Quanti di noi girando per le
città avranno letto, chissà quante volte, nomi di musicisti e si saranno
chiesti chi saranno mai costoro e perché mai si saranno meritati questo
marmoreo ricordo postumo ?
Lo spunto me lo diede qualche
tempo fa il mio amico Leonardo, pregandomi di scrivere qualcosa su un musicista
che non se lo “filava” nessuno e poi, visto che lui ci abitava in quella via…
Eccoci qui a ricordare Niccolò
Jommelli, compositore campano figlio di un ricco mercante: Francesco Antonio e della
moglie Margherita Cristiano. Già all’età
di undici anni studiava musica, dopo aver preso lezioni dal maestro del coro di
Aversa Muzzillo, al conservatorio Sant’Onofrio di Napoli, sotto la guida dei
maestri Durante, Feo e Prota. Passò al Conservatorio della Pietà dei Turchini
sotto i maestri Fago, Basso e Sarcuni per completare gli studi. Il suo primo
incarico lo ottenne dal marchese di Vasto e di Pescara come Maestro di cappella
e debuttò con la sua opera comica L’errore
amoroso nel 1737 al teatro Nuovo di
Napoli: un successo. L’anno dopo scrisse Odoardo,
sua prima opera seria, che fu rappresentata al Teatro dei Fiorentini. Ottenne
così diverse commissioni a Roma, sotto la protezione del futuro cardinale inglese
Henry Benedict Stuart. A Bologna, invece, incontrò padre Martini, che rimase
molto colpito dalla capacità del musicista ed entrò così nell’Accademia
Filarmonica; strinse col padre francescano una profonda amicizia che durò per
tutta la vita. A Venezia, tramite Johann Adolf Hasse (allievo di Scarlatti e
amico di Quantz), che conobbe a Napoli, ebbe modo di avere l’incarico di
direttore del conservatorio degli Incurabili e qui scrisse principalmente
musica sacra, per poi spostarsi a Ferrara e a Padova. era già u compositore
affermato quando si recò a Vienna nel ’49, dove conobbe di persona, stringendo
anche con lui un’amicizia che durò tutta la vita, Metastasio ed entrò così in
contatto con l’ambiente relativo alla riforma del melodramma. Scrisse Achille in Sciro, Catone in Utica e una seconda versione di Didone abbandonata- la prima venne scritta tre anni prima a Roma.
Tornò a Roma e grazie ai suoi protettori Stuart e Alessandro Albani,
quest’ultimo nipote di papa Clemente XI, ottenne l’incarico di aiuto maestro di
cappella in S. Pietro. Non si fermò molto qui, dopo aver ricevuto, infatti, offerte
da Mannheim, Lisbona… qualche anno dopo andò a Stoccarda dal duca Carlo Eugenio
di Wurttemberg come Ober-Kapellmeister. Curioso l’aneddoto che volle Casanova
protagonista di un’usanza forse a lui sconosciuta: nel teatro, per ordine del
duca, bisognava mantenere il più rigoroso silenzio, mentre in altri teatri non
era affatto così a quel tempo, fino a quando il duca non si sarebbe espresso. Casanova
invece applaudì, estasiato da un’aria, nel silenzio più totale del teatro.
Nella sua permanenza a Stoccarda
ebbe modo di staccarsi dallo stile metastasiano arricchendo le sue opere di una
maggiore intensità ed espressione drammatica, di una più solida struttura
scenico-musicale e di un maggior coordinamento tra musica e sviluppo drammatico. Le sue finezze delle
coloriture nelle arie di bravura ed i suoi recitativi accompagnati, preferiti a
quelli secchi tradizionali, segnarono una svolta nell’opera seria – guardò con
interesse all’opera francese. Ebbe a disposizione i migliori coreografi,
scenografi, musicisti. Il suo librettista Verazi si rifaceva non alla mitologia
romana, ma a quella greca e insieme crearono molte opere serie, comiche,
serenate, musica sacra. Con la moglie malata pensò che l’aria salubre di Aversa
le avrebbe giovato, ma purtroppo la donna non ce la farà e morirà nel ’69. Per
dissapori con la corte del duca, Jommelli ne approfittò per fare un viaggio in
Italia e tornò definitivamente a Napoli. Nella lettera alla sorella Nannerl del
29 maggio del ‘70 Wolfang Amadeus Mozart scrisse in italiano sull’incontro con
Jommelli alla prova di Armida abbandonata:
“ Carissima sorella mia. Hieri l’altro fùmmo nella prova dell’opera del
sig:. Jomela, la quale è una opera, che è ben scritta, e che me piace
veramente; il sig: Jomela ci a parlati, è era molto civile […]”. Ancora
il 5 giugno alla sorella in un miscuglio di italiano, francese, tedesco e
dialetto salisburghese : “[…] L’opera di Jommelli, è bella ma troppo seria
e antiquata per il teatro; la De Amicis (Anna Lucia De Amicis n.d.a.) canta
in maniera incomparabile, come Aprile (Giuseppe Aprile n.d.a.) , che ha
cantato a Milano. Le danze sono ignobilmente pompose; […]”. Lo storiografo della musica Charles
Burney nel suo viaggio musicale in Italia, nell’incontro del 26 ottobre del ‘70
ce lo descrive così: […] “E’ un uomo
assai corpulento, il suo viso mi ricorda quello di Haendel, per quanto sia nei
modi assai più mite ed affabile. Lo trovai in veste da camera, seduto a scrivere
dinanzi ad uno strumento. […] mi
congedai nel modo più amichevole da questo grande compositore che è senza
dubbio uno dei migliori ora viventi in tutto il mondo; se dovessi classificare i
compositori d’opera italiani […] lo farei nell’ordine seguente: Jommelli,
Galuppi, Piccini, Sacchini. […]”. Ormai le mode cambiavano i gusti musicali
ed il nostro Jommelli, dopo il fallimento di Ifigenia
in Tauride, cadde in depressione e subì un colpo apoplettico che gli provocò
una emiparesi nella parte destra del corpo. Decise di dedicarsi esclusivamente alla
musica sacra ed ecco il suo ultimo capolavoro: il Miserere a due voci e orchestra.
Morì nella notte, a causa di un secondo colpo
apoplettico, tra il 25 e il 26 agosto 1774. Con una raccolta fondi da parte di
tutti i musicisti di Napoli si procedette al funerale e alla tumulazione nella
chiesa del convento di Sant’Agostino della Zecca. Chissà se ora il mio amico
Leonardo in quella via ci abita più volentieri?
Massimo Montella
Ma qual è quella via?
RispondiElimina