25 giugno, 2012

Musicisti italiani quasi dimenticati: Niccolò Jommelli (Aversa 1714 – Napoli 1774)... Rivalutiamo la nostra musica colta!



Quanti di noi girando per le città avranno letto, chissà quante volte, nomi di musicisti e si saranno chiesti chi saranno mai costoro e perché mai si saranno meritati questo marmoreo ricordo postumo ?
Lo spunto me lo diede qualche tempo fa il mio amico Leonardo, pregandomi di scrivere qualcosa su un musicista che non se lo “filava” nessuno e poi, visto che lui ci abitava in quella via…
Eccoci qui a ricordare Niccolò Jommelli, compositore campano figlio di un ricco mercante: Francesco Antonio e della moglie Margherita Cristiano.  Già all’età di undici anni studiava musica, dopo aver preso lezioni dal maestro del coro di Aversa Muzzillo, al conservatorio Sant’Onofrio di Napoli, sotto la guida dei maestri Durante, Feo e Prota. Passò al Conservatorio della Pietà dei Turchini sotto i maestri Fago, Basso e Sarcuni per completare gli studi. Il suo primo incarico lo ottenne dal marchese di Vasto e di Pescara come Maestro di cappella e debuttò con la sua opera comica L’errore amoroso  nel 1737 al teatro Nuovo di Napoli: un successo. L’anno dopo scrisse Odoardo, sua prima opera seria, che fu rappresentata al Teatro dei Fiorentini. Ottenne così diverse commissioni a Roma, sotto la protezione del futuro cardinale inglese Henry Benedict Stuart. A Bologna, invece, incontrò padre Martini, che rimase molto colpito dalla capacità del musicista ed entrò così nell’Accademia Filarmonica; strinse col padre francescano una profonda amicizia che durò per tutta la vita. A Venezia, tramite Johann Adolf Hasse (allievo di Scarlatti e amico di Quantz), che conobbe a Napoli, ebbe modo di avere l’incarico di direttore del conservatorio degli Incurabili e qui scrisse principalmente musica sacra, per poi spostarsi a Ferrara e a Padova. era già u compositore affermato quando si recò a Vienna nel ’49, dove conobbe di persona, stringendo anche con lui un’amicizia che durò tutta la vita, Metastasio ed entrò così in contatto con l’ambiente relativo alla riforma del melodramma. Scrisse Achille in Sciro, Catone in Utica e una seconda versione di Didone abbandonata- la prima venne scritta tre anni prima a Roma. Tornò a Roma e grazie ai suoi protettori Stuart e Alessandro Albani, quest’ultimo nipote di papa Clemente XI, ottenne l’incarico di aiuto maestro di cappella in S. Pietro. Non si fermò molto qui, dopo aver ricevuto, infatti, offerte da Mannheim, Lisbona… qualche anno dopo andò a Stoccarda dal duca Carlo Eugenio di Wurttemberg come Ober-Kapellmeister. Curioso l’aneddoto che volle Casanova protagonista di un’usanza forse a lui sconosciuta: nel teatro, per ordine del duca, bisognava mantenere il più rigoroso silenzio, mentre in altri teatri non era affatto così a quel tempo, fino a quando il duca non si sarebbe espresso. Casanova invece applaudì, estasiato da un’aria, nel silenzio più totale del teatro.
Nella sua permanenza a Stoccarda ebbe modo di staccarsi dallo stile metastasiano arricchendo le sue opere di una maggiore intensità ed espressione drammatica, di una più solida struttura scenico-musicale e di un maggior coordinamento tra musica e  sviluppo drammatico. Le sue finezze delle coloriture nelle arie di bravura ed i suoi recitativi accompagnati, preferiti a quelli secchi tradizionali, segnarono una svolta nell’opera seria – guardò con interesse all’opera francese. Ebbe a disposizione i migliori coreografi, scenografi, musicisti. Il suo librettista Verazi si rifaceva non alla mitologia romana, ma a quella greca e insieme crearono molte opere serie, comiche, serenate, musica sacra. Con la moglie malata pensò che l’aria salubre di Aversa le avrebbe giovato, ma purtroppo la donna non ce la farà e morirà nel ’69. Per dissapori con la corte del duca, Jommelli ne approfittò per fare un viaggio in Italia e tornò definitivamente a Napoli. Nella lettera alla sorella Nannerl del 29 maggio del ‘70 Wolfang Amadeus Mozart scrisse in italiano sull’incontro con Jommelli alla prova di Armida abbandonata: Carissima sorella mia. Hieri l’altro fùmmo nella prova dell’opera del sig:. Jomela, la quale è una opera, che è ben scritta, e che me piace veramente; il sig: Jomela ci a parlati, è era molto civile […]”Ancora il 5 giugno alla sorella in un miscuglio di italiano, francese, tedesco e dialetto salisburghese : […] L’opera di Jommelli, è bella ma troppo seria e antiquata per il teatro; la De Amicis (Anna Lucia De Amicis  n.d.a.) canta  in maniera incomparabile, come Aprile (Giuseppe Aprile n.d.a.) , che ha cantato a Milano. Le danze sono ignobilmente pompose; […]”. Lo storiografo della musica Charles Burney nel suo viaggio musicale in Italia, nell’incontro del 26 ottobre del ‘70 ce lo descrive così: […] “E’ un uomo assai corpulento, il suo viso mi ricorda quello di Haendel, per quanto sia nei modi assai più mite ed affabile. Lo trovai in veste da camera, seduto a scrivere dinanzi ad uno strumento. […]  mi congedai nel modo più amichevole da questo grande compositore che è senza dubbio uno dei migliori ora viventi in tutto il mondo; se dovessi classificare i compositori d’opera italiani […] lo farei nell’ordine seguente: Jommelli, Galuppi, Piccini, Sacchini. […]”. Ormai le mode cambiavano i gusti musicali ed il nostro Jommelli, dopo il fallimento di  Ifigenia in Tauride, cadde in depressione e subì un colpo apoplettico che gli provocò una emiparesi nella parte destra del corpo. Decise di dedicarsi esclusivamente alla musica sacra ed ecco il suo ultimo capolavoro: il Miserere a due voci e orchestra.
Morì  nella notte, a causa di un secondo colpo apoplettico, tra il 25 e il 26 agosto 1774. Con una raccolta fondi da parte di tutti i musicisti di Napoli si procedette al funerale e alla tumulazione nella chiesa del convento di Sant’Agostino della Zecca. Chissà se ora il mio amico Leonardo in quella via ci abita più volentieri?


Massimo Montella










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