“Diaz
- Don’t clean up this blood” nasce da una telefonata tra il regista Daniele
Vicari con il produttore della Fandango Domenico Procacci, all’indomani della
sentenza di primo grado del processo per i fatti della Diaz, quando alcuni
familiari delle vittime gridarono: “Vergogna! Vergogna!! Non verrò mai più in
questo paese”. Il paese in questione, purtroppo, è un paese riconosciuto da
tutti “democratico” e quello che è successo a Genova nel 2001 in occasione del
G8 è una triste pagina di storia contemporanea europea.
C’era
bisogno di fare un film? Non bastavano i processi, i fiumi di carta, la stampa,
le migliaia di documentazioni audio-visive girate sul posto e che si possono
trovare ovunque su internet? C’era proprio bisogno che qualcuno usasse il linguaggio
del cinema per raccontare questa storia? La risposta è sì. Il cinema è
spettacolo e quando lo spettacolo diventa denuncia, se fatto bene, riesce a
scuotere qualcosa dentro di noi, che altri linguaggi non possono. Con la
fiction si entra in empatia con i personaggi e si vive il racconto in maniera
diretta, in profondità. Ci si sente parte di esso, vittima o carnefice, a
seconda del punto di vista.
In
questo film lo spettatore è vittima di una inaudibile violenza. Dalla sala non
si può uscire con indifferenza, le immagini sono cruente, forti, il dolore
delle manganellate si sente e fa male. Alla Diaz e poi a Bolzaneto in quei
giorni sono venuti meno i fondamentali diritti della democrazia e le violenze
perpetrate dalla polizia italiana sono alla base della denuncia di cui il film
si fa portatore. Una docu-fiction che nasce dalla lettura degli atti
processuali, dalle interviste ai manifestanti e alla polizia. E dalla locandina
si capisce subito quello che viene denunciato, la frase è di Amnesty International:
“La più grave sospensione dei diritti
democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” . Diaz -
don’t clean this up: è la storia
intrecciata di Luca (interpretato da
Elio Germano), Alma (Jennifer Ulrich), Marco (Davide Iacopini), Franci (Camilla
Semino), Nick (Fabrizio Rongione), Anselmo (Renato Scarpa), Etienne (Ralph
Amoussou),Cecile (Emilie De Preissac) e Max (Claudio Santamaria) e centinaia di
altre persone che incrociano i loro destini la notte del 21 luglio 2001. I
diversi livelli narrativi si intrecciano con diversi punti di vista e i
personaggi si muovono nei luoghi fondamentali della storia, inconsapevoli di
ciò che sta per capitare. La narrazione del film gira intorno ad un fatto
marginale accaduto qualche ora precedente all’irruzione: qualcuno lancia degli
oggetti, tra cui una bottiglia di vetro, su una pattuglia di ricognizione della
polizia davanti alla scuola Diaz, e questo scatena tutta una serie di eventi
che portano agli esiti estremi raccontati nei processi. L’intreccio, che è ben
raccontato, la semiotica, che ha una correlazione simbolica ben calibrata e il
cast di livello internazionale danno al film quel carattere europeo che
purtroppo da anni manca al cinema nostrano.
Antonio
Castaldo, Berlino
Ben riportati sulla carta stampata, anche se ritengo che fatti realmente accaduti di tale entità sarebbero da cancellare dalla mente umana
RispondiEliminaper quanto riguarda la mia sensibilità, si può contestare con mezzi e modi diversi, per altri un monito, o un incoraggiamento a continuare.
comunque tu hai fatto il tuo dovere nel narrare quanto hai visto, ma sono certo che non condividi questi orrori in una società civile.
Dimmi come si potrebbe condividere una cosa che non dovrebbe nemmeno esistere in una "società civile"
RispondiElimina"Cancellare dalla mente umana" dici??
RispondiEliminaLa memoria è l'unica possibilità che abbiamo perché non si ripeta quanto accaduto (un altro esempio potrebbe essere quanto accadde durante la Shoah, fatte le debite proporzioni). Tanto più in un paese come il nostro, dove i responsabili più alti in grado sono stati facilitati nelle rispettive carriere, anziché essere destituiti dalle cariche che ricoprivano.. ..ma di cosa vogliamo stupirci, ormai?! Ogni giorno che passa emerge di più il marcio che c'è nelle nostre istituzioni.