I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO GIAPPONE, 1953 97' B/N
(Ugetsu monogatari)
REGIA : KENJI MIZOGUCHI
INTERPRETI : MASAYUKI MORI, SAKAER OZAWA, MACHIKO KYO,
KINUYO TANAKA, MITSUKO MITO
EDIZIONE DVD : Sì, distribuito da EAGLE PICTURES
Giappone, periodo Sengoku: tra un assalto al villaggio da parte dei militari e l'altro, il vasaio Genjuro e il fratello contadino Tobei lasciano mogli e campagna per tentare la sorte in città, con la prospettiva di vendere un grosso quantitativo di manufatti. Genjuro sogna di aprire un grande magazzino per incrementare il proprio giro d'affari; Tobei vuol racimolare i soldi per comprarsi un'armatura e divenire samurai al servizio di un signore. Va male ad entrambi: il primo finisce irretito da un amore soprannaturale e proibito che lo lascia sul lastrico, mentre la moglie Miyagi muore, vittima di un'aggressione; l'altro riesce ad ottenere con l'inganno (consegna al nobile del quale vuole diventare vassallo, come prova del proprio valore bellico, la testa di un valoroso guerriero nemico che in realtà ha fatto seppuku -harakiri-, millantandone l'uccisione) l'agognata investitura a samurai, salvo poi abbandonare tutto dopo aver scoperto che la moglie ha iniziato a prostituirsi in un bordello dopo aver subito uno stupro. Alla fine, tutti fanno ritorno al villaggio per ricominciare la vecchia vita: sotto la guida dello spirito della moglie defunta e dello sguardo bisognoso del figlioletto Genichi, Genjuro riprende la propria attività, mentre Tobei impugna di nuovo la zappa insieme alla moglie Ohama.
Leone d'argento a Venezia 1953 -tre anni dopo la vittoria
tutta giapponese di "RASHOMON"-, il film, tratto da due racconti di
Akinari Ueda pubblicati nel 1776 ("L' ALBERGO DI ASAJI" e "LA
LUBRICITA' DEL SERPENTE"), esce nel periodo d'oro del cinema giapponese,
trovandosi a cavallo tra "VITA DI OHARU" del 1952 -forse l'opera più
celebre e significativa di Mizoguchi- e il capolavoro kurosawiano "I SETTE
SAMURAI", che uscirà l'anno successivo.Molto interessante il confronto tra
quest'ultimo e "I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO", due film
quasi contemporanei che, pur essendo ambientati nello stesso tumultuoso periodo
(l'era Sengoku, del resto, è probabilmente la fase storica maggiormente
rievocata dal cinema giapponese), utilizzano approcci stilistici e semantici
diametralmente opposti: da un lato, l'umanesimo combinato all'elegia della vita
in chiave epico/avventurosa, conditi da inserti umoristici, dell'
"imperatore"; dall'altro, la dolente, statica (il cinema d'azione non
è particolarmente congeniale a Mizoguchi, che, pure, in questo film propone
scene insolitamente "mosse" per il suo standard abituale) e quasi
incruenta parabola sulla vanità dell'apparenza e dell'ambizione realizzata dal
più anziano dei due grandi maestri nipponici.
Per una volta, Mizoguchi fa retrocedere sullo sfondo le
figure femminili per rappresentare in primo piano la fulminea ascesa e caduta
di due uomini distrutti dal desiderio di superare i propri limiti, storditi da
un gigantismo sproporzionato ("COME L'OCEANO, L'AMBIZIONE NON HA
LIMITI", chiosa Tobei con la moglie) rispetto alle loro stesse possibilità
di azione e comprensione. E come non riconoscere, nella cupida estasi di un Genjuro letteralmente trasfigurato dal
desiderio (come si nota dal cambiamento del suo carattere, sempre più
insofferente e ostile nei confronti di tutto ciò che ostacola la produzione,
sia esso il conflitto bellico o addirittura il figlio che gioca tra i vasi in
preparazione), l'immagine di un qualsiasi imprenditore medio dei tempi nostri,
ipnotizzato dalle promesse del capitale? Hai voglia ad assicurare questi
moderni Ulisse all'albero della nave con metri e metri di corda (i moniti delle
mogli, soprattutto Ohama): il richiamo delle sirene che rispondono ai nomi di
successo, ricchezza, ostentazione, fama e bellezza (come nel caso di Genjuro),
è irresistibile. E le donne? Già, che ne è delle donne, lasciate sole nel bel
mezzo della procella? Come sempre avviene nei film di Mizoguchi (e pure nella
realtà), sono loro le vittime designate in un mondo a misura d'uomo e dall'uomo
dominato, nonostante spetterebbe proprio al gentil sesso -nella visione del
mondo ideale del regista, uomo cresciuto in mezzo alle donne-, il ruolo-guida
nella società; l'universo di Mizoguchi, ed è questa un'altra differenza di
capitale importanza rispetto a Kurosawa, parla al femminile.E' molto probabile
che sia il netto maschilismo di Kurosawa (cresciuto, viceversa, in un contesto
familiare particolarmente virile), mai sfociante nella misognia -è bene dirlo-,
quanto il femminismo convinto di Mizoguchi, dipendano dal vissuto personale dei
due cineasti. Non inganni, quindi, il ruolo apparentemente subalterno riservato
alle donne di questa storia: sono sempre loro, nel bene e nel male, ad
orientare e condizionare (in questo caso grazie anche alla dimensione
ultraterrena) le azioni degli uomini: è per amore di Ohama che Tobei rinuncia
alla ridicola pantomima del samurai, gettando nel fiume i simboli del sucesso e
riappropriandosi dei più consoni indumenti da contandino, in una sorta di
"risveglio" da una finzione nella quale aveva finito per credere; è a
causa dello sciagurato incontro con un'inquietante e misteriosa femme fatale,
capace di sedurlo toccando i tasti giusti (la promessa del piacere e della
bellezza assoluti), che Genjuro, artigiano quindi artista -e come tale,
sensibile al fascino dell'estetica-, capitola. La principessa fantasma, morta
anch'essa di morte violenta per mano dell'uomo, non è altro che la
personificazione delle illusioni, delle chimere e delle tentazioni che
perturbano la mente di Genjuro, che si concede di vedere ciò che vuol vedere:
tutto è troppo bello (la villa, il giardino, l'amore, il bagno...il paradiso)
per essere vero; una volta rinsavito (grazie alla provvidenziale protezione della
preghiera buddista dipintagli sul corpo da un santone) e ritrovatosi con un
pugno di mosche in mano, il vasaio decide di tornare a casa, ed è ancora una
volta una presenza soprannaturale e femminile, quella della moglie, ad
accoglierlo indicandogli la strada da seguire: "LE TUE ILLUSIONI SONO
FINITE. RIPRENDI IL TUO LAVORO IN PACE, ORA SEI DI NUOVO TE STESSO". Ma
quanto è costata, a Miyagi, la sbandata del marito! Solo il sacrificio di una
donna ha reso possibile il mantenimento della speranza nel futuro (il figlio
Genichi che, quasi consapevole di ciò, versa la ciotola di riso che gli dà
Ohama, sopra il tumulo della mamma) di un mondo che rimane forse irredimibile:
da antologia della crudeltà la scena dell'aggressione subita da Miyagi, vittima
di alcuni diperati che non si fanno scrupolo di assalire e derubare una donna
indifesa che ha pure un bambino sulle spalle!
Perché, in ultima analisi, Mizoguchi decide di ricorrere al
soprannaturale? Forse perché la metapsichica, come le passioni di cui si fa
portatrice in questo film, fa appello alla componente irrazionale presente in
ognuno di noi. Ma è anche il contesto generale, come riconosce Tobei (" LA
GUERRA HA OFFUSCATO LE NOSTRE MENTI"), a modificare il comportamento delle
persone, specie se tale contesto è dominato dalla manifestazione più
terrificante che ci sia dell'irrazionalità collettiva: la guerra. Chi è più
folle tra colui che dà corpo ai propri sogni (fantasmi), e colui che decide di
perseguirli cementandoli col sangue?
L' edizione DVD, buona per quanto concerne la qualità delle
immagini, offre -giustamente, onde evitare il solito scempio dei doppiaggi
posticci- la sola traccia audio originale con sottotitoli in italiano.
Francesco Vignaroli
Nessun commento:
Posta un commento