Teatro Metastasio, Prato. 25 marzo 2012
Blackbird in inglese vuol
dire “merlo” e nello slang britannico anche “ragazza”. Il caso vuole che Blackbird
di David Harrower giri attorno alla figura di una giovane donna che arriva a
sconvolgere la quotidianità dell’uomo che le ha cambiato la vita proprio come
un uccello nero che emigra alla ricerca del caldo. Una è la protagonista e Ray
è l’uomo che l’ha violentata quando ancora era una bambina. Questo evento, che
l’ha fatta diventare una donna cinica e superficiale, la porta molti anni dopo
alla ricerca del suo passato. Prima di tutto cerca il suo carnefice, per farlo
sentire in colpa, facendo tornare a galla quei momenti in cui la bambina che
era si sentiva sola e bisognosa di attenzioni. E Ray, un frustrato uomo di mezza
età, di fronte all’ombra di un passato che vuole dimenticare, non sa che fare.
Vorrebbe cacciarla, ma al tempo stesso vuole proteggerla e raccontarle la sua
versione dei fatti, di quella notte in cui sono scappati insieme. “Non ti avrei
mai abbandonato.” le assicura, quando la donna lo accusa di averla lasciata
sola e inconsapevole di quello che stava accadendo. “Non sono come loro.” si
autoconvince l’uomo accusato di pedofilia. Tutta la discussione, svoltasi nel
luogo di lavoro di Ray (un addetto alle pulizie) finisce con un momento di
follia dei due che freneticamente si baciano, si toccano, si spogliano. Un
momento tanto crudo quanto breve che Ray fermerà violentemente nel nascere.
“Sono troppo vecchia?” si chiede Una. Niente di più atroce in questa domanda,
niente di più triste nelle parole di Ray quando si chiede preoccupato se le ha
fatto male respingendola. Una storia profonda che fa capire che anche dietro
azioni imperdonabili come l’abuso di una minorenne ci sono sfumature e vite
umane. Hai di fronte un uomo solo che d’istinto vorresti odiare, ma non riesci
a farlo da quanto ti fa pena. Finché non hai la consapevolezza che entrambi
sono malati, ma lui è l’unico colpevole, perché è assurdo pensare che una
bambina di dodici anni possa essere consenziente. Tutto questo è stato
raccontato da Massimo Popolizio e Anna Della Rosa. Il primo riusciva a dare
impulsi della follia del suo personaggio senza mai esagerare, attraverso
un’espressività che dava i brividi. Anna Della Rosa, se pur più giovane del suo
collega, ha dimostrato una notevole capacità di sostenere la drammaticità della
scena soprattutto durante il monologo in cui racconta la fuga con l’amante.
Entrambi, in un crescendo di energia, sono riusciti a non perdere mai quella
potenza che il testo richiede per mantenere l’attenzione del pubblico. La regia
è semplice, quasi cinematografica, ma efficace, al servizio degli attori.
di David Harrower
traduzione Alessandra Serra
scene Paco Azorin
costumi Chiara Donato
luci Claudio De Pace
con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa
e con Silvia Altrui
regia Lluís Pasqual
traduzione Alessandra Serra
scene Paco Azorin
costumi Chiara Donato
luci Claudio De Pace
con Massimo Popolizio e Anna Della Rosa
e con Silvia Altrui
regia Lluís Pasqual
Produzione PICCOLO TEATRO DI MILANO-TEATRO D'EUROPA
Sara Bonci
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