Teatro Signorelli, Cortona. Venerdì 27 aprile 2012
DANILO REA Pianoforte
ARES TAVOLAZZI
Contrabbasso
ANDREA ROVENTINI
Batteria
Dopo la grande musica classica trasmessa in diretta dal Teatro alla Scala, "CORTONA IN MUSICA 2012" ci ha proposto questa volta del buon jazz live, con il gradito ritorno di Danilo Rea, ospite ormai abituale del Teatro Signorelli da alcuni anni a questa parte (personalmente l'ho ascoltato per la terza volta); ad accompagnarlo, il grande Ares Tavolazzi al contrabbasso e il funambolico toscanaccio Roventini alla batteria.
A proposito di musicisti eclettici e liberi dai preconcetti
(ho già affrontato l'argomento, stabilendo un legame ideale tra George Gershwin
e Stefano Bollani, in un recente articolo pubblicato sempre per "IL
CORRIERE DELLO SPETTACOLO" e ovviamente reperibile nel sito): difficile
immaginare un trio più rappresentativo di questo.
Danilo Rea, vicentino di nascita ma romano d'adozione, si è
diplomato in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia per poi intraprendere
una prestigiosa carriera come pianista jazz che lo ha portato a suonare con
artisti del calibro di Chet Baker e Lee Konitz, senza dimenticare le recenti
collaborazioni con alcuni tra i migliori esponenti del jazz italiano contemporaneo,
quali Roberto Gatto, Paolo Damiani, Maurizio Giammarco e Aldo Romano;
parallelamente ai suoi progetti marcatamente jazz ( su tutti, il gruppo DOCTOR
3, insieme ad Enzo Pietropaoli al contrabbasso e al batterista Fabrizio
Sferra), Rea non ha mai disdegnato l'ambito pop, divenendo il pianista di
fiducia di Mina oltreché collaboratore di Pino Daniele, Claudio Baglioni,
Riccardo Cocciante, Adriano Celentano e Fiorella Mannoia, giusto per citare
alcuni dei nomi più importanti del genere.
Ares Tavolazzi (Ferrara, 1948) vanta luminosi trascorsi
rock, essendo stato il bassista degli AREA- uno dei gruppi fondamentali del
progressive rock italiano- dal 1973 (anno in cui la band pubblica il secondo
album, "CAUTION: RADIATION AREA") fino alla fine della corsa ("TIC
& TAC, 1980); se ciò non bastasse, ha partecipato come turnista a due album
importantissimi per i primi anni '70, quali l'opera concept sulla mafia
"TERRA IN BOCCA" dei GIGANTI e "L'ISOLA NON TROVATA" di
Guccini (il terzo album del cantautore); con quest'ultimo ha ripreso a
collaborare stabilmente dalla metà degli anni '80 in poi. Contemporaneamente
all' intensa attività nell'ambito rock, Tavolazzi ha sviluppato un grande amore
per il jazz che lo ha portato a suonare con Max Roach, Lee Konitz, Enrico Rava,
Stefano Bollani, Gianni Basso e tanti altri.
Il lucchese Andrea Roventini (1974) ha cominciato da
autodidatta a suonare piano, chitarra e basso per poi concentrarsi
prevalentemente sulla batteria, avendo ben chiara in mente la passione per il
jazz ed in particolare per il Dixieland della New Orleans di inizio '900, città
nella quale ha soggiornato più volte per apprendere il genere ed eseguirlo
(anche in loco); si è perfezionato studiando sotto la guida di Roberto Gatto,
Fabrizio Sferra ed Ettore Fioravanti a "Siena Jazz", facendosi strada
grazie ad un'intensa attività live (anche ad "UMBRIA JAZZ")
impreziosita dalle prestigiose collaborazioni con, tra gli altri, Gianni Basso,
Lino Patruno, Irio De Paula e Tullio De Piscopo. La sua incontenibile voglia di
suonare e la passione per OGNI genere musicale lo portano spesso ad esibirsi in
ambiti musicali lontanissimi dal jazz, nei quali mostra comunque di trovarsi a
proprio agio (ho assistito personalmente ad una sua travolgente jam session
rock, semplicemente trascinante!).
Con personaggi simili, non poteva che scaturire una scaletta
originale ed imprevedibile, pura fantasia al potere: un jazz che non attinge
(quasi) mai alle proprie fonti canoniche per guardarsi invece intorno,
scrutando a 360 gradi il mondo della musica senza porsi limiti né confini e dimostrando
così la propria potenzialmente infinita creatività.
E allora, via alle danze con una riconoscibilissima e
rispettosa "LES FEUILLES MORTES" (brano verso cui il jazz ha guardato
spesso e volentieri, fino a farne un vero e proprio standard; molto bella in
particolare la versione dell'armonicista belga Toots Thielemans contenuta
nell'album "LIVE"), passando poi per un sentito omaggio
all'eccellenza cantautorale italiana con il De André di "BOCCA DI
ROSA" e il Luigi Tenco di "MI SONO INNAMORATO DI TE", alla quale
viene agganciata, con un delicato incastro, il capolavoro di Chico Buarque
"O QUE SERA' "; c'è tempo per omaggiare anche la black music, con una
gradevolissima e leggiadra "MA CHERIE AMOUR" dello Stevie Wonder di
inizio '70 (destinato entrare nella storia della musica, di lì a qualche anno,
col capolavoro "SONGS IN THE KEY OF LIFE"), e i Beatles, con
un'improbabile "HEY JUDE" tirata un po' troppo per le lunghe, forse
la "cover" meno riuscita della serata (devo però aggiungere che non
ho mai amato la canzone originale, a mio giudizio una delle composizioni meno
ispirate di McCartney...).
Nel complesso una serata gradevole, lieve, giocosa e quasi
intima, un'oretta scivolata via veloce veloce con un jazz "facile",
melodico e godibile, proposto da un trio affiatato e in buona forma (con un Rea
a tratti gigione e un Roventini insolitamente misurato).
Un programma all'insegna della leggerezza dunque, forse pure
troppo, come potrebbero aver pensato gli eventuali puristi del genere presenti
in platea, ma prima di muovere una critica in tal senso credo sia opportuno
valutare le ragioni dei musicisti: considerando, con un ragionevole margine di
certezza, che tra il pubblico presente vi fossero neofiti ed ascoltatori
occasionali (forse in numero preponderante, del resto non stiamo parlando di
una rassegna jazz con concerti costosi ed impegnativi che richiamano quasi
esclusivamente esperti ed appassionati del genere, ma di una serata
"libera" organizzata in un contesto solitamente non avvezzo a questo
linguaggio musicale), sarebbe stato fuori luogo eseguire composizioni difficili
ed impegnative che, alla lunga, avrebbero finito per minare l'attenzione dei
non iniziati oltreché scoraggiarli. Se non si vuol scadere
nell'autoreferenzialità (vizio atavico di certo jazz -mi viene in mente, chissà
perché, Keith Jarrett-) per cercare invece di guadagnare nuovi sostenitori
della causa jazz (in questo senso, alcuni cortonesi stanno organizzandosi per
fondare un jazz club locale), allora diventa perfettamente comprensibile (e
condivisibile) la scelta di un tale approccio volutamente invogliante
-utilissimo al raggiungimento di un intento divulgativo-, che in più offre la
possibilità agli artisti di dar libero sfogo alla propria creatività e
dimostrare quanto questo tipo di musica abbia ancora da dire (e da dare).
Francesco Vignaroli
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