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28 settembre, 2012

Che cos'è il teatro iraniano? Cosa significa scrivere teatro? Che cosa significa teatro italiano in Iran? Tutto questo ce lo spiega il giovane drammaturgo Arash Abbasi, raccontandoci anche di sé...



Arash Abbasi è un giovane drammaturgo iraniano che abita ora in Italia. Nel suo paese era famoso, ma ora deve ricostruirsi una carriera. Arash si racconta al Corriere, raccontando la sua vita e parlando anche del teatro iraniano.


Ciao Arash, grazie per la disponibilità dimostrata per fare questa intervista. Puoi parlarmi di te? Raccontami in breve la tua vita e di come e dove ti sei formato come drammaturgo…



Arash Abbasi
Sono nato nel 1978 a Malayer, nella regione di Hamadan. Conobbi il teatro durante la scuola, precisamente nel 1988-89, quando per la prima volta andai a guardare uno spettacolo. In realtà, fino a quel momento avevo visto solo gli spettacoli degli allievi della scuola e non avevo mai avuto l’opportunità di comprare un biglietto per guardare un vero spettacolo assieme agli altri spettatori. Quello spettacolo era di genere comico, e in esso  recitava un attore chiamato “Amin Baravand”, che mi aveva interessato molto. Pensavo che fosse l’uomo più felice del mondo perché, non solo faceva l’attore, ma lo faceva anche benissimo. Tanti anni più tardi, proprio quell’attore recitò nei miei due spettacoli e di questo fui molto contento, ma purtroppo, col passare degli anni, si è allontanato dal teatro. Tuttavia, negli stessi anni, sono entrato rapidamente a far parte del teatro stabile della mia città. Così ogni volta che necessitava di un attore adolescente veniva a trovarmi. In quella piccola area ho provato a fare il regista prestissimo e per fortuna! Quando avevo sedici anni, feci il mio primo spettacolo nella sala principale della mia città e la mia opera fu accettata al “Festival del Teatro delle Regioni”, che a quel tempo era uno dei più prestigiosi festival del teatro in Iran. Così continuai con il teatro e man mano ebbi una presenza costante in tutti gli spettacoli che si svolgevano a Malayer, fino a quando mi sono immatricolato all’università e mi sono trasferito  a Teheran, la capitale dell’Iran, in cui avviene la forma più professionale del Teatro iraniano, per frequentare in corso di laurea in recitazione teatrale. Dopo poco tempo, mi sono trovato molto solo e disperato a causa della grandezza di una metropoli come Teheran. Non mi sentivo in sintonia con i compagni dell’università. Avevo sperimentato un altro genere di teatro e, avendo alle spalle una carriera di otto anni, pensavo di poter essere attivo anche all’università, cosa che non è avvenuta per qualche motivo. Ti ho raccontato queste cose per farti sapere come sono diventato drammaturgo. Non avevo nessuna relazione con gli altri all’università, mi sedevo in silenzio nella classe e frequentavo solo i corsi. Per questo, oggi, nessuno dei miei compagni si ricorda che un giorno anche io sono stato uno dei loro compagni di classe. In quell’ambiente ho pensato a come potessi lavorare per teatro… a quel tempo credevo che non mi servisse l’apporto di nessuno. Ho pensato di fare il regista e recitare in uno spettacolo mono-attore, così non avrei avuto bisogno di collaborare con nessuno. In quel momento, abitavo da solo in una piccolissima camera, un po’ più grande delle dimensioni di un letto, in un dormitorio degli studenti. Alla fine ho deciso di scrivere un dramma facendo il regista e recitandolo. Non è stato facile per me intraprendere questa cosa, ma finalmente sono riuscito a trovare un metodo che continuo ad utilizzare anche oggi: scrivere su cose che mi coinvolgono, oppure riportare vicende di cui conosco i protagonisti del mondo reale. Prima di aver potuto prendere una nuova camera nel dormitorio con l’aiuto della mia cugina Fereshte (in persiano vuol dire angelo), che era la responsabile dei dormitori degli studenti in un’altra università -e veramente mi ha salvato come un vero e proprio angelo-, per un po’ di tempo ho cercato una piccola ed economica camera in affitto, ma non ho potuto trovare nulla con i pochi soldi che avevo. Sono stati giorni brutti, terribili, amari e dolorosi, ma, secondo me, la miglior fonte d’ispirazione letteraria. La mia camera si trovava al settimo piano di un palazzo grande e vecchio. Un po’ più lontano dal dormitorio c’era una grande casa in cui abitava da sola una signora anziana ed io potevo vederla dalla finestra della mia camera pensando continuamente: perché un’anziana doveva vivere da sola in una casa così grande ed io, invece, dovevo subire la miseria? Così ho trovato il mio primo tema per scrivere un dramma intitolato “Un cesto di parolacce per la Signora Shamsi!” (in persiano: Yek sabad fohsh baraye Shamsi khanum). Si trattava di un dramma sulla vita di uno studente proveniente dalla provincia che arriva nella capitale e, dopo tanti problemi, riesce a trovare una piccola camera in casa di un’anziana che si chiama Signora Shamsi, ma alla fine arriva al punto in cui uccide l’anziana. Alla fine è una persona ricercata che ripercorre il passato. Per scrivere questo dramma, ho dato anche un’occhiata a “Delitto e castigo”, il romanzo dello scrittore russo Fedor Dostoevskij. È stato il mio primo dramma serio che all’epoca è stato interpretato in diversi festival, molte volte. Anche oggi l’hanno interpretato in alcune delle città iraniane. Lo scrivere questo dramma ha cambiato il corso della mia vita. Anche la mia seconda avventura è molto interessante. L’orientamento universitario da me preferito era la recitazione. Dovevamo scegliere uno di questi tre orientamenti: recitazione, scenografia o drammaturgia. Sapevo di dover scegliere la recitazione, ma soltanto per un banale motivo sono stato costretto a scegliere drammaturgia: la recitazione era più costosa rispetto alla drammaturgia! Così ho scelto questa ultima. Mi sentivo come se tutti i miei sogni fossero rovinati. Solo per  mancanza di denaro dovevo studiare una disciplina che non mi piaceva. Facevo l’attore, avevo già recitato almeno dieci spettacoli nella mia città. Ero andato a Teheran con passione per la recitazione, ma ora non potevo frequentare i suoi corsi, così caddi in depressione ed ebbi bisogno del dottore, prendendo farmaci antidepressivi. A volte, dopo le lezioni, andavo direttamente al terminal dei bus extraurbani e ritornavo nella mia città arrivando nella sua sala teatrale. Per me, quella sala situata in Via 15 Khordad a Malayer, è sempre stata il posto più sicuro al mondo. Si sono formati tutti i miei sogni sotto il suo tetto. Stavo decidendo di mollare l’università e ritornare nella mia città, ma in quei giorni mi ha salvato “Un cesto di parolacce per la Signora Shamsi”. Improvvisamente fu accettata per qualche festival e ottenne qualche premio letterario, incoraggiandomi a scrivere sempre di più. Con rinnovata passione ho scritto il mio secondo dramma e quest’ultimo ha ottenuto un successo più grande dell’altro, così che dopo qualche tempo sono stato ammesso al “Festival internazionale di Teatro Fajr”- il più prestigioso festival di teatro dell’Iran, trovando finalmente il corso della mia vita professionale, concentrato sullo scrivere fino ad oggi, mantenendo però anche il sogno della recitazione, e in realtà il mio ultimo dramma, vale a dire “Morto lo scrittore” (tradotto anche in italiano, ma non ancora pubblicato in Italia) parla proprio di questo sogno.

Completissima la tua risposta e ti ringrazio ancora per la tua disponibilità. Puoi dirmi ora qualche titolo dei tuoi drammi?

Purtroppo, in questi anni ho scritto troppo. Ora penso che forse sarebbe stato meglio scrivere meno ma con più attenzione. Da qui in poi cercherò di farlo. Tuttavia, ecco alcuni dei miei drammi:
Un cesto di parlolacce per la Signora Shamsi”, “Al chilometro 50”, “Pulp Fiction”, “il Seminterrato”, “Vietato l'ingresso alle donne”, “La Lobby”, “Il Paterno”, “Vietato l’ingresso agli uomini”, “L’Estraneo”, “La Signora”, “Il sole sorge a Milano”, “Passare in camera chiusa”, “Il vento che scrive”, “Il Tornante”, “Tutto sul signor F”, “Prova a prendermi” ... Finora sono sati assegnati circa 30 premi per le mie opere, tra cui il premio dei critici mondiali del Festival internazionale di Teatro Fajr, il premio della Festa di letteratura drammatica dell’Iran -per ben due volte-, il premio annuale del libro in tema di guerra, la Medaglia della radio statale dell’Iran. Questi  sono solo i premi più importanti e inoltre sono state pubblicate una decina dei miei drammi in sei libri.

Come definiresti il teatro che scrivi?

All’inizio mi è piaciuto il realismo. Mi piace molto la narrazione. Quando vado a teatro, voglio che sentano le mie orecchie più che vedano i miei occhi. Il raccontare e l’ascoltare storie sono due cose innate per noi iraniani. Abbiamo una letteratura veramente ricca. Ma se volessi lavorare in Italia dovrei fare al contrario di questo, in altre parole,  dovrei concentrarmi più sull’immagine che sul dialogo.

Chi sono invece gli scrittori e i drammaturghi che ti hanno più influenzato?

Tra i drammaturghi non iraniani Arthur Miller e tra quelli iraniani Mahmoud Ostad Mohammad.

Qual è il dramma che ti è rimasto più nel cuore?

Se devo menzionare una sola opera che mi ha influenzato incredibilmente devo dire il dramma “L’eredità iraniana” scritto da Akbar Radi, ma ci sono altre opere che mi sono piaciute molto come “L’ultimo gioco”, scritto da Mahmoud Ostad Mohammad; “L’inverno 66” e “La danza di carte strappate” scritti da Mohammad Yaghubi; “Reza motociclista” (Reza Motori), scritto da Mohammad Charmshir; infine “In una famiglia iraniana”, scritto da Mohsen Yalfani.

Purtroppo, a noi occidentali, non è molto conosciuta la cultura iraniana, puoi parlarmi un po’ del teatro iraniano? L’Iran è un paese ricco di teatro? È più facile vivere di teatro in Iran o in Italia?

In realtà, il teatro moderno dell’Iran oggi è un bene importato e tanti anni fa è entrato dall’occidente  con le traduzioni dei drammi di Molière e degli altri. Ma l’Iran possiede diversi generi teatrali come “Ta’zieh”, (un particolare genere teatrale religioso in cui predominano musica e canto), che è il più importante genere teatrale iraniano. O “Siah bazi” e “Takht-e- hozi”, che sono molto simili alla Commedia dell’Arte italiana. Oggi, però, questi generi si vedono poco nella scena del teatro. La maggior parte del teatro iraniano è dominato dal teatro sperimentale e dall’avanguardia, quindi un giorno dopo l’altro il corpo del teatro realista in Iran si sta riducendo. Nella maggior parte dei festival principali del mio paese, la miglior chance è per chi si muove verso le opere sperimentali ed è evidente che ci allontaniamo man mano dal teatro realista in questo modo. Ma come risposta alla tua domanda, se è facile vivere di teatro in Iran, devo dire: no, assolutamente no. Nessuno del teatro iraniano riesce a guadagnare sufficientemente per vivere una semplice vita con le esigenze primarie . Forse ci saranno solo tre o quattro artisti che guadagnano bene con il teatro in tutto il mio paese. Anche loro, però, ogni tanto sono costretti a recitare nella televisione o nei film. C’è una chiara differenza tra il salario di teatro e quello dei due questi ultimi. Quindi, indubbiamente, è più facile vivere di teatro in Italia, perché qui conosco persone che fanno solo drammaturgia,  regia o recitazione teatrale e hanno uno stipendio mensile per il loro lavoro. Non saprei dire quando questo avverrà in Iran.

Ci sono molte differenze secondo te tra il teatro iraniano e quello occidentale? Quali sono queste differenze?

Il teatro iraniano è fortemente dipendente dal governo. Le sale sono del governo e il governo paga i costi di uno spettacolo. Anche i teatri privati dipendono ancora dal governo. Insomma, posso dire che non c’è un vero e proprio teatro privato in Iran, perché, anche se un gruppo teatrale possiede la propria sala e non utilizza il budget governativo, un organo governativo dovrebbe comunque rilasciare la certificazione di idoneità  per lo spettacolo. Qui, in Italia, il governo supporta il teatro e, ad esempio, offre un finanziamento annuale ad un gruppo teatrale per svolgere qualche programma come spettacolo, workshop, festival... ma in Iran il governo supporta ogni spettacolo ed assegna singolarmente un budget per ciascuno spettacolo. Secondo me, la differenza più importante tra il teatro iraniano e quello occidentale è che in Iran non è distinguibile il confine tra il teatro professionale e quello amatoriale. È possibile che un grande artista di teatro con cinquanta anni di carriera faccia la regia di uno spettacolo nella sala più importante del paese e poi anche uno studente di teatro faccia la regia del suo spettacolo nella stessa sala solo per un normale festival. Non c’è niente da sognare nel teatro iraniano. Fare teatro è difficile, ma con un po’ di pazienza e naturalmente con tenacia si può ottenere tutto quello che sembra un sogno per gli altri. Non penso che un regista dell’età di 25-26 anni, che ha già sperimentato il teatro in tutte le sale importanti dell’Iran, possa trovarsi ancora ad avere un sogno da realizzare e che si accontenti di raggiungerlo all’età di 50 anni. Secondo me non ci sarà niente di eccitante per lui, almeno in Iran. Una delle più grandi e più equipaggiate sale in Iran si chiama “Talar Vahdat”, con stile architettonico occidentale, che tanti anni fa è stata costruita per l’opera, ma in cui per ora si svolgono solo gli spettacoli di prosa. Una volta, i più famosi artisti teatrali iraniani svolgevano i loro spettacoli in questa sala, ma oggi, anche alcune persone di cui non si è mai sentito il nome hanno potuto svolgere gli spettacoli con gli alti finanziamenti governativi, solo perché un organo governativo li ha sopportati. Per questo, è molto difficile giudicare il teatro di tale paese, ma devo dire che tuttavia il teatro iraniano sta  facendo un passo in avanti. Ogni anno vengono proposte brillanti opere iraniane, sia in Iran che nei festival esteri. Naturalmente non saprei se avere un teatro così giovane sia conveniente o sconveniente, ma la maggior parte degli scrittori, registi e anche attori del teatro iraniano sono giovani. C’è anche un’altra differenza nel teatro iraniano: in tale teatro sono molto ingenti due gruppi di artisti, quelli che sono morti e quelli che sono isolati e non lavorano più. A causa di mancanza dello spazio sufficiente, quelli che si sforzano di lavorare e restare nel teatro sono conosciuti come persone odiate, e nessuno si chiede: “Perché io non posso lavorare?”. Tutti, invece, si chiedono “Perché gli altri possono lavorare?”. Questo è terribile. Dico un esempio: nel teatro iraniano c’è un drammaturgo e regista molto prezioso che si chiama “Mohammad Rahmanian”. Fino a poco tempo tutte le sue opere sono state eccellenti e sempre ha dato qualcosa di nuovo al teatro, ma ha avuto problemi con i suoi lavori degli ultimi anni, che non sono stati messi in scena, e quindi da qualche anno si è allontanato dall’ambiente. Finchè continuava a lavorare, alcuni lo accusavano di lavorare troppo protestando che vi fossero altri drammaturghi e registi. Ora che non lavora più, continuamente i media scrivono articoli in cui si dice che manca molto e che la sua assenza fa male. Purtroppo, questa è la caratteristica del nostro teatro. La presenza dell’eroe nel nostro teatro non è per il suo atto eroico, ma è per il suo isolamento e per non lavorare.  Per questo, di solito gli omaggi sono in memoria degli artisti teatrali che sono morti e nelle feste o ceremonie si ringraziano le persone che per anni non hanno voluto o non hanno potuto lavorare. Naturalmente non nego le difficoltà di fare teatro in Iran.

I tuoi drammi hanno riscosso più successo nel tuo Paese o in Italia?

La mia situazione attuale in Italia è proprio come quindici anni fa, quando mi sono trasferito dalla mia città a Teheran. Anche qui, nessuno mi conosce e devo cominciare da zero. A differenza di quegli anni, in cui sono caduto per terra tante volte e mi sono alzato ripetutamente, questa volta, all’inizio di trentacinque anni di età, non mi aspetto di subire una nuova sconfitta, ma so che avrò giorni difficili. Un dramma tradotto in italiano e qualche amico nel teatro italiano sono le uniche cose che ho per ora che potrebbero aiutarmi.

Tu Arash sei anche un regista, puoi parlarmi dei tuoi lavori di regia?

La regia non è il mio interesse principale. Se nel mio paese fosse esistito uno sguardo professionale alla drammaturgia, non sarei mai andato a fare la regia. Almeno da quando i miei drammi sono stati messi in scena da altri registi non c’è stata più nessuna ragione perché volessi fare regia. Comunque quando faccio il regista sono fedele fortemente ai miei testi, perché durante lo scrivere  faccio la regia nella mia mente. Per questo motivo, forse non riesco ad aggiungere qualche novità allo spettacolo. In realtà, secondo me, la gioia di scrivere  è molteplice quando il regista trova i nuovi aspetti dentro il tuo dramma. Tuttavia, mi piacciono molto alcuni dei miei spettacoli e sono molto contento di fare la regia me stesso, ad esempio, per il dramma “Tutto sul Signor F”.

Come vedi l’Italia per svolgere il mestiere di drammaturgo?

Non saprei. È troppo presto per giudicarlo. Prima di tutto, dovrei potere scrivere in italiano e poi mettere in scena i miei drammi e poi potrei commentare la situazione di questo mestiere in Italia.

È apprezzata la cultura del teatro italiano nel tuo Paese?

Secondo me, nell’Iran non è conosciuto il teatro di nessun paese come quello italiano. Di solito, partecipano almeno due o tre spettacoli italiani in tutti i festival di teatro dell’Iran. Finora il teatro Koreja di Lecce ha svolto tanti spettacoli in Iran e in questo momento che stiamo parlando, si stanno svolgendo due spettacoli italiani a Teheran.

Progetti futuri?

La mia attività più importante per ora è continuare i miei studi. Attualmente sono studente del Corso di Laurea Magistrale in Discipline dello spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna. Non è troppo facile studiare nell’università più antica d'Europa e richiede un certo tempo. Ma dal punto di vista professionale il mio programma già definito è fare la regia del mio nuovo dramma “Morto lo scrittore”. Lo spettacolo sarà in scena per 30 giorni nel gennaio 2013. Utilizzo due superstar del cinema iraniano in questo spettacolo. Nel frattempo, sto facendo i preparativi per cominciare le prove di uno spettacolo intitolato “Il Fluire del Sangue nelle Vene Secche”,  con attori italiani. Si tratta di uno spettacolo derivato da una delle storie antiche iraniane e che fa uso di tutti i generi teatrali iraniani.

Curata da Stefano Duranti Poccetti

2 commenti:

  1. Non sei l'unico Arash che ha ricominciato da zero...ma forse questo è quello che ci dà sempre la forza di andare avanti e di non dire "Sono arrivato...mi godo la fama...che bisogno ho di migliorare, di sperimentare? La gente mi "ama" così" e si diventa il clichè di se stessi...Bravo Arash, you have got guts. (Daria)

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  2. Arash, ti auguro di un grande successo(di cuore)!...

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