08 giugno, 2012

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Sesta puntata: "I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO"



I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO     GIAPPONE, 1953  97' B/N
(Ugetsu monogatari)

REGIA : KENJI MIZOGUCHI

INTERPRETI : MASAYUKI MORI, SAKAER OZAWA, MACHIKO KYO, KINUYO TANAKA, MITSUKO MITO

EDIZIONE DVD : Sì, distribuito da EAGLE PICTURES





Giappone, periodo Sengoku: tra un assalto al villaggio da parte dei militari e l'altro, il vasaio Genjuro e il fratello contadino Tobei lasciano mogli e campagna per tentare la sorte in città, con la prospettiva di vendere un grosso quantitativo di manufatti. Genjuro sogna di aprire un grande magazzino per incrementare il proprio giro d'affari; Tobei vuol racimolare i soldi per comprarsi un'armatura e divenire samurai al servizio di un signore. Va male ad entrambi: il primo finisce irretito da un amore soprannaturale e proibito che lo lascia sul lastrico, mentre la moglie Miyagi muore, vittima di un'aggressione; l'altro riesce ad ottenere con l'inganno (consegna al nobile del quale vuole diventare vassallo, come prova del proprio valore bellico, la testa di un valoroso guerriero nemico che in realtà ha fatto seppuku -harakiri-, millantandone l'uccisione) l'agognata investitura a samurai, salvo poi abbandonare tutto dopo aver scoperto che la moglie ha iniziato a prostituirsi in un bordello dopo aver subito uno stupro. Alla fine, tutti fanno ritorno al villaggio per ricominciare la vecchia vita: sotto la guida dello spirito della moglie defunta e dello sguardo bisognoso del figlioletto Genichi, Genjuro riprende la propria attività, mentre Tobei impugna di nuovo la zappa insieme alla moglie Ohama.

Leone d'argento a Venezia 1953 -tre anni dopo la vittoria tutta giapponese di "RASHOMON"-, il film, tratto da due racconti di Akinari Ueda pubblicati nel 1776 ("L' ALBERGO DI ASAJI" e "LA LUBRICITA' DEL SERPENTE"), esce nel periodo d'oro del cinema giapponese, trovandosi a cavallo tra "VITA DI OHARU" del 1952 -forse l'opera più celebre e significativa di Mizoguchi- e il capolavoro kurosawiano "I SETTE SAMURAI", che uscirà l'anno successivo.Molto interessante il confronto tra quest'ultimo e "I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO", due film quasi contemporanei che, pur essendo ambientati nello stesso tumultuoso periodo (l'era Sengoku, del resto, è probabilmente la fase storica maggiormente rievocata dal cinema giapponese), utilizzano approcci stilistici e semantici diametralmente opposti: da un lato, l'umanesimo combinato all'elegia della vita in chiave epico/avventurosa, conditi da inserti umoristici, dell' "imperatore"; dall'altro, la dolente, statica (il cinema d'azione non è particolarmente congeniale a Mizoguchi, che, pure, in questo film propone scene insolitamente "mosse" per il suo standard abituale) e quasi incruenta parabola sulla vanità dell'apparenza e dell'ambizione realizzata dal più anziano dei due grandi maestri nipponici.







Per una volta, Mizoguchi fa retrocedere sullo sfondo le figure femminili per rappresentare in primo piano la fulminea ascesa e caduta di due uomini distrutti dal desiderio di superare i propri limiti, storditi da un gigantismo sproporzionato ("COME L'OCEANO, L'AMBIZIONE NON HA LIMITI", chiosa Tobei con la moglie) rispetto alle loro stesse possibilità di azione e comprensione. E come non riconoscere, nella cupida estasi di  un Genjuro letteralmente trasfigurato dal desiderio (come si nota dal cambiamento del suo carattere, sempre più insofferente e ostile nei confronti di tutto ciò che ostacola la produzione, sia esso il conflitto bellico o addirittura il figlio che gioca tra i vasi in preparazione), l'immagine di un qualsiasi imprenditore medio dei tempi nostri, ipnotizzato dalle promesse del capitale? Hai voglia ad assicurare questi moderni Ulisse all'albero della nave con metri e metri di corda (i moniti delle mogli, soprattutto Ohama): il richiamo delle sirene che rispondono ai nomi di successo, ricchezza, ostentazione, fama e bellezza (come nel caso di Genjuro), è irresistibile. E le donne? Già, che ne è delle donne, lasciate sole nel bel mezzo della procella? Come sempre avviene nei film di Mizoguchi (e pure nella realtà), sono loro le vittime designate in un mondo a misura d'uomo e dall'uomo dominato, nonostante spetterebbe proprio al gentil sesso -nella visione del mondo ideale del regista, uomo cresciuto in mezzo alle donne-, il ruolo-guida nella società; l'universo di Mizoguchi, ed è questa un'altra differenza di capitale importanza rispetto a Kurosawa, parla al femminile.E' molto probabile che sia il netto maschilismo di Kurosawa (cresciuto, viceversa, in un contesto familiare particolarmente virile), mai sfociante nella misognia -è bene dirlo-, quanto il femminismo convinto di Mizoguchi, dipendano dal vissuto personale dei due cineasti. Non inganni, quindi, il ruolo apparentemente subalterno riservato alle donne di questa storia: sono sempre loro, nel bene e nel male, ad orientare e condizionare (in questo caso grazie anche alla dimensione ultraterrena) le azioni degli uomini: è per amore di Ohama che Tobei rinuncia alla ridicola pantomima del samurai, gettando nel fiume i simboli del sucesso e riappropriandosi dei più consoni indumenti da contandino, in una sorta di "risveglio" da una finzione nella quale aveva finito per credere; è a causa dello sciagurato incontro con un'inquietante e misteriosa femme fatale, capace di sedurlo toccando i tasti giusti (la promessa del piacere e della bellezza assoluti), che Genjuro, artigiano quindi artista -e come tale, sensibile al fascino dell'estetica-, capitola. La principessa fantasma, morta anch'essa di morte violenta per mano dell'uomo, non è altro che la personificazione delle illusioni, delle chimere e delle tentazioni che perturbano la mente di Genjuro, che si concede di vedere ciò che vuol vedere: tutto è troppo bello (la villa, il giardino, l'amore, il bagno...il paradiso) per essere vero; una volta rinsavito (grazie alla provvidenziale protezione della preghiera buddista dipintagli sul corpo da un santone) e ritrovatosi con un pugno di mosche in mano, il vasaio decide di tornare a casa, ed è ancora una volta una presenza soprannaturale e femminile, quella della moglie, ad accoglierlo indicandogli la strada da seguire: "LE TUE ILLUSIONI SONO FINITE. RIPRENDI IL TUO LAVORO IN PACE, ORA SEI DI NUOVO TE STESSO". Ma quanto è costata, a Miyagi, la sbandata del marito! Solo il sacrificio di una donna ha reso possibile il mantenimento della speranza nel futuro (il figlio Genichi che, quasi consapevole di ciò, versa la ciotola di riso che gli dà Ohama, sopra il tumulo della mamma) di un mondo che rimane forse irredimibile: da antologia della crudeltà la scena dell'aggressione subita da Miyagi, vittima di alcuni diperati che non si fanno scrupolo di assalire e derubare una donna indifesa che ha pure un bambino sulle spalle!
Perché, in ultima analisi, Mizoguchi decide di ricorrere al soprannaturale? Forse perché la metapsichica, come le passioni di cui si fa portatrice in questo film, fa appello alla componente irrazionale presente in ognuno di noi. Ma è anche il contesto generale, come riconosce Tobei (" LA GUERRA HA OFFUSCATO LE NOSTRE MENTI"), a modificare il comportamento delle persone, specie se tale contesto è dominato dalla manifestazione più terrificante che ci sia dell'irrazionalità collettiva: la guerra. Chi è più folle tra colui che dà corpo ai propri sogni (fantasmi), e colui che decide di perseguirli cementandoli col sangue?

L' edizione DVD, buona per quanto concerne la qualità delle immagini, offre -giustamente, onde evitare il solito scempio dei doppiaggi posticci- la sola traccia audio originale con sottotitoli in italiano.

Francesco Vignaroli

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