Teatro Pietro Aretino, Arezzo. Venerdì 13
aprile 2012
Un cordone rosso che dall’alto si adagia su un
palcoscenico vuoto. E una madre, sola e trasandata, che con l’animo lacerato
dal dolore racconta la sua storia: le “Donne”, streghe del vento e della notte,
le hanno portato via il figlio, scambiandolo con un essere deforme. Inizia così,
al Pietro Aretino, “La favola del figlio cambiato” di Luigi Pirandello. Un pubblico rapito da tanto dolore segue la
storia affascinato tanto dal testo quanto dall’interpretazione. Pirandello
scrive la sua favola in versi e la compagnia recita in modo ammirevole senza
tralasciare nessuna rima, seguendo il ritmo poetico. Si avvertono solo un paio
di sbavature, sfuggite ai più per la bravura degli attori nel riprenderle. I
registi puntano su scenografie essenziali per la riuscita dello spettacolo.
Un’ottima intuizione, funzionale alle dimensioni del teatro. In questo modo, il
dolore si propaga nel piccolo teatro, che al tempo stesso diventa guscio
protettivo e specchio proiettore del dramma materno, la cui eco raggiunge
nell’intimo tutto il pubblico femminile.
Merito della protagonista (Sara Fabbroni), che con gesti puntuali, urla e allusioni alla notte del
rapimento, trasforma il suo dolore intimo in un dolore universale: il dolore
del coro delle madri, unite dal lungo cordone rosso - rimando al cordone ombelicale - che avvolge il
ventre di ognuna di loro. Il palcoscenico diventa un luogo cupo, metafora della nera anima di una madre angosciata. Niente traspare della Sicilia a cui
Pirandello aveva pensato per ambientare la sua favola. La dimensione
spazio-temporale si annulla. Una scelta registica questa che punta a rendere la
favola pirandelliana possibile in ogni dove: una madre costretta a vivere
lontana da suo figlio, che nel frattempo è cresciuto alla reggia come un
principe, sebbene malato e infelice. Per
riacquistare la salute, il vero figlio viaggia fino al paese di mare in cui vive
sua madre. La sua malinconia svanisce e, rinunciando a tutti gli onori, decide
di rimanere con la madre ritrovata. Sopraggiunge Figlio di re (il figlio
deforme che le streghe avevano lasciato alla donna) che gli si getta contro cercando
di ucciderlo, ma il principe riesce a evitare il colpo. La drammaticità che
pervade il personaggio raggiunge il suo culmine nell’urlo acuto e possente che
Figlio di re lancia dopo aver mancato il colpo. Il personaggio, il più intenso
di tutti, interpretato da Enrico Gasperini, riesce a suscitare nel pubblico un
grande effetto empatico, per la grande umanità che trasmette: lui, l’essere
deforme sempre calunniato, si ribella, rompendo la calma della scena. E sarà poi
lui ad essere incoronato re, circondato dal popolo che gli fa una grande festa,
come legittimo che sia. Una favola a lieto fine che presenta tutti gli elementi
pirandelliani: dalla sacra maternità alla teoria dell’apparire. “La favola del
figlio cambiato”, scritta da Pirandello sul finire della sua carriera, è oggi
poco rappresentata, ma si regge su un testo in versi molto raffinato, che la
compagnia degli Ostinati ha reso con grande espressività.
La favola del figlio cambiato
di Luigi Pirandello
regia di Amina Kovacevich e Uberto Kovacevich
con Orazio Anania, Mila Arbia, Dina Biagioni, Sara Fabbroni, Enrico Gasperini, Maria Rosa Marchi, Maria Cristina Mazzeschi, Ciro Sommella, Maria Vona
e con Stefano Concialdi, Stefano Graverini e Helenia Rapini
produzione: Libera Accademia del Teatro – Compagnia degli Ostinati
Micaela Caporale
Gran bel lavoro da parte degli attori e dei registi (Ma non avevo dubbi). Gran bel lavoro anche da parte del recensore. Manca solo una nota sulle bellissime musiche che hanno fatto da colonna sonora a questo bellissimo spettacolo, enfatizzando e sottolineando gli aspetti più drammatici e misteriosi; e quelli più "frivoli". (Mira e Scatta)
RispondiElimina