STRAPPO
di Sepideh Jodeyri
Dedicata
a tutti gli Iraniani in esilio
Traduzione
dall’inglese di Daria D.
Ho conosciuto Sepideh
Jodeyri, la poetessa iraniana, nella
bella cittadina di Chiusi, un giorno d’estate.
Mi chiese di leggere,
davanti al pubblico, una sua poesia dedicata agli iraniani in esilio, che era
stata tradotta in inglese, ma non in italiano.
Sepideh parla poche
parole di italiano e così abbiamo conversato sempre in inglese. Mi ha ricordato
tante giovani donne che incontravo a Los Angeles dove c’è una vasta comunità di
rifugiati iraniani. Gli stessi occhi profondamente neri, grandi, i capelli
lucenti e lunghi, la bocca sensuale, il
naso importante, mai troppo piccolo: donne a mio parere molto belle, molto
femminili.
Sepideh vive da più di un anno a Chiusi, perché membro dell’ ICORN
(International cities of refuge network.), con la sua famiglia e scrive poesie.
Ma pur amando e
apprezzando la terra e le persone che la ospitano, Sepideh ha nostalgia del suo
paese da cui è stata costretta a scappare.
Dentro al suo cuore è avvenuto uno strappo, come dice il titolo che io
ho dato alla sua poesia, da tutto quello
che amava, ma scappando ha messo in salvo sé stessa come donna e poetessa, e la
sua famiglia. Non possiamo che essere felici che sia qui con noi, anche se
quello strappo, come una ferita, si rimarginerà solo se potrà tornare in Iran,
ma da donna libera, per vivere e creare senza paura.
Ringrazio Sepideh
della fiducia che mi ha concesso e mi auguro di poter presto tradurre anche le sue poesie Italiane.
Daria D.
Rossi gli occhi della vostra
rabbia
contro di me
che stordita dal pianto
me ne vado.
Oh
luce imprigionata per troppo tempo! Lacera il mio corpo ed esci!
Trattengo presagi di morte
Come chi il dolore
dietro una porta nasconde.
Potessi colmarmi del raffinato nome Teheran e poi andar via!
Oh
luce imprigionata per troppo tempo! Lacera il mo corpo ed esci!
Potessi trovare la forza di urlare, urlare
Fino a lacerarvi le orecchie
Urlare…
Questo mondo mi accusa di peccati che per voi son senza peso!
Questo mondo mi accusa di peccati, di cui voi
ridereste a lungo!
Questo mondo mi accusa di peccare
Perché son urlo e luce
E ho la forza di lacerare le tenebre.
Potessi macchiarmi di peccati ridicoli e poi
andarmene!
E’ scoccata l’ora, è tempo di andare
Come una mezzanotte fiabesca
Il trucco crudele che ho
sulla faccia si prende gioco della realtà: è mezzanotte!
E dallo squarcio del mio corpo possano fiorire innumerevoli frutti
E voi sorgenti addormentate
riprendete a scorrere sopra la mia testa, è mezzanotte!
Oh
luce imprigionata per troppo tempo! Lacera
il mo corpo ed esci!
Voi spade pendenti sopra la
mia testa
Voi fratture del mio cranio
E il ciclico ripetersi del
sole che sorge sulla terra
E dell’aria
che si diverte ad inghiottirmi! [3]
Oh Egitto!
Il giorno delle donne è
arrivato!
Un corpo non più avvolto da
tenebre ancestrali
Nudo ai nostri occhi si
mostra[4]
E nuova
luce emergerà sulla terra
Per rendere tutto sorprendente.
Potessi portare con me poesia, sangue e pane[5] e poi andar via!
Il ranginak[6]
che cuocemmo era più colorato del nostro sangue
E l’amore che credevo così
grande
Si è infranto, cadendo
Sputo sulla tomba del padre!
Tutto quello che ho e che
non ho lo devo a lui!
Potessi portare con me le tombe riempite a metà e poi andarmene!
E anche tutto ciò che è rimasto!
E anche tutto ciò che è rimasto!
E anche tutto ciò che è
rimasto!
Il cielo che mi circonda rimane buio
Come i giorni che passano
senza portare nulla
E le acque che un tempo scorrevan
copiose
Son le acque più asciutte della terra
Come me, che non son donna
Né colore
Né anima
Ma un viso che passa sulla terra
E se ne va.
[1]
Baqi è un famoso cimitero a Medina, dove molti rappresentanti religiosi del primo islamismo, inclusi quattro Imam Sciiti, sono sepolti.
[2]
Khavaran è un territorio tristemente famoso di Teheran, dove, in un’arida zona, molti
prigionieri politici massacrati insieme ad altre vittime del regime, furono
sepolte nel 1988.
[3]
Richiamo al libro di poesie di Sepideh Jodeyri dal titolo “Sogno di una ragazza
anfibia”. Prima edizione 2000, Pe’yar Publications, Tehran. Seconda edizione a
cura di Sahnehha Digital Publications, Svezia, 2008.
[4]
I versi sono un richiamo voluto al verso
“Oh tu mio tesoro, mio unico tesoro” di Forough Farokhzad, poetessa iraniana,
come senso di partecipazione e adesione al gesto di ribellione di Aliaa Magda
Elmahady.
[5]
Dall’articolo di Adrian Ridge, poetessa e femminista americana, intitolato
“Sangue, pane e poesia: la dimora del poeta”, pubblicato in The Massachusetts
Review, 1983.
[6]
Ranginak è un dolce fatto di datteri, noci, burro e farina, che nel sud
dell’Iran viene servito durante i funerali.
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