e il pianoforte viene accuratamente portato al centro del
palcoscenico: è giunto il momento del tanto atteso pianista russo Evgeny Kissin
e già ci emozioniamo prima che incominci a suonare. Tutto è pronto ed ecco le
prime note del “Concerto il La minore per pianoforte e orchestra op. 16” di
Edvard Grieg.
James Judd |
A dire il vero non so
di preciso cosa dire e cosa scrivere se non che sono rimasto estasiato e quasi
paralizzato davanti all’Arte di questo grande pianista, che posso giustamente
definire un Artista. Così pulito sulla tastiera come non ho mai sentito nessuno,
riesce a unire grande tecnica a grande interpretazione emotiva – a dire il vero
per lui la tecnica è automatica, non si deve sforzare, per lui è tutto facile,
e allora ha il buon senso di impegnarsi per regalare la spiritualità del brano,
facendoci anche commuovere in sala. Ascoltando Kissin non ascolto il pianista
che suona, ma ascolto la musica. Quella musica che con lui giunge alla
perfezione della “musica delle sfere”. Sotto le sue mani le note acquisiscono
un’anima, un’anima che ci arriva fino al cuore. Inutile dire è che il pianista
russo è uno dei massimi esponenti contemporanei di questo strumento e sono
convinto di dire che un giorno sarà annoverato tra i più grandi interpreti di
tutti i tempi. Può darsi che mi sbagli, ma questo non m’importa, quello che
m’importa è che mi sento fortunato a essere vissuto nell’epoca di questo grande
musicista che, dopo essersi cimentato con questo concerto dai temi scandinavi e
in cui si passa da melodie allegre ad altre liriche, concede due bis al suo
pubblico: dal “Carnaval”, sempre di Grieg e uno “Studio” di Chopin. Soprattutto
nel primo – che è un brano molto colorito musicalmente, Kissin dimostra ancora
il suo grande talento e fa scaturire da ogni nota un colore e un’intensità
diversa – in effetti lo potrei definire in un certo qual modo il “pittore della
tastiera”.
E quando il pittore ha
finito il suo quadro se ne va via tra i “bravo!” e le acclamazioni più
concitate degli ascoltatori, mentre l’orchestra e il maestro James Judd restano
sul palco, perché è giunto il momento della “Sinfonia n. 2 in Do minore op. 17
(Piccola Russia)” di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
Se all’inizio si è
ascoltata musica per la musica, in questo caso invece udiamo tutt’altro: una
vera e propria intenzione di creare immagini e di suscitare forti emozioni. Veramente
una Russia in miniatura questa sinfonia, dai toni eroici, mitici, lirici e
sentimentali, in cui, come è tipico nella musica del compositore russo, si
passa da alti a bassi, da vistosi crescendi a soffici diminuendi, in cui non
viene dimenticato il protagonismo di ciascuno strumento della gamma
orchestrale, un protagonismo tramite cui si giunge a coloriture timbriche e a globali
cromatismi. Tutto questo reso ancora bene dall’Orchestra diretta da James Judd,
capace di far dialogare in modo chiaro gli strumenti tra loro.
Una bella serata di
musica insomma, in cui non ho trovato sbavature, a parte la mia tosse che,
purtroppo, non mi ha lasciato per tutto il concerto e a parte il problema neve,
che ha portato l’evento da sabato a domenica. Una neve che forse avrà fatto
sentire Kissin più a casa sua. Già, Kissin, è a lui che do lo scettro della
serata: al “pittore della tastiera”.
Stefano Duranti
Poccetti
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