Mi trovo in un parco
giochi per adulti, mi aggiro come in trance tra i chioschi, le giostre, leggo le
scritte, i messaggi, guardo le foto, ascolto voci e musiche, non so decidermi dove
entrare.
Tutto mi attrae, m’incuriosisce,
sento l’aroma inebriante del proibito, dell’eros, del peccato: è il luna park
più strano che io abbia mai visto.
Sto forse sognando?
Poi, dalle pareti di un’attrazione, la
struttura è di un palazzo barocco in una stradina della vecchia Roma, la
gigantografia del viso di una bella donna dai capelli neri tagliati a caschetto
e gli occhi marcati di eye-liner, assomiglia all’attrice degli anni venti Louise
Brooks, silenziosamente ma con decisione, con uno sguardo ammiccante e
malizioso, m’invita a entrare…
Non ci penso due
volte, ogni lasciata è persa, diceva qualcuno, e poi quella maschietta è troppo
intrigante per passare oltre.
Entro e di nuovo il
suo volto, sembra proprio che mi guardi. Mi ha forse fatto l’occhiolino?
Così comincia il mio
viaggio tra i sogni di Valentina, personaggio uscito nel 1965 dalla penna di Guido
Crepax e messo in mostra con il titolo “Valentina Movie” nelle sale di Palazzo
Incontro nella Capitale fino al 30 settembre.
E se i suoi sogni
fossero anche i miei? I nostri?
Vediamo che succede…
La vedo in posa sexy nel
pannello a grandezza naturale che sta in mezzo alla sala, indossa lunghi
stivali di vinile con zip laterale, tre cinture intorno alla vita, e le
macchine fotografiche appese al collo le coprono a mala pena il seno nudo.
Tutto normale per Valentina. E ci chiede anche di posare: “Fermi così!”.
Poco dopo è lei a
passare con disinvoltura al ruolo di modella e allora le pose non sono più di
chi possiede ma di chi è posseduto: languidamente distesa su una chaise longue,
accarezzando un gatto, o accarezzando se stessa, facendo le fusa a sua volta,
specchiandosi e cambiandosi d’abito, spogliandosi e lasciando cadere le
mutandine di pizzo. Valentina è irriverente e libertina, le piace provare
tutto, soprattutto i sogni.
Continuo a sognare
anch’io mentre passo tra le sale della mostra.
In un video Valentina
a cavallo di una scopa, rigorosamente nuda, si lancia da una finestra e vola
nel cielo di città immaginarie, di cui a volte riconosciamo uno scorcio, una
piazza, una fontana.
Schiava e padrona,
modella e art director, dolce e aggressiva, individualista e feticista, non
perde mai l’eleganza e la carica erotica. Le sue antitesi si compongono e
scompongono secondo le situazioni, con disinvoltura Valentina mette e toglie
maschere, come mette e toglie un vestito.
Ogni sogno è diverso,
ogni incubo pure. Assapora ogni sensazione, vive ogni storia, camminando con
passo sicuro su sandali vertiginosi, avvolta in pellicce lunghe fino ai piedi, indossando tute che le aderiscono al corpo
come una seconda pelle oppure hot pants che le lasciano scoperte le gambe
mozzafiato. Sembra che tutto quello che
tocca le appartenga e lo sappia usare e dominare con bellezza e sicurezza,
senza sentimentalismi o cadute di stile. Anche quando scompostamente si siede
divaricando le gambe con una camicetta aperta sul seno, in attesa del prossimo
round.
Crepax disegnava con
un sottofondo di musica jazz, forse perché è la musica più simile a Valentina,
una musica nata da spiriti liberi, o che anelavano a esserlo, che si può
improvvisare nei locali o per le strade, che tocca la pelle, che ama il sogno e
anche la realtà, proprio come la nostra eroina.
Non so più nemmeno io
se sto sognando o se le stradine del centro storico di Roma e poi il Tevere che
scorre lento e verde sotto il ponte dell’Ara Pacis siano parte di una storia di
Valentina, al di fuori di quel magico luna park che è il nostro inconscio.
Ma il gelato che mi
rinfresca in una caldissima giornata d’estate mi riporta alla realtà.
Eppure sto ancora
pensando a Valentina…
Daria D.
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