GIOCHI DI FAMIGLIA, Trilogia di Belgrado parte I, con la regia di Paolo
Magelli, si rifà al testo di Biljana Srbljanovic ed è stato realizzato con la
giovane compagnia Stabile del Teatro Metastasio. Quattro attori, due donne e
due uomini- Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni-, che recitano di essere bambini che a loro volta fingono di essere
adulti. Un nucleo familiare da loro creato e messo in scena, prendendo spunto
da una città europea (forse serba) devastata dalla guerra appena trascorsa. Nei
loro occhi l’ingenuità, tipica della fanciullezza, di rappresentare prototipi
di famiglie logorate dalla sofferenza e dal tormento. Ciò che emerge, con
crudezza e senza mezzi termini, è tremendo: un padre violento prima succube e
poi assente, una moglie priva di personalità che cerca di emanciparsi ma non sa
che strada seguire, un figlio che prova invano a pensare con la propria testa,
una ragazza-cane che assiste all’esplodere delle situazioni più assurde. Il
valore per la morale, per la vita scompare in modo naturale, come se la guerra
desse per scontati certi meccanismi maligni della mente umana. Tutto ciò che i
bambini vedono, interpretano e rappresentano è normale: la violenza sessuale,
la fame, la disoccupazione, la morte sono tutte tematiche di cui ridono e giocano.
In mezzo a tali giochi un altro uomo, un operaio, che cammina tra le macerie
della città senza rendersi conto della presenza dei bambini e all’apparenza
senza alcuna utilità narrativa, se non nel prologo e nel finale. Non è, invece,
una presenza casuale: è il presente che ricostruisce, restaura ciò che il
passato ha distrutto senza pensare troppo a ciò che quella terra ha da
raccontare. Le scelte registiche sono precise, mai banali, anche se a volte non
semplici da capire. A tal proposito, penso ai video proiettati in uno schermo
enorme a sinistra del palco. Apparentemente didascalici e necessari per i soli
cambi di scena, potrebbero simboleggiare il mondo della televisione. La guerra
dell’ex Jugoslavia, cui la scrittrice vuol far riferimento, l’abbiamo
vissuta attraverso i telegiornali, la radio, e l’utilizzo dei video potrebbe
rimandare alla contorsione che le notizie subiscono a causa dei mezzi di
comunicazione. Il testo è crudo, molto forte, ma tale scelta espressiva è
necessaria. Forse per comprenderlo fino in fondo servirebbe una lettura
completa, ma sicuramente la messa in scena ha permesso una sua traduzione
efficace e d’intuizione. D’effetto anche le musiche di Arturo Annecchino, ma
niente è più efficace degli attori stessi, magistralmente guidati dal regista
pratese. Si vede subito il lavoro che c’è stato dietro, la potenza che insieme
trasmettono. Splendida soprattutto Elisa Cecilia Langone, diplomata presso la
“Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi” di Milano nel 2008, nel ruolo della ragazza
straniera. Senza pronunciare una parola, se non quasi alla fine, riesce -
attraverso il linguaggio del corpo, quello onomatopeico e distorcendo la voce -
ad emanare un’energia tale da far rabbrividire. Sicuramente è uno spettacolo
che non va visto superficialmente, ma consapevoli del suo spessore. In ogni
caso, nonostante l’inquietudine che può suscitare, dà un’emozione così forte
che fa dimenticare le due ore di rappresentazione.
Sara Bonci
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