Arash Abbasi è un giovane
drammaturgo iraniano che abita ora in Italia. Nel suo paese era famoso, ma ora
deve ricostruirsi una carriera. Arash si racconta al Corriere, raccontando la
sua vita e parlando anche del teatro iraniano.
Ciao
Arash, grazie per la disponibilità dimostrata per fare questa intervista. Puoi
parlarmi di te? Raccontami in breve la tua vita e di come e dove ti sei formato
come drammaturgo…
Arash Abbasi |
Sono nato nel 1978 a Malayer, nella regione di Hamadan.
Conobbi il teatro durante la scuola, precisamente nel 1988-89, quando per la
prima volta andai a guardare uno spettacolo. In realtà, fino a quel momento
avevo visto solo gli spettacoli degli allievi della scuola e non avevo mai
avuto l’opportunità di comprare un biglietto per guardare un vero spettacolo
assieme agli altri spettatori. Quello spettacolo era di genere comico, e in
esso recitava un attore chiamato “Amin
Baravand”, che mi aveva interessato molto. Pensavo che fosse l’uomo più felice
del mondo perché, non solo faceva l’attore, ma lo faceva anche benissimo. Tanti
anni più tardi, proprio quell’attore recitò nei miei due spettacoli e di questo
fui molto contento, ma purtroppo, col passare degli anni, si è allontanato dal
teatro. Tuttavia, negli stessi anni, sono entrato rapidamente a far parte del
teatro stabile della mia città. Così ogni volta che necessitava di un attore
adolescente veniva a trovarmi. In quella piccola area ho provato a fare il
regista prestissimo e per fortuna! Quando avevo sedici anni, feci il mio primo
spettacolo nella sala principale della mia città e la mia opera fu accettata al
“Festival del Teatro delle Regioni”, che a quel tempo era uno dei più
prestigiosi festival del teatro in Iran. Così continuai con il teatro e man mano
ebbi una presenza costante in tutti gli spettacoli che si svolgevano a Malayer,
fino a quando mi sono immatricolato all’università e mi sono trasferito a Teheran, la capitale dell’Iran, in cui
avviene la forma più professionale del Teatro
iraniano, per frequentare in corso di laurea in recitazione teatrale. Dopo poco
tempo, mi sono trovato molto solo e disperato a causa della grandezza di una
metropoli come Teheran. Non mi sentivo in sintonia con i compagni
dell’università. Avevo sperimentato un altro genere di teatro e, avendo
alle spalle una carriera di otto anni, pensavo di poter essere attivo anche all’università,
cosa che non è avvenuta per qualche motivo. Ti ho raccontato queste cose per
farti sapere come sono diventato drammaturgo. Non avevo nessuna relazione con
gli altri all’università, mi sedevo in silenzio nella classe e frequentavo solo
i corsi. Per questo, oggi, nessuno dei miei compagni si ricorda che un giorno
anche io sono stato uno dei loro compagni di classe. In quell’ambiente ho
pensato a come potessi lavorare per teatro… a quel tempo credevo che non mi
servisse l’apporto di nessuno. Ho pensato di fare il regista e recitare in uno
spettacolo mono-attore, così non avrei avuto bisogno di collaborare con
nessuno. In quel momento, abitavo da solo in una piccolissima camera, un po’
più grande delle dimensioni di un letto, in un dormitorio degli studenti. Alla
fine ho deciso di scrivere un dramma facendo il regista e recitandolo. Non è
stato facile per me intraprendere questa cosa, ma finalmente sono riuscito a
trovare un metodo che continuo ad utilizzare anche oggi: scrivere su cose che
mi coinvolgono, oppure riportare vicende di cui conosco i protagonisti del
mondo reale. Prima di aver potuto prendere una nuova camera nel dormitorio con
l’aiuto della mia cugina Fereshte (in persiano vuol dire angelo), che era la
responsabile dei dormitori degli studenti in un’altra università -e veramente
mi ha salvato come un vero e proprio angelo-, per un po’ di tempo ho cercato
una piccola ed economica camera in affitto, ma non ho potuto trovare nulla con
i pochi soldi che avevo. Sono stati giorni brutti, terribili, amari e dolorosi,
ma, secondo me, la miglior fonte d’ispirazione letteraria. La mia camera si
trovava al settimo piano di un palazzo grande e vecchio. Un po’ più lontano dal
dormitorio c’era una grande casa in cui abitava da sola una signora anziana ed
io potevo vederla dalla finestra della mia camera pensando continuamente:
perché un’anziana doveva vivere da sola in una casa così grande ed io, invece,
dovevo subire la miseria? Così ho trovato il mio primo tema per scrivere un
dramma intitolato “Un cesto di parolacce
per la Signora Shamsi!” (in persiano: Yek
sabad fohsh baraye Shamsi khanum). Si trattava di un dramma sulla vita di
uno studente proveniente dalla provincia che arriva nella capitale e, dopo
tanti problemi, riesce a trovare una piccola camera in casa di un’anziana che
si chiama Signora Shamsi, ma alla fine arriva al punto in cui uccide l’anziana.
Alla fine è una persona ricercata che ripercorre il passato. Per scrivere
questo dramma, ho dato anche un’occhiata a “Delitto
e castigo”, il romanzo dello scrittore russo Fedor Dostoevskij. È stato il
mio primo dramma serio che all’epoca è stato interpretato in diversi festival,
molte volte. Anche oggi l’hanno interpretato in alcune delle città iraniane. Lo
scrivere questo dramma ha cambiato il corso della mia vita. Anche la mia
seconda avventura è molto interessante. L’orientamento universitario da me
preferito era la recitazione. Dovevamo scegliere uno di questi tre
orientamenti: recitazione, scenografia o drammaturgia. Sapevo di dover
scegliere la recitazione, ma soltanto per un banale motivo sono stato costretto
a scegliere drammaturgia: la recitazione era più
costosa rispetto alla drammaturgia! Così ho scelto questa ultima. Mi sentivo
come se tutti i miei sogni fossero rovinati. Solo per mancanza di denaro dovevo studiare una
disciplina che non mi piaceva. Facevo l’attore, avevo già recitato almeno dieci
spettacoli nella mia città. Ero andato a Teheran con passione per la
recitazione, ma ora non potevo frequentare i suoi corsi, così caddi in
depressione ed ebbi bisogno del dottore, prendendo farmaci antidepressivi. A
volte, dopo le lezioni, andavo direttamente al terminal dei bus extraurbani e
ritornavo nella mia città arrivando nella sua sala teatrale. Per me, quella
sala situata in Via 15 Khordad a Malayer, è sempre stata il posto più sicuro al
mondo. Si sono formati tutti i miei sogni sotto il suo tetto. Stavo decidendo
di mollare l’università e ritornare nella mia città, ma in quei giorni mi ha
salvato “Un cesto di parolacce per la
Signora Shamsi”. Improvvisamente fu accettata per qualche festival e
ottenne qualche premio letterario, incoraggiandomi a scrivere sempre di più.
Con rinnovata passione ho scritto il mio secondo dramma e quest’ultimo ha
ottenuto un successo più grande dell’altro, così che dopo qualche tempo sono
stato ammesso al “Festival internazionale di Teatro Fajr”- il più prestigioso
festival di teatro dell’Iran, trovando finalmente il corso della mia vita professionale,
concentrato sullo scrivere fino ad oggi, mantenendo però anche il sogno della
recitazione, e in realtà il mio ultimo dramma, vale a dire “Morto lo scrittore” (tradotto anche in
italiano, ma non ancora pubblicato in Italia) parla proprio di questo sogno.
Completissima
la tua risposta e ti ringrazio ancora per la tua disponibilità. Puoi dirmi ora qualche
titolo dei tuoi drammi?
Purtroppo, in questi anni ho scritto
troppo. Ora penso che forse sarebbe stato meglio scrivere meno ma con più
attenzione. Da qui in poi cercherò di farlo. Tuttavia, ecco alcuni dei miei
drammi:
“Un
cesto di parlolacce per la Signora Shamsi”, “Al chilometro 50”, “Pulp
Fiction”, “il Seminterrato”, “Vietato l'ingresso alle donne”, “La Lobby”, “Il Paterno”, “Vietato
l’ingresso agli uomini”, “L’Estraneo”,
“La Signora”, “Il sole sorge a Milano”, “Passare
in camera chiusa”, “Il vento che
scrive”, “Il Tornante”, “Tutto sul signor F”, “Prova a prendermi” ... Finora sono sati
assegnati circa 30 premi per le mie opere, tra cui il premio dei critici
mondiali del Festival internazionale di Teatro Fajr, il premio della Festa di
letteratura drammatica dell’Iran -per ben due volte-, il premio annuale del
libro in tema di guerra, la Medaglia della radio statale dell’Iran. Questi sono solo i premi più importanti e inoltre
sono state pubblicate una decina dei miei drammi
in sei libri.
Come
definiresti il teatro che scrivi?
All’inizio mi è piaciuto il realismo. Mi piace molto la narrazione.
Quando vado a teatro, voglio che sentano le mie orecchie più che vedano i miei
occhi. Il raccontare e l’ascoltare storie sono due cose innate per noi
iraniani. Abbiamo una letteratura veramente ricca. Ma se volessi lavorare in
Italia dovrei fare al contrario di questo, in altre parole, dovrei concentrarmi più sull’immagine che sul
dialogo.
Chi
sono invece gli scrittori e i drammaturghi che ti hanno più influenzato?
Tra i drammaturghi non iraniani Arthur Miller e tra
quelli iraniani Mahmoud Ostad Mohammad.
Qual è
il dramma che ti è rimasto più nel cuore?
Se devo menzionare una sola opera che mi ha influenzato incredibilmente devo dire il dramma “L’eredità iraniana” scritto da Akbar Radi, ma ci sono altre opere
che mi sono piaciute molto come “L’ultimo
gioco”, scritto da Mahmoud Ostad Mohammad; “L’inverno 66” e “La danza di
carte strappate” scritti da Mohammad Yaghubi; “Reza motociclista” (Reza
Motori), scritto da Mohammad Charmshir; infine “In una famiglia iraniana”, scritto da Mohsen Yalfani.
Purtroppo,
a noi occidentali, non è molto conosciuta la cultura iraniana, puoi parlarmi un
po’ del teatro iraniano? L’Iran è un paese ricco di teatro? È più facile vivere
di teatro in Iran o in Italia?
In realtà, il teatro moderno dell’Iran oggi è un bene
importato e tanti anni fa è entrato dall’occidente con le traduzioni dei drammi di Molière e
degli altri. Ma l’Iran possiede diversi generi teatrali come “Ta’zieh”, (un particolare genere
teatrale religioso in cui predominano musica e canto), che è il più importante
genere teatrale iraniano. O “Siah bazi”
e “Takht-e- hozi”, che sono molto
simili alla Commedia dell’Arte italiana. Oggi,
però, questi generi si vedono poco nella scena del teatro. La maggior parte del
teatro iraniano è dominato dal teatro sperimentale e dall’avanguardia, quindi
un giorno dopo l’altro il corpo del teatro realista in Iran si sta riducendo.
Nella maggior parte dei festival principali del mio paese, la miglior chance è
per chi si muove verso le opere sperimentali ed è evidente che ci allontaniamo
man mano dal teatro realista in questo modo. Ma come risposta alla tua domanda,
se è facile vivere di teatro in Iran, devo dire: no, assolutamente no. Nessuno
del teatro iraniano riesce a guadagnare sufficientemente per vivere una
semplice vita con le esigenze primarie . Forse ci saranno solo tre o quattro
artisti che guadagnano bene con il teatro in tutto il mio paese. Anche loro,
però, ogni tanto sono costretti a recitare nella televisione o nei film. C’è
una chiara differenza tra il salario di teatro e quello dei due questi ultimi.
Quindi, indubbiamente, è più facile vivere di teatro in Italia, perché qui conosco
persone che fanno solo drammaturgia,
regia o recitazione teatrale e hanno uno stipendio mensile per il loro
lavoro. Non saprei dire quando questo avverrà in Iran.
Ci sono
molte differenze secondo te tra il teatro iraniano e quello occidentale? Quali
sono queste differenze?
Il teatro iraniano è fortemente dipendente dal governo.
Le sale sono del governo e il governo paga i costi di uno spettacolo. Anche i
teatri privati dipendono ancora dal governo. Insomma, posso dire che non c’è un
vero e proprio teatro privato in Iran, perché, anche se un gruppo teatrale
possiede la propria sala e non utilizza il budget governativo, un organo
governativo dovrebbe comunque rilasciare la certificazione di idoneità per lo spettacolo. Qui, in Italia, il governo
supporta il teatro e, ad esempio, offre un finanziamento annuale ad un gruppo
teatrale per svolgere qualche programma come spettacolo, workshop, festival...
ma in Iran il governo supporta ogni spettacolo ed assegna singolarmente un
budget per ciascuno spettacolo. Secondo me, la differenza più importante tra il
teatro iraniano e quello occidentale è che in Iran non è distinguibile il
confine tra il teatro professionale e quello amatoriale. È possibile che un
grande artista di teatro con cinquanta anni di carriera faccia la regia di uno spettacolo nella sala più importante del paese e
poi anche uno studente di teatro faccia la regia del suo spettacolo nella
stessa sala solo per un normale festival. Non c’è niente da sognare nel teatro
iraniano. Fare teatro è difficile, ma con un po’ di pazienza e naturalmente con
tenacia si può ottenere tutto quello che sembra un sogno per gli altri. Non
penso che un regista dell’età di 25-26 anni, che ha già sperimentato il teatro
in tutte le sale importanti dell’Iran, possa trovarsi ancora ad avere un sogno
da realizzare e che si accontenti di raggiungerlo all’età di 50 anni. Secondo
me non ci sarà niente di eccitante per lui, almeno in Iran. Una delle più
grandi e più equipaggiate sale in Iran si chiama “Talar Vahdat”, con stile architettonico occidentale, che tanti anni
fa è stata costruita per l’opera, ma in cui per ora si svolgono solo gli
spettacoli di prosa. Una volta, i più famosi artisti teatrali iraniani
svolgevano i loro spettacoli in questa sala, ma oggi, anche alcune persone di
cui non si è mai sentito il nome hanno potuto svolgere gli spettacoli con gli
alti finanziamenti governativi, solo perché un organo governativo li ha
sopportati. Per questo, è molto difficile giudicare il teatro di tale paese, ma
devo dire che tuttavia il teatro iraniano sta
facendo un passo in avanti. Ogni anno vengono proposte brillanti opere
iraniane, sia in Iran che nei festival esteri. Naturalmente non saprei se avere
un teatro così giovane sia conveniente o sconveniente, ma la maggior parte degli scrittori, registi e anche attori del teatro iraniano
sono giovani. C’è anche un’altra differenza nel teatro iraniano: in tale teatro
sono molto ingenti due gruppi di artisti, quelli che sono morti e quelli che
sono isolati e non lavorano più. A causa di mancanza dello spazio sufficiente,
quelli che si sforzano di lavorare e restare nel teatro sono conosciuti come
persone odiate, e nessuno si chiede: “Perché
io non posso lavorare?”. Tutti, invece, si chiedono “Perché gli altri possono lavorare?”. Questo è terribile. Dico un
esempio: nel teatro iraniano c’è un drammaturgo e regista molto prezioso che si
chiama “Mohammad Rahmanian”. Fino a poco tempo tutte le sue opere sono state
eccellenti e sempre ha dato qualcosa di nuovo al teatro, ma ha avuto problemi
con i suoi lavori degli ultimi anni, che non sono stati messi in scena, e
quindi da qualche anno si è allontanato dall’ambiente. Finchè continuava a
lavorare, alcuni lo accusavano di lavorare troppo protestando che vi fossero
altri drammaturghi e registi. Ora che non lavora più, continuamente i media
scrivono articoli in cui si dice che manca molto e che la sua assenza fa male.
Purtroppo, questa è la caratteristica del nostro teatro. La presenza dell’eroe
nel nostro teatro non è per il suo atto eroico, ma è per il suo isolamento e
per non lavorare. Per questo, di solito
gli omaggi sono in memoria degli artisti teatrali che sono morti e nelle feste
o ceremonie si ringraziano le persone che per anni non hanno voluto o non hanno
potuto lavorare. Naturalmente non nego le difficoltà di fare teatro in Iran.
I tuoi
drammi hanno riscosso più successo nel tuo Paese o in Italia?
La mia situazione attuale in Italia è proprio come
quindici anni fa, quando mi sono trasferito dalla mia città a Teheran. Anche
qui, nessuno mi conosce e devo cominciare da zero. A differenza di quegli anni,
in cui sono caduto per terra tante volte e mi sono alzato ripetutamente, questa
volta, all’inizio di trentacinque anni di età, non mi aspetto di subire una
nuova sconfitta, ma so che avrò giorni difficili. Un dramma tradotto in
italiano e qualche amico nel teatro italiano sono le uniche cose che ho per ora
che potrebbero aiutarmi.
Tu
Arash sei anche un regista, puoi parlarmi dei tuoi lavori di regia?
La
regia non è il mio interesse principale. Se nel mio paese fosse esistito uno
sguardo professionale alla drammaturgia, non sarei mai andato a fare la regia.
Almeno da quando i miei drammi sono stati messi in scena da altri registi non
c’è stata più nessuna ragione perché volessi fare regia. Comunque quando faccio
il regista sono fedele fortemente ai miei testi, perché durante lo scrivere faccio la regia nella mia mente. Per questo
motivo, forse non riesco ad aggiungere qualche novità allo spettacolo. In
realtà, secondo me, la gioia di scrivere è molteplice quando il regista trova i nuovi
aspetti dentro il tuo dramma. Tuttavia, mi piacciono molto alcuni dei miei
spettacoli e sono molto contento di fare la regia me stesso, ad esempio, per il
dramma “Tutto sul Signor F”.
Come
vedi l’Italia per svolgere il mestiere di drammaturgo?
Non saprei. È troppo presto per giudicarlo. Prima di
tutto, dovrei potere scrivere in italiano e poi mettere in scena i miei drammi
e poi potrei commentare la situazione di questo
mestiere in Italia.
È
apprezzata la cultura del teatro italiano nel tuo Paese?
Secondo me, nell’Iran non è conosciuto il teatro di
nessun paese come quello italiano. Di solito, partecipano almeno due o tre
spettacoli italiani in tutti i festival di teatro dell’Iran. Finora il teatro Koreja di Lecce ha svolto tanti
spettacoli in Iran e in questo momento che stiamo parlando, si stanno svolgendo
due spettacoli italiani a Teheran.
Progetti
futuri?
La mia attività più importante per
ora è continuare i miei studi. Attualmente sono studente del Corso di Laurea
Magistrale in Discipline dello spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna.
Non è troppo facile studiare nell’università più antica d'Europa e richiede un
certo tempo. Ma dal punto di vista professionale il mio programma già definito
è fare la regia del mio nuovo dramma “Morto
lo scrittore”. Lo spettacolo sarà in scena per 30 giorni nel gennaio 2013.
Utilizzo due superstar del cinema iraniano in questo spettacolo. Nel frattempo,
sto facendo i preparativi per cominciare le prove di uno spettacolo intitolato
“Il Fluire del Sangue nelle Vene Secche”, con attori italiani. Si tratta di uno
spettacolo derivato da una delle storie antiche iraniane e che fa uso di tutti
i generi teatrali iraniani.
Curata da Stefano Duranti Poccetti
Non sei l'unico Arash che ha ricominciato da zero...ma forse questo è quello che ci dà sempre la forza di andare avanti e di non dire "Sono arrivato...mi godo la fama...che bisogno ho di migliorare, di sperimentare? La gente mi "ama" così" e si diventa il clichè di se stessi...Bravo Arash, you have got guts. (Daria)
RispondiEliminaArash, ti auguro di un grande successo(di cuore)!...
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