P.P. di
alcuni insetti legati tra loro da un filo. Si dibattono freneticamente cercando
di liberarsi.
Musica
di chitarra, melodia spagnola.
La camera si allarga
su un bambino indios, nudo dalla cintola in giù, magro, scalzo, porta un
capello di paglia sfilacciata. E’ lui che ha imprigionato gli insetti.
C.L.
sulla strada principale del villaggio, entrano in campo un uomo vestito di
bianco che sta leccando un gelato, un mendicante che si trascina a fatica
tendendo la mano, una donna che porta sul capo un grande cesto, un ambulante,
un ragazzo su un asinello, un avvoltoio appollaiato sulla strada come un cane
randagio, le palme, le pozzanghere, la torre di un oleodotto che svetta in
lontananza.
Su uomini, cose e
animali batte il sole rovente, mentre il tempo si è fermato in questo lembo di
terra, il villaggio di Las Piedras i cui abitanti sembrano essere senza
ambizioni, futuro, prospettive, quasi subendo il destino, sperano che la notte
arrivi in fretta a placare il caldo snervante dei tropici.
Sono i personaggi a
dare il ritmo alla macchina da presa che lentamente li segue, in soggettiva,
fino al locale El Corsario Negro. In questo bar si conoscono tutti, ci vanno
per giocare a carte, per bere, per fumare, per cercare un po’ d’ombra o, più
probabilmente, per cercare il nulla.
C’è anche Yves
Montand, il primo dei quattro protagonisti di questo che è certamente uno dei
più bei film della storia del cinema: Vite
vendute (titolo originale Le salaire
de la peur) di Henri-Georges Clouzot, anno 1953, tratto dal romanzo di
Georges Arnauld.
Il suo personaggio, Mario, è il tipico uomo
alla deriva ma che un’aspirazione ce l’ha: tornare a Parigi, appena sarà in
grado di racimolare i soldi per il biglietto d’aereo. E’ arrivato chissà quando, pensava di fare
fortuna, poi si è lasciato prendere dal ritmo imbevuto di sudore e
rassegnazione del luogo e c’è rimasto più a lungo di quanto pensasse. Ma quel
biglietto del metro di Parigi, stazione di Pigalle è il suo amuleto,
rappresenta il suo sogno da realizzare.
Fazzolettino al collo, canottiera sformata e
sudicia sotto una giacca di lino che potrebbe anche essere una camicia,
pantaloni anch’essi bianchi e stropicciati, ha l’aria furba, è di bell’aspetto,
insomma una simpatica canaglia. Se n’è accorta anche la servetta che lavora lì,
Linda, interpretata da Vera Clouzot, che ogni tanto smette di pulire il
pavimento, si alza da terra e va a strusciarsi come una gattina sul suo
braccio.
“Dame un beso, Mario”
lo implora. Lei non è solo la servetta del locale ma anche degli uomini che
bazzicano lì, ma è innamorata pazza del bell’avventuriero francese.
La straordinaria
fotografia di Armand Thirard è il bianco della luce abbacinante del sole e il
nero che nasconde le vite e i sogni dei personaggi e le forme sgretolate delle
cose abbandonate anche loro allo stesso destino.
La storia del film è
di un’impresa quasi impossibile: trasportare su due autocarri 900 chili di nitroglicerina
a 600 chilometri di distanza, per spegnere un pozzo petrolifero in fiamme.
Ma è anche la storia di quattro vite unite dal
bisogno e dallo stesso destino. Vite
vendute alla vita, che non hanno nulla da perdere, ma solo da guadagnare: un
po’ di sopravvivenza in più, un successo da dividere con la propria donna o
nella solitudine dei tropici, un viaggio senza ritorno, la riconquista della
propria libertà.
Il secondo personaggio è Bimba, interpretato
da Peter Van Eyck, un autista di origini nordiche che salta sulla camionetta
per andare all’aeroporto. Ogni volta che atterra un volo potrebbe essere
un’occasione per fare soldi con i nuovi arrivati, magari americani che lavorano
alla SOC (Southern Oil Company) oppure
viaggiatori in cerca di un posto dove alloggiare.
Dall’aereo, insieme
ad un militare americano e a una capra tenuta al guinzaglio, scende Charles
Vanel, Mister Jo, elegantissimo nel suo completo bianco, comprese le scarpe, la
camicia nera, la cravatta, il panama e un frustino per scacciare le mosche. Ha
l’aria del petroliere, del riccone, e questo è quello che ci vuol far credere,
altezzoso e distaccato, ma scopriremo più tardi che la sua è solo una facciata,
una misera facciata. E ne proveremo pena anche perché si dimostrerà il più codardo
di tutti, oltre al più anziano.
Ci manca il quarto
personaggio: è Luigi, l’italiano, il muratore, sempre con l’immancabile coppola
in testa, l’uomo buono, generoso, malato ai polmoni, che nella prima scena in
cui appare sta impastando, non la calce, ma la farina per fare le tagliatelle.
Luigi è interpretato dal simpatico Folco Lulli.
Ecco, il poker d’assi
è al completo. Saranno loro a trasportare la nitroglicerina, in due coppie:
Mario e Mr. Jo su un camion, Luigi e Bimba sull’altro.
La loro avventura
comincia sul far dell’alba, lasciandosi dietro tutto e niente.
Vera, impaurita di
non rivedere più Mario, correrà ad arrampicarsi sul camion in movimento
pregandolo di non andare via, di rinunciare all’impresa. Ma lui aprirà la portiera con forza e lei
volerà come una colomba piangente sulla strada fangosa e nera.
Francese, italiano,
inglese, spagnolo si mescolano in bocca ai protagonisti, che passano da una
lingua all’altra con disinvoltura ed estrema bravura, come è la loro
recitazione. Perfetta.
Clouzot li ha scelti
bene gli attori e li ha diretti altrettanto bene, ognuno rappresenta un lato
del carattere umano e quando via via che il film prosegue, in una suspense di
grande tensione, li perdiamo per strada, perché un dramma ha bisogno di vittime
sacrificali, ci rattristiamo.
Ma la vita continua.
Fino all’arrivo
dell’unico superstite che, stanco e stremato, vacilla al suolo, di fronte alle
fiamme del pozzo petrolifero. Ha
compiuto la missione, anche se ha perso i compagni di avventura, ma quel che
conta è che intascherà il denaro e Pigalle comincerà a essere sempre più reale
nelle su fantasie. Può riprendere la guida del camion, alleggerito dalla
nitroglicerina e tornare a Las Piedras, dove Vera lo sta aspettando, ballando
una
Musica di valzer
La fine è la fine
delle storie che parlano di vita, di amicizia, di amore.
Clouzot ci regala,
con più di due ore dense di tutto quello che un grande cineasta sa filmare e
raccontare, un film che a distanza di tanti anni emoziona e sorprende.
I capolavori danzano
allo stesso modo sulle arie di un valzer o su una sirena di allarme, con la
stessa forza e la stessa maestria. Perché la vita come l’arte non ha confini.
FINE
Daria
D.
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