LA MALA ORDINA
ITALIA/RFT 1972 92'
COLORE
REGIA : FERNANDO DI LEO
INTERPRETI : MARIO ADORF, HENRY SILVA, WOODY STRODE, ADOLFO
CELI, SYLVA KOSCINA, FRANCO FABRIZI, FRANCESCA ROMANA COLUZZI, FEMI BENUSSI,
LUCIANA PALUZZI, CYRIL CUSACK
EDIZIONE DVD : Sì, distribuito da RARO VIDEO/ COLUMBIA
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Boss della mala newyorkese invia due sicari a Milano con
l'ordine di uccidere Luca Canali (Adorf), innocuo magnaccia sospettato, a
torto, del furto di una partita di droga del valore di 3 miliardi di lire; in
realtà, a fare il colpo è stata l'organizzazione del potente Don Vito Tressoldi
(Celi), colui che ha fatto il nome di Canali agli americani utilizzandolo
(scelta casuale) come capro espiatorio. Braccato dagli uomini di Don Vito e dai
due killers americani, abbandonato dagli amici che lo tradiscono uno dopo
l'altro, al povero macrò non resta che fuggire senza saper bene da chi e per
quale motivo, almeno finché non gli uccidono moglie e figlia sotto gli occhi: a
questo punto la rabbia e la disperazione trasformano l'agnello sacrificale in
un lupo feroce, determinato a scoprire la verità e a farsi giustizia da sé a
qualunque costo. Resa dei conti in un cimitero per auto.
Accostato spesso ai grandi maestri del genere (Don Siegel e
Jean Pierre Melville in particolare), Di Leo ha in realtà saputo tracciare una
via tutta italiana al noir, genere tradizionalmente trascurato dalla
cinematografia nostrana (e che ha vissuto invece negli Stati Uniti e in
Francia, a cavallo fra gli anni '40 e '60, i momenti di massimo splendore),
dimostratasi piuttosto refrattaria al colore "nero" del cinema,
ragione più che sufficiente per rivalutare la mitica Trilogia del MIlieu girata
dal regista all'inizio degli anni '70, quasi un unicum nel panorama cinematografico
nazionale. Con questo secondo capitolo -la saga si apre col superbo
"MILANO CALIBRO 9" , girato sempre nel '72, e si conclude con
"IL BOSS" l'anno seguente-, ispirato ad un racconto ("MILAN BY
CALIBRO 9", già alla base del quasi omonimo film, ma molto più legato a
"LA MALA ORDINA", il cui soggetto si attiene fedelmente al racconto)
dello scrittore milanese Mario Scerbanenco, Di Leo fa ancora centro,
rafforzando la propria reputazione e ribadendo la piena dignità artistica del
percorso intrapreso. In seguito, non riuscirà a ripetere i fasti del periodo
noir ( sentiero abbandonato troppo presto), tuttavia la sua Trilogia costituirà
il modello nobile, in quanto precursore e ispiratore, del nascente sottogenere
del poliziesco all'italiana, meglio noto come "poliziottesco",
recentemente sdoganato e rivalutato (eccessivamente, a mio modesto parere), dal
guru Tarantino.
Sullo sfondo di una Milano squallida e per nulla turistica
-luna park, capannoni industriali, sfasciacarrozze...-, Di Leo ripropone la
formula vincente di "MILANO CALIBRO 9" (pur non raggiungendone lo
stesso livello artistico): azione frenetica, tensione epica, violenza e un
moderato nichilismo (in futuro, registi come Kitano si spingeranno ben oltre!),
stemperati dall' irrinunciabile erotismo dissacrante (una costante nel cinema
del regista) e da una certa dose di ironia (praticamente assente invece nel
primo capitolo della saga); peccato però, a tal proposito, per l'eccessivo
bozzettismo dei personaggi di contorno e per la banalità e trivialità di certe
battute (alternate a dialoghi memorabili), che tolgono serietà e drammaticità
ad una sceneggiatura che a tratti sembra quasi trasformare il film in un gioco,
in uno sberleffo (è evidente quanto qui Di Leo non si prenda troppo sul serio),
come se il regista calasse una lente deformante sul suo Mondo (forse per
mostrare quanto tutta la realtà sia una tragicommedia ininterrotta,chissà...).
Queste trovate hanno piena ragion d'essere fintantoché utilizzate allo scopo di
ridicolizzare esplicitamente la criminalità -da qui la scelta di attori
"naturalmente" caricaturali, dotati di tratti somatici ai limiti del
grottesco (e del mostruoso: indimenticabili freaks, il "portiere" di
Don Vito, sorta di Lurch della Famiglia Addams all'italiana, e lo scagnozzo
grassone e pervertito Damiano, le cui impagabili espressioni facciali lasciano
intendere -più efficacemente di qualunque immagine- cosa stia facendo mentre i
suoi compagni torturano la fidanzata del protagonista...un vero colpo basso,
una scena "cult" !)-, ma stonano un po' col clima generale del film
quando vengono impiegate, piuttosto gratuitamente, per tratteggiare alcuni
caratteristi (il barista dell'albergo, l'ubriacona col cagnolino, la checca
isterica al night, il meccanico zoppo, il cliente delle prostitute balbuziente...possibile
che non ci siano persone vagamente "normali" -per quanto sia vago ed
opprimente tale aggettivo- in giro?), ai quali, oltre ad un aspetto fisico e ad
un linguaggio corporeo improbabili, vengono affibbiati pure voci (non un
granché, anzi, piuttosto irritante, lo slang italoamenricano del killer Mr.
Catania) e dialoghi ("MIGNORENNI"...mah...) non proprio ispirati. Per
essere più espliciti, potremmo dire che Di Leo incappa a tratti nei difetti e
nelle posture della commedia trash all'italiana del periodo, peccatucci tutto
sommato marginali (forse pignolerie del sottoscritto criticone) che non mettono
in discussione la buona qualità generale dell'insieme, ma che lasciano un po'
perplessi...va pur detto, per chiudere la parentesi, che la parte finale del
film, col protagonista che si lancia come un treno in corsa impazzito contro
l'Organizzazione che gli ha tolto tutto, mette da parte ogni buffoneria per
lasciar immergere lo spettatore in un'escalation drammatica che non conosce
cali di tensione, un crescendo maestoso che si conclude con l'epico
"triello" finale, in cui l'unico ostacolo alla solennità del momento
-il tenero gattino bianco- viene emblematicamente rimosso dal killer bianco, un
Henry Silva di ineguagliabile antipatia e perfidia.
Già, venendo agli attori, tutto il cast funziona a
meraviglia: Mario Adorf, meritatamente promosso protagonista dopo la
convincente interpretazione del sanguigno ma appassionato criminale Rocco Musco
in "MILANO CALIBRO 9", offre un'interpretazione grandiosa (un attore
decisamente da rivalutare e che avrebbe meritato maggior fortuna...dopo una
prova di questa levatura, resta un po' di rammarico per le poche occasioni
avute in carriera per dimostrare le proprie capacità), riuscendo nel non facile
compito di dar vita ad un personaggio che cambia completamente aspetto nel
corso del film, tramutandosi da remissivo e bonario pappone in implacabile
giustiziere capace di sfoderare un eroismo che che non ci si aspetterebbe da un
"uomo di casino" ("E' LA PAURA CHE M'HA FATTO FORTE");
ottimi e pienamente calati nella parte anche Strode e Silva, dotati del giusto
phisique du role per interpretare i killers, due personaggi diversissimi tra
loro (il nero ombroso e taciturno, quasi monacale nel suo rigore professionale;
il paisà smargiasso e donnaiolo, sensibile ad ogni tentazione possibile) ma
accomunati da freddezza e cattiveria da vendere; efficace e crudele al punto
giusto -forse più degli americani- Adolfo Celi (memorabile e quasi poetico il
confronto finale tra il "suo" Don Vito e Canali, col cattivo che si
ritrova ad accettare con eroica rassegnazione una morte onorevole), non più una
sorpresa dopo l'exploit nel ruolo del villain in "THUNDERBALL" (saga
007); gradevoli e funzionali le partecipazioni di alcuni volti storici del
nostro cinema quali Franco Fabrizi (indimenticato "vitellone" di
Fellini), Sylva Koscina (qui moglie del protagonosta, sempre affascinante) e
Francesca Romana Coluzzi (l'hippie spilungona dalla parrucca azzurra, già
"Asmara" nel "SERAFINO" DI Germi e Celentano). Una
curiosità: tra i membri della comune ("600 MILIONI DI CINESI DOVE LI
METTEREMO QUANDO ARRIVERANNO? MA PER MAO UN POSTO CI SARA' SEMPRE"...) si
riconosce un giovanissimo Renato Zero (il ragazzo con la bombetta nera), non
ancora eccentrica icona glam romana degli anni '70 (il "DAVID BOWIE DE
NOANTRI") e controverso agitatore dei sonni dei benpensanti.
Per ciò che concerne le considerazioni tecniche (mi tocca
pur farne, quindi rassegnatevi), il film consente al regista di dar prova del
proprio notevole stile e di una innegabile abilità nel girare sequenze d'azione
(splendidi sia l'inseguimento, lunghissimo, all'assassino delle due donne che
il regolamento di conti finale), oltreché nel coreografare sapientemente le
numerose scene violente (mai gratuite e utili invece ad "oliare"
l'intreccio); ottima anche la colonna sonora di Armando Trovajoli, con i tipici
temi jazzati del genere (e del periodo: una delle costanti dei futuri
poliziotteschi sarà proprio la presenza di ottime partiture, spesso l'unico
motivo di interesse di film complessivamente mediocri; qui ci si può fare
veramente un'idea di cosa siano stati gli anni '70 per la musica!!!) che
commentano l'azione in maniera perfetta, un lavoro degno di rivaleggiare con le
superlative composizioni realizzate dallo strano (ma felicissimo) connubio
OSANNA-Luis Bacalov per "MILANO CALIBRO 9", tutto ciò a dimostrare
l'attenzione del regista per il lato cosmetico dei suoi film (come già
accennato poco sopra, si tratta di un altro aspetto che il poliziottesco
mutuerà dalla trilogia).
Tornando, infine, alla sceneggiatura, se per i motivi già
esposti non possiamo parlare di capolavoro, va detto che la semplicità di fondo
della storia e l'assenza delle istanze politiche che appesantivano (unico neo)
"MILANO CALIBRO 9", giovano ad un film agile e godibilissimo nella
sua oretta e mezzo; certo, non possiamo aspettarci quel clima ambiguo e
misterioso che rendeva affascinante il primo capitolo, né i suoi personaggi
carismatici ed epici, ma la magnetica presenza di Mario Adorf sostiene il peso
quasi da sola e riesce a suscitare attenzione ed empatia verso l'unico
personaggio (difficile non solidarizzare con il protagonista e non provare
rabbia assieme a lui quando parte all'inseguimento dell'autista che ha falciato
le sue donne) veramente interessante della pellicola.
Almeno due le frasi da mettere in cassaforte: "NEW YORK
CI PENSA E SI INCARICA DI COLARGLI IL PIOMBO IN BOCCA" (il
"Corso"/ Cyril Cusack ai due assassini, riferito a Canali);
"QUANDO ARRIVANO LE PREGHIERE DI UNA MADRE VUOL DIRE CHE L'UOMO NON E'
BUONO" (Don Vito ai suoi tirapiedi, personalmente la mia favorita)
L'edizione DVD, pur essendo decisamente scarna sul versante
extra, ha il merito di presentarci finalmente il flim nella sua versione integrale,
dato che in televisione circola regolarmente decurtato di alcune scene; molto
buona anche la qualità del restauro audio-video.
Francesco Vignaroli
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