29 ottobre, 2012

IMITATIONOFDEATH, il duo Ricci/Forte al Romaeuropafestival



Teatro Vascello, Roma. Romaeuropafestival, 28 novembre 2012


Per ROMAEUROPAFESTIVAL 2012 abbiamo visto l'ultima fatica del duo Ricci/Forte al Teatro Vascello di Roma dal titolo IMITATIONOFDEATH  (Imitazione della Morte). Sedici interpreti/performer, tredici dei quali si aggiungono agli storici Giuseppe Sartori, Andrea Pizzalis e Fabio Gomiero, sono bravissimi tutti e concentratissimi nel rendere la lezione dei loro demiurghi, partiti dall'immaginario letterario di Chuck Palahniuk e passati attraverso laboratori estenuanti in giro per l'Europa. Il duo Ricci/Forte riassume la sua poetica in questo spettacolo, dove, a scapito di una drammaturgia della parola, essi ci introducono ad una drammaturgia del corpo, un unico corpo raccontato dalle sedici anime, che con il loro racconti, con il loro vissuto, con il loro dolore, con le loro emozioni, provano a raccontarci cosa è la morte o l'imitazione della morte, perché noi, morti, lo siamo già da tempo, a partire dall'alito iniziale, dove ognuno con difficoltà riesce a rimettersi in piedi dopo una morte apparente o siamo già morti e tutto quello a cui assistiamo è solo una brutta imitazione della morte? L'alito ricorre spesso nel corso dell'ora e un quarto di tensione costante dello spettacolo e lo ritroveremo anche in un altro momento molto emozionante, dove a coppia, ognuno si aggrappa, si appende all'alito dell'altro respirandone anche e solo una boccata di fumo e il feretro c'è, lo ritroviamo, ed è una veglia laica, quando a turno ogni interprete ne disegna sul corpo di una collega lo scheletro. Gli autori ci stupiscono anche con momenti ludici come un tiro al bersaglio o il ballo di una mazurca con sorrisi fissi, come ghigni, sulla faccia di quella umanità alla deriva, nudi anche stavolta, ma la nudità è una riscoperta dell'altro diverso da noi e, così, nudo, sventrato è anche il palcoscenico del Teatro Vascello, illuminato solo da neon gialli che delimitano lo spazio dove si agisce e che riverberano in sala e che ci fanno sentire parte dell'unicum dello spettacolo e spesso ci chiamano anche in causa, poiché nessuno può essere salvo in questa direzione impressa dall’ ordine delle cose. Nelle note di sala ci viene ricordato: “Non esistono repliche in IMITATIONOFDEATH ma solo destini... per questa ragione, ogni sera, il cast ruoterà in posizioni sempre nuove resuscitando itinerari inediti”. Ci sembra che questo riassuma perfettamente quanto abbiamo percepito in questa serata unica e irripetibile!

Mario di Calo

Imitationofdeath
Drammaturgia ricci/forte
Regia Stefano Ricci
Con Cinzia Brugnola, Michela Bruni, Barbara Caridi, Chiara Casali, Ramona Genna, Fabio Gomiero, Blanche Konrad, Liliana Laera, Piersten Leirom, Pierre Lucat, Mattia Mele, Silvia Pietta, Andrea Pizzalis, Claudia Salvatore, Giuseppe Sartori, Simon Waldvogel
Movimenti: Marco Angelilli

28 ottobre, 2012

Killer Joe: "Bello, sporco e cattivo".



William Friedkin, sulla carta, sarebbe uno che ormai non ha davvero più nulla da dimostrare. È un regista che da perlomeno un paio di decenni, o anche più, è presente nelle imprevedibili liste dei cinefili; e il suo nome viene spesse volte tirato in causa sia dalla critica più tradizionalista, sia da quella un po’ più fuori dagli schemi. Senza contare perlomeno un (bel) film rimasto nell’immaginario nazionalpopolare come L’esorcista (1973), e un altro considerato punto di rottura e riscrittura del genere poliziesco (Vivere e morire a Los Angeles, 1985). Dunque, cosa ci si dovrebbe aspettare da un cineasta che va per gli ottanta e che negli ultimi anni ha girato due film come The Hunted (2003) e Bug (2006)? Che, per carità, avranno pure un po’ diviso pubblico e critica, ma senza dubbio, almeno per chi scrive, rappresentano l’ulteriore riconferma di un Maestro del Cinema americano. Killer Joe (2011), nelle sale italiane dallo scorso fine settimana, è possibilmente ancora più riuscito degli ultimi due suoi lavori.

Anche il lettore meno attento avrà notato l’anno “2011” tra parentesi. Per chi non lo sapesse, il film è stato presentato a Venezia nel settembre dell’anno scorso, ma è uscito nelle sale americane solo nel luglio di quest’anno, e in Italia, per fortuna, pochi giorni or sono. Il “per fortuna” è dovuto ad  un semplice fatto: con un’uscita estiva italiana, la distribuzione avrebbe potuto essere ancor più catastrofica di quella già di per sé piuttosto ridicola riservatagli in autunno. Al solito, ci facciamo sempre riconoscere. Ma lasciamo fare certi aspetti, ché tanto si rischia di ritornare sempre sui soliti punti ed arrabbiarsi ogni volta allo stesso modo. Meglio parlare del film.



Siamo in Texas, dove uno spacciatore giovane e un po’ imbranato di nome Chris Smith deve procurarsi una discreta somma di denaro, per darla, chiaramente, a dei pesci più grossi di lui. Il ragazzo non sa proprio dove andare a sbattere la testa, e visto il rapporto già non idilliaco con la madre, gli balena in testa l’idea di ucciderla, rivolgendosi ad un killer professionista, per poi mettersi in tasca i soldi dell’assicurazione sulla vita. Niente di più semplice, no? Anche Ansel, suo padre, divorziato dalla moglie, e che ora vive insieme all’altra figlia Dottie e a Sharla, la donna con cui si è risposato, viene sin da subito coinvolto nella vicenda: in un primo momento, è un po’ titubante, ma poi accetta anche lui di prendere parte al surreale e diabolico piano del figlio. Ed ecco che poi entra in scena Joe, poliziotto (detective, per l’esattezza) di professione, ma che come secondo lavoro fa il killer professionista. Insomma, colui che ammazza la gente per soldi. Una figura un po’ surreale e controversa di sbirro – cow boy che si abbatte come un fulmine a ciel sereno in questa famiglia già di per sé problematica, riuscendo ad incasinare ancor di più la situazione.
I soldi a disposizione di Chris non sono molti, e dunque Joe decide di prendersi l’adolescente e vergine Dottie come caparra, facendola diventare la sua partner sessuale. Da qui in avanti, gli scenari che si apriranno dinnanzi allo spettatore saranno molteplici: tutti fondamentalmente marci, più di quel che ci si aspetta. E raccontarli non è certo compito dell’articolo che state leggendo, altrimenti buona parte del succo della pellicola andrebbe, in qualche modo, a farsi benedire.

Quella che Friedkin ci regala è un’altra opera di Cinema con la C maiuscola, dalla regia ferma, quadrata, che gioca con il dettaglio e si concentra sui corpi, regalando fantastici primi piani impreziositi dall’ottima fotografia curata da Caleb Deschanel (padre di Zooey). Una sceneggiatura solida e senza fronzoli, firmata da Tracy Letts – autrice del romanzo da cui il film è tratto, già collaboratore del regista in Bug -, con sequenze e  dialoghi  alle volte surreali e sboccati al punto giusto. Il tutto, impreziosito da un cast all’altezza, che vede Matthew McConaughey, un discreto attore spesso fuori parte o usato per film di bassa lega, nelle vesti di Joe, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Se la cava anche Emile Hirsch (protagonista di Into The Wild), che impersona Chris, il ragazzo che vuole ammazzare la madre. Conferma di grande talento e bellezza da parte della giovane Juno Temple (Greenberg, The Dark Knight Rises): suo, il personaggio della problematica ragazzina Dottie. Un plauso, anche per la coppia Ansel e Sharla, padre e matrigna di Chirs e Dottie, che hanno rispettivamente i volti del sempre ottimo Thomas Hauden Church (Spider Man 3, Sideways, La mia vita è uno zoo) e della bella, qui un po’ trasfigurata da un trucco pensante e volgare, Gina Gershon.

Nell’ultimo lavoro del regista americano, si ha la sensazione di essere immediatamente catapultati in questo universo texano sporco e grottesco, che pullula di bifolchi e subumani, di un sole che spacca le pietre e di piogge incessanti; di oscenità che sono sotto gli occhi di tutti; e di altre, completamente nascoste. Si guarda Killer Joe e ci si sente un po’ a disagio: ci sembra di essere lì assieme ai protagonisti, di respirare la loro stessa putrida aria. Ci si alza dalla poltroncina del cinema e ci sente più cattivi e allo stesso tempo più umani, perché è difficile fraternizzare con la disumanità dei personaggi protagonisti. Un film che senz’altro avrebbe meritato più spazio nelle nostre sale, e che consigliamo caldamente.

Marco Renzi

Rossana Carretto si fa in tre per divertirci con lo spettacolo “Una donna impenetrabile” allo studioarea22 di Milano.



Allo studioarea22 si è di nuovo intrufolata Ada per cercare il suo Adelmo, ma non si è fatto vivo nemmeno stasera, il disgraziato, lasciando la poveretta da sola nel loft a stringersi addosso la borsetta come se avesse paura che qualcuno gliela porti via, indossando il maglioncino “che più verde non si può” e gli occhialini da Peggy dei poveri. Per fortuna Ada è una donna che non si perde d’animo, e anche se all’inizio sembrava un po’ timida, poi ha cominciato a raccontarci della sua storia d’amore, non tanto ricambiata però, per un uomo che, a dire  la  verità… ma non facciamoci sentire. Lei è una donna sensibile, anche se lui la chiama… carino! “impenetrabile”, è un vero str…
Ada è un’entusiasta della vita, le ha provate tutte, pur di farsi amare da quel suo Adelmo, che non arriva mai, sarà per il traffico, o per la pioggia o molto più probabilmente per la segretaria… ma lei sopporta proprio come fanno tante donne, cieche d’amore, che più cieche non si può.
Ma stasera facciamo la conoscenza anche con Azzurra, la signora tanto perbene e tanto snob da essere quasi insopportabile, quante ce ne sono in giro! Che veste firmato dalla testa ai piedi, in una tonalità giallo ocra vomitevole e rombi che fanno girare la testa, ma dall’altra parte. Ma si presenta così bene, e poi è di buona famiglia, tanto educata, e ci frega tutti quando, con tono tra il suadente e l’autoritario, ci illustra la sua associazione: l’AVV (Associazione Volontari Volenterosi) il cui scopo è aiutare a tutti i costi pur di sentirsi in pace con la sua coscienza. Deja vu, ma Azzurra lo fa con più stile e il sorriso sulla bocca che non si chiude mai.
Serata tutta femminile con l’arrivo di una terza donna, che ci presenta  un’altra sfaccettatura dell’universo femminile, una vera combattente, una tigre spagnola se esistessero le tigri nella terra iberica, danzatrice, sensuale e in attesa anche lei non di Adelmo, ma di Alfonso, il suo fidanzato torero: Begoňa.
Ma chi c’è dietro a questi tre personaggi che ci hanno fatto ridere dall’inizio dello spettacolo alla fine, senza mai cascare nella volgarità o nella banalità?
C’è la brava Rossana Carretto, attrice che si è cimentata al teatro, al cinema, al cabaret, che ha una forza e una simpatia davvero speciali, e che, come tutte le donne intelligenti, non si vergogna a mettersi in gioco nei ruoli comici,  per farci ridere a spese sue.
Ma attenzione, gente, anche lei ride di noi… eccome!
Rossana qui allo studioarea22 è un po’ la padrona di casa e se la prossima volta si deciderà a fare finalmente arrivare l’Adelmo, ho idea che lo farà incontrare con l’Azzurra, mentre l’Alfonso metterà il fuoco in corpo alla timida Ada e la sexy spagnola s’iscriverà all’AVV, per rialzare… il morale dei vecchietti.
Pericolosa Rossana…
Quindi: spettatori avvertiti, non sarete pentiti… di ritornare ancora allo studioarea22 G.Giusti 22, Milano.

Daria D.





27 ottobre, 2012

Un tocco di lilla su “120 Chili di jazz”. spettacolo scritto diretto e interpretato da César Brie.



Milano, Campo Teatrale. Dal 25 al 27 ottobre e dal 2 al 4 novembre 2012

Entriamo in sala e César Brie è già sul palco che ci sta aspettando, seduto su una sedia, nel mezzo di un vuoto che come sempre riuscirà a poco a poco a riempirci con le parole, i gesti, le immagini che susciterà in ognuno di noi, grazie alla sua capacità di essere, di sentire e di credere in quello che dice e che fa.
Ci segue con lo sguardo mentre prendiamo posto, i suoi occhi sono come due lucciole azzurre che volano per la sala, facciamo piano per non disturbarlo, sembra assorto e concentrato ma nello stesso tempo vigile, su quello che sta accadendo intorno. Come fanno i gatti.
Noto che si è fatto crescere i baffi e il codino, ha lasciato il posto a una criniera sale e pepe che durante lo spettacolo verrà scompigliata e si bagnerà di sudore,  come il suo viso, sensibile e bello, perché ogni movimento, anche impercettibile, significa qualcosa. Non è messo lì in bella mostra per chiederci applausi, anche se comunque li avrà, inevitabilmente.
L’unica nota di colore è una civettuola cravatta lilla come il fazzoletto che porta nel taschino. Io indosso una maglietta viola... Allora mi viene in mente quando si diceva e spero sia ormai una maldicenza di altri tempi, che è un colore tabu in teatro, e sorrido.
Cosa c’entra un uomo di 120 chili, Ciccio Méndez, con quell’accento lilla sul corpo immenso, innamorato perduto ma cosciente di Samantha, del jazz e del cibo, con César Brie?
 Chi conosce la storia di quest’artista, nato in Argentina e fuggito per ragioni politiche negli anni settanta, che ha fondato il Teatro delle Ande in Bolivia e portato sulle scene mondiali l’Iliade con quegli attori che hanno lavorato con lui per due anni, potrebbe pensare che Brie si sia allontanato dalle opere “impegnate”.  Rivedendo con immenso piacere e interesse il DVD allegato al libro “L’Iliade del Teatro de Los Andes”, edito da Titivillus nel 2011, dieci anni dopo il successo internazionale della messa in scena, mi vengono in mente le sue parole “l’opera d’arte non deve essere classificata come sociale, o impegnata o politica, ma come universale”.
Ecco allora che Ciccio, ballonzolando le sue carni, comincia a raccontare del suo amore per una donna ignara del misterioso ammiratore, e che cercherà di incontrare a una festa, spacciandosi per un suonatore di contrabbasso. Ma Ciccio tutto quello che potrà fare, sarà imitare con la sua voce cavernosa il suono dello strumento, aggirandosi per la festa in cerca di cibo, per non perdere l’abitudine.
 Il nostro eroe è un solitario, un timido, non ha il coraggio di dichiararsi a Samantha, forse per la vergogna del suo aspetto fisico. Ma quando la vede indossare un fazzolettino al collo e un nastro sui capelli dello stesso colore lilla, quasi s’illude che il destino ci abbia messo lo zampino. Allora comincia a sperare, ma tutto dura il tempo di una festa, poi Ciccio ritorna l’uomo emarginato che trova nel cibo e nella musica il rifugio alle sue insicurezze, paure e convinzioni. Ciccio continuerà a mangiare, lasciando Samantha nelle braccia di altri ammiratori, belli e alla moda.
L’ultima immagine è il suo grande sedere che si muove al suon della musica mentre addenta un panino extra size.
Ciccio è un personaggio universale, con la sua grassezza, il suo male di vivere, le sofferenze d’amore, le sue passioni.  Ma se fosse invece più felice di tanti altri che seguono mode e ricette per cercare la sicurezza di appartenere a un branco, omologati e privi di personalità e di coraggio nel mostrarsi  per quello che sono, anche con le loro bassezze, bruttezze e paure?
Ciccio non ha nazionalità, è senza tempo e luogo, anche se Brie fa dei riferimenti al centro e Sud America, come la musica e la figura dei Mariachi, chiedendo però al pubblico se sa chi sono. Infatti Brie instaura con noi spettatori un dialogo, ne sceglie qualcuno, compresa me (!) come la “indifferente e ignara” Samantha, e dal palcoscenico l’azione passa in sala e il calore e il divertimento e l’ammirazione per quest’artista, umile e ricchissimo insieme, cresce e si rinsalda in chi lo segue nei suoi sempre diversi spettacoli o sorprende chi lo vede per la prima volta.
Brie potrebbe raccontarci qualsiasi cosa, o potrebbe passare tutto il tempo seduto sulla sedia, senza apparente scenografia, azione e parole, che non saremmo capaci di togliergli gli occhi di dosso per un momento. E immaginare castelli, onde, alberi, grassoni, sentire il profumo del cibo, vedere belle donne, campesino trucidati, preti maledetti, uomini crudeli, madri in lacrime, terre lontane e vicine, con lui è facile, perché le sue parole non si perdono nel vuoto, ma ci toccano profondamente, lasciandoci nella convinzione che una scena apparentemente vuota, prende vita solo se chi ci sta sopra crede fermamente nella missione universale, catartica e “divina” della creazione artistica.
Quel tocco di lilla era come un fiore, per alcuni un semplice fiore di campo, per altri un’orchidea. Ma che importanza ha se tutti ne abbiamo sentito il profumo e visto la bellezza anche su una montagna di grasso?
Grazie César Brie per alimentare ogni volta la nostra capacità immaginativa, per farci pensare e anche divertire, per mandare segnali ai nostri sensi, a volte dormienti sotto montagne di hamburger e  di tecnologia.
E alla fine ha chiamato anche noi a ricevere gli applausi…
Che onore!

Daria D.







26 ottobre, 2012

Da Domenico Monaco a Dj Mo.Do, il sogno di un giovane napoletano che si avvera…




Domenico Monaco, in arte Dj Mo.Do, nasce a Napoli il 27/08/1972. Fin dalla sua giovane età è affascinato dalla musica house, ispirandosi al suo idolo Sasà Capobianco, Dj producer degli anni 80-90 e, all'età di 16 anni, inizia a frequentare un corso per dj presso il "The Doctor’s Group", diplomandosi presso “AIDJ” ( associazione italiana disk jockey ) diretta dal maestro Renzo Arbore.
Inizia così a frequentare famose discoteche campane, proponendo musica di tendenza anni '90, continuando nel corso degli anni ad arricchire la sua passione.
Nel mese di dicembre 2011 decide di produrre il suo primo lavoro, rivolgendosi al famosissimo produttore Dino Barretta, della "Music Factory Recording Studio". Qui nasce "Muzika", un sound balcano tendenzialmente funky club house, che scala tutti gli store, come beatport, juno, i-tunes e diverse compilation.
Così innamorato com'è della musica (la vede come una bella donna), ad aprile 2012, decide di dedicargli una sua produzione, "Te Iubesc" (“Ti Amo” in rumeno).
Altro grandissimo successo è quando nel giugno 2012 riceve una favolosa notizia dall'etichetta che lo produce (White Cat Recording), la quale gli comunica ufficialmente che la famosissima azienda “Buddha Bar” era intenzionata ad inserire  "Te Iubesc" in una loro compilation: "Little Buddha Bar 5" DAKAR.
Il sogno che si avvera, quel giovane napoletano che nessuno conosceva si realizza.
Decide di rimettersi ancora in gioco e di allargare il suo genere musicale sul mercato internazionale e, con la collaborazione di Mario D., crea una nuova composizione ricca d’innovazioni musicali Sound House Music, e la completa con la voce della professionista Klarita.
Il disco ha come titolo "You Can't Run Away", prodotto dalla “Music Factory Studio Recording”, etichetta “White Cat Recording”, in uscita su tutti gli store digitali da settembre 2012 .
Attualmente Dj Mo.do è l'unico Dj/Producer del centro-sud Italia ad essere presente nella famosissima compilation "Little Buddha Bar 5".

Cira Accardo
                                                                                                                                                                                                                

24 ottobre, 2012

"VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema", a cura di Francesco Vignaroli. Undicesima puntata: SOTTO ZERO.



SOTTO ZERO   USA  1930  17'  B/N
(below zero)

REGIA: JAMES PARROTT

INTERPRETI: STAN LAUREL, OLIVER HARDY, FRANK HOLLIDAY, TINY SANDFORD

EDIZIONE DVD: SI', distribuito da BIBAX






Vita dura per Stanlio e Ollio, scalcinati suonatori ambulanti sotto una tormenta di neve. Difficile ottenere uno spicciolino davanti ad un istituto per sordomuti, più facile beccarsi palle di neve in faccia da parte di un appassionato estimatore oppure farsi fracassare gli strumenti (Stan all'armonium, Holly al contrabbasso) da un'energumena infuriata. Rimasti senza lavoro, i nostri trovano un aiuto insperato sotto forma di un portafogli pieno di bigliettoni, suscitando immediatamente le affettuose attenzioni di un ladro, dissuaso soltanto dal provvidenziale intervento di un poliziotto. Per ringraziare il solerte agente, i due disgraziati lo invitano a pranzo in un ristorante salvo poi accorgersi, giunto il momento di pagare le succulente bisteccone appena mangiate, che il portafogli smarrito appartiene proprio al loro ospite...




Piccolo, efficacissimo saggio sulla cattiveria umana per quello che rimane forse il corto più anomalo della coppia d'oro della risata, tanto anomalo in quanto, per una volta, il sapore amaro prevale su quello dolce e la pena supera la consueta ilarità. Ricordo ancora l'ovattata sensazione di tristezza che provavo, già da piccolo, ogni volta che rivedevo questo film, l'unico in grado di suscitarmi tale sentimento tra i tanti lavori del duo Laurel/Hardy che ho avuto occasione di vedere nel corso della mia vita. Ci troviamo qui di fronte ad uno spietato bozzetto dell'America post-crac del '29, una nazione piena di poveri, sbandati e delinquenti, con interi quartieri delle città in preda al disagio più nero. Immersi in questa realtà, i due innocenti (e indifesi) affrontano il loro personalissimo calvario, in un misto di comicità e tragedia che si intrecciano -pur nel netto prevalere della seconda sulla prima- senza soluzione di continuità, verso un finale a dir poco...raggelante.

Ingiustamente sottovalutati quando non addirittura rimossi da buona parte di pubblico e critica (del resto, hanno avuto la sfortuna di essere contemporanei del genio assoluto di Chaplin), i film di Stanlio e Ollio meriterebbero invece di essere riscoperti e rivalutati, tanto i corti -più noti- quanto i lungometraggi, al fine di rendere finalmente giustizia al meritorio lavoro dei due attori, a pieno diritto considerabili -alla pari col già citato Chaplin e con "l'uomo che venne dalla luna" Buster Keaton- come i padri nobili della risata (anche il nostro "Fantozzi" deve loro moltissimo). In caso contrario, rischieremmo di perderci, giusto per citarne un paio, perle quali "LA SCALA MUSICALE"  e "AVVENTURA A VALLECHIARA", opere che esprimono al massimo la comicità "pulita" e infantile, non di rado con punte poetiche, dei due "allegri gemelli" della risata.

La versione a mio giudizio migliore è quella doppiata dalla coppia Mauro Zambuto/Alberto Sordi, più corta di circa 3' rispetto all'originale; in alternativa, si può reperire la versione integrale, lunga circa 20', doppiata da Franco Latini (Stanlio) e Carlo Croccolo (Ollio), oppure la versione colorizzata di 17' (da evitare) doppiata ancora da questi ultimi.

Francesco Vignaroli

22 ottobre, 2012

Aviatori, gladiatori e ballerine allo Studioarea22 di Milano




Quando si entra al numero 22 di Via Giusti, in piena China Town milanese, dove il risotto allo zafferano incontra gli involtini primavera, andando  pienamente d’accordo, sembra di essere stati invitati a un party, a casa di vecchi amici. Amici che, guarda caso, sono attori con tanta esperienza alle spalle, oppure il vicino di casa che mai ti saresti sognato di vedere a uno spettacolo, o residenti felici di avere finalmente uno spazio creativo in questo quartiere che rappresenta, in una Milano che cambia lentamente, ma con decisione, un crogiolo di razze e di generazioni, che si confrontano e convivono in armonia, ad un passo dal Parco Sempione e non lontani dal centro della città.
Lo spazio è un grande loft, dal soffitto altissimo, mobili sparsi tutt’intorno, attaccapanni in bella vista, un pianoforte, scaffali, tavolini,  poltroncine e un soppalco, ovviamente, per chi vuole assistere dall’alto, magari disteso su un comodo futon, accarezzando il ginocchio della fidanzata, come farebbe se fosse comodamente a casa sua, ma non a guardare passivamente la tv ma partecipando a un evento teatrale.
Allo studioarea22 ci sono venuta esattamente un anno fa, ma come attrice, e spero di ritornarci in questa veste, e ora mi ritrovo a scrivere, con molto piacere, su alcuni colleghi con cui ho lavorato nell’ormai mitico Black Room - La Capitale del Vizio ideato, voluto, portato avanti per sette mesi, uno per ogni vizio, e felicemente concluso allo Spazio Oberdan lo scorso giugno, dal regista, attore e sceneggiatore TiTo CioTTa. Quest’anno TiTo, per riposarsi da quell’estenuante sfida, ha deciso che farà “solo” il direttore artistico, almeno fino a dicembre. Ma, conoscendolo, mi aspetto e spero che già con il prossimo anno, ci porti qualcuna delle sue creazioni, qualcosa ancora di diverso, di originale, di Tit-anico, forse? Molto probabilmente.  Per questo invito la gente a continuare ad andare allo studioarea22 per seguire le sue Tit-aniche gesta, che vanno dal monologo, al video, alla scenografia, alla musica, al testo, alla scelta degli attori e degli spettacoli, per fino alla preparazione del menù, come avvenne con Black Room.
Lo spettacolo cinemALteatro è molto divertente, coinvolgente, come se a un certo punto il padrone di casa, ci avesse proposto di fare un gioco tutti insieme, sulla base di alcuni film molto conosciuti come Top Gun, Il gladiatore e Flashdance.  E quando si tratta di giocare e di ridere chi mai può tirarsi indietro se poi a dirigere il gioco sono in questo caso, tre attori bravi e simpatici come Michele di Giacomo, Loris Fabiani e Umberto Terruso?
E prima di loro ci aveva riscaldato l’umorismo tra l’ingenuo e lo scafato, come direbbero a Roma, di Marta Pizzigallo (venerdì 19) e Rossana Carretto (sabato 20) che con un maglioncino che più verde non si può, le scarpe basse e gli occhiali alla Peggy Guggenheim ma in versione povera, senza cioè gli Swarovski, si era intrufolata nel loft alla ricerca del suo Adelmo, il nome è  tutto uno spettacolo, e ci immaginiamo come potrebbe essere fisicamente uno che si chiama così, ma forse ce lo presenterà la prossima volta, se avremo la fortuna di rincontrarla (26, 27 e 28 ottobre sempre allo studioarea22)
Anche le sedie dove eravamo seduti hanno preso vita, spostandosi varie volte in modo da formare un ferro di cavallo per permettere a Loris Fabiani di ballare ironicamente bene “Flashdance” o un’arena dove anche gli spettatori entravano a spada tratta lottando con il gladiatore impersonato da Umberto Terruso.
La formula cinemALteatro che qui allo studioarea22 ha trovato una giusta location, è un modo per passare in maniera piacevole e divertente una serata, senza quel timore reverenziale che si percepisce quando si entra in molti teatri tradizionali che, con la solita aria di superiorità, ci guardano ancora dall’alto in basso.
 Qui invece succede il contrario. E siamo felici di questo.
Una piccola osservazione la farei solo sull’illuminazione. Troppo diffusa e forte.  Avrei alternato qualche spot di luce, nei momenti giusti, per dare più atmosfera all’ambiente e alla recitazione.
Ci rivediamo al prossimo party. Vi aspettiamo.

Daria D.

20 ottobre, 2012

“Due donne che ballano”. Nemiche che diventano amiche



Roma, Teatro India. Venerdì 19 ottobre 2012

All'interno dell'ottima rassegna giunta a fatica alla settima edizione DRAMMATURGIA INTERNAZIONALE CONTEMPORANEA “IN ALTRE PAROLE” diretta da Pino Tierno, rassegna che da anni si propone, con il contributo di vari enti, di promuovere, diffondere e realizzare testi contemporanei internazionali, quest'anno svoltasi all'interno della biblioteca del Teatro India, abbiamo visto DUE DONNE CHE BALLANO (Dues donnes que ballan) del catalano JOSEPH MARIA I JORNET nella traduzione dello stesso Tierno con Angela Pagano e Teresa Saponangelo sotto la sapiente regia di Veronica Cruciani.
Due solitudini si incontrano, due donne con diverse provenienze, con diversa estrazione, con due destini, per una circostanza fortuita si incontrano, la donna anziana, che abita in una casa decadente e sporca, ha bisogno di assistenza e pulizia e quindi le viene messa accanto una giovane insegnante di lettere, in difficoltà economiche, da sua figlia. Questa è la premessa di una storia che, dapprincipio, vede tra le due donne diffidenza e distacco, una situazione che cambierà, finché, pian pianino, le due protagoniste studiandosi reciprocamente non diventeranno indissolubilmente legate, anche da un tragico finale, ballando sulle note di 'Something stupid' cantata da Robin Williams e Nicole kidman. Ad unirle e a creare un punto di sutura sarà il numero 388 introvabile della raccolta di fumetti che l'anziana donna colleziona in virtù di un passato in cui era difficile potersela permettere, ora le manca solo quel numero per poter completare la collezione e sarà la ragazza a procurarglielo. Da questo momento in poi tra le donne si crea come una simbiosi e l'una sarà lo specchio dell'altra.
Questo testo così ben orchestrato e congegnato sembra essere scritto, tagliato, cucito apposta per la straordinaria Angela Pagano, divertita, spaesata, cattiva, fintamente ingenua, tutte corde per la straordinaria attrice che le calzano a pennello; le fa da contraltare la brava Teresa Saponangelo nel ruolo più difficile di giovane donna alle prese con un dramma familiare e anche con le problematiche del nostro tempo, ma se la cava benissimo, e le due attrici si trovano a perfetto agio nell’essere complementari l'una all'altra! Veronica Cruciani in questa mise-en-espace si prende la rivincita sulle due mattatrici, con un gioco sottile fra leggio e tavolo da cucina muove le due antagoniste in un turbinio di movimenti e intenzioni così elevato da farci dimenticare che le due attrici stiano leggendo, si muove con decisione ma anche con discrezione fra le pieghe del testo ed essendo donna ci porta per mano in un universo spesso poco approfondito dall'animale maschio. E il commento musicale di Paolo Coletta, discreto ma presente al punto giusto, fa da contrappunto alla strategica regia!

Mario Di Calo


venerdi 19 ottobre
teatro india
DUE DONNE CHE BALLANO
di Josep Maria Benet I Jornet
traduzione Pino Tierno
con ANGELA PAGANO e TERESA SAPONANGELO
regia VERONICA CRUCIANI
musica PAOLO COLETTA
all'interno della rassegna
DRAMMATURGIA INTERNAZIONALE CONTEMPORANEA “IN ALTRE PAROLE”

19 ottobre, 2012

Niccolò Battisti, uno dei giovani cantautori della nuova generazione.



Niccolò Battisti è un giovanissimo cantautore romano e il Corriere dello Spettacolo, contento di sapere che esistono nuovi cantautori, gli lascia spazio perché si racconti e perché ci faccia ascoltare qualche pezzo della sua musica. Ascoltiamolo…

“Mi chiamo Niccolò Battisti, ho 18 anni e sono nato a Roma il 26 novembre 1993. Ho vissuto a Roma fino ai 13 anni, quando mi sono trasferito ai Castelli Romani, dove ho vissuto per 5 anni. Attualmente abito in campagna nella zona di Aprilia; mi sono iscritto quest'anno all'Accademia della Belle Arti di Roma.
Suono la chitarra da quando avevo 9 anni, la mia passione per lo strumento e per la musica in generale è nata molto presto e, spinto anche dai miei genitori, ho intrapreso lo studio della chitarra classica prendendo lezioni private. Terminate le scuole elementari decisi di continuare a studiare questo strumento frequentando la scuola media inferiore d’indirizzo musicale (strumento chitarra classica) presso la Scuola Winckelmann di Roma,  dove incominciai seriamente ad appassionarmi allo strumento al fianco del prof. Stefano Mingo (chitarrista di musica classica con esperienze internazionali). Terminate le scuole medie mi trasferii ai Castelli Romani, dove continuai a prendere lezioni private di chitarra classica per altri due anni. Capii così che la chitarra acustica era quella che faceva per me e continuai a coltivare questa passione autonomamente specializzandomisi.
Fu allora che incominciai a scrivere canzoni dopo la perdita di una persona a me cara, con cui condividevo la passione per la musica e per il canto.  Contemporaneamente m’iscrissi ad un corso di canto che frequentai per altri due anni presso la scuola Musicity di Marino.
Da sempre ho manifestato grande interesse per i cantautori italiani, come Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè, Pierangelo Bertoli, Giorgio Gaber... Inoltre ho sempre amato ascoltare musica Rock e credo che questo abbia in parte influenzato il mio modo di fare canzoni, soprattutto il modo di suonare i miei pezzi. Personalmente credo che essere un Cantautore non significhi solamente fare canzoni, bensì avere un modo particolare di vedere le cose, quindi una spiccata sensibilità nei confronti del mondo che ci circonda.
Per quanto riguarda le mie esperienze musicali, la prima volta che mi sono esibito in pubblico è stato presso il locale "Stazione Birra", dove ho eseguito "English man in New York" di Sting, fra l'altro in quella occasione ho avuto modo di sperimentare il mio approccio con il pubblico, trovandolo estremamente positivo e stimolante.
Come ho già avuto modo di spiegarti, nonostante la poca esperienza acquisita, non amo particolarmente cantare canzoni degli altri, per tanto quest'estate ho colto l'occasione del Censimento Artistico Romano per esibirmi in pubblico con un mio pezzo, "Un attore". Posso dire con grande soddisfazione di essere stato giudicato positivamente, soprattutto per aver presentato un pezzo inedito tra le tante Cover ascoltate, risultando tra i più visualizzati nella classifica dell’evento.
In questo momento sono impegnato nella realizzazione in studio di alcuni miei pezzi, avvalendomi dell'aiuto di un grande artista quale Pino Iodice, con l’intento di trovare un arrangiamento strumentale dei miei brani”.











15 ottobre, 2012

“Raymonda” al Teatro alla Scala. Il Sogno d’Amore della Dama Bianca



Teatro alla Scala, Milano. Martedì 9 ottobre 2012


Una contessa: Raymonda –che dà anche il nome al balletto-, un principe di cui è innamorata e che sposerà, un cavaliere saraceno che la vuole e non la ottiene, l’arcana e quasi divina figura della Dama Bianca, artefice della vittoria dell’Amore. Ci sono tutti gl’ingredienti per dare vita a una fiaba romantica, anche se in realtà, con quest’opera coreutica, ci troviamo già un po’ distanti dal periodo romantico. “Raymonda” è infatti una creazione russa di fine Ottocento, ma, nonostante questo, potrebbe essere benissimo assimilata a un balletto d’inizio secolo quale “Giselle”.
La vicenda è forse meno nota di quella di altre divenute più popolari. Il tutto è ambientato in un’Ungheria fiabesca, in cui troviamo la contessa de Doris Raymonda innamorata del principe Jean de Brienne. È durante un sogno che avviene per la prima volta l’incontro della protagonista con la Dama Bianca, che la mette in guardia dimostrandole che nel prossimo futuro un Cavaliere Saraceno, Abdérȃhman, verrà a chiederla con insistenza, tentandola anche con maniere violente. In effetti il sogno si realizza e Raymonda, mentre sta aspettando il principe al castello, viene colta dalla visita del Saraceno, che usa tutti i suoi mezzi per farla sua, ma è a questo punto che giunge Jean de Brienne, che salva la principessa e si batte in duello con il nemico, che soccombe, ucciso non dalla spada dell’avversario, ma dalla magia compiuta dalla Dama Bianca. Il tutto si conclude con lo sposalizio dei protagonisti alla presenza di Re Andrea II d’Ungheria, incorniciato da bellissime danze ungheresi –in cui riecheggia una sorta di omaggio a Ferenc Liszt. Quest’ultima scena prende anche il nome di apoteosi.
Le musiche dolci e ondulate di Glazunov (ben dirette da Alexander Titov) creano quella leggera atmosfera da sogno in cui lo spettatore può perdersi. Molto suggestivi sono i costumi -ricreati uguali agli originali da Irene Monti-, in cui le forti tinte delle vesti si accompagnano con piacevolezza visiva tra di loro; riuscite anche le scene, create dall’amalgama di quinte dipinte, praticabili, strutture tridimensionali.
La figura principale del balletto è di certo Raymonda ed è lei l’assoluta protagonista della scena –quasi inesistenti gli assoli al maschile. Olesia Novikova, nel suo ruolo, è abile dal punto di vista tecnico ed è anche eterea, leggera, onirica, forse delle volte solo un po’ poco calorosa dal punto di vista espressivo-facciale, comunica con il corpo, meno con il volto.
In sostanza una bella serata di danza, per un balletto che forse ai nostri occhi contemporanei può sembrare un po’ lontano –tanti quadri e poca azione-, ma, lo si sa, le fiabe non muoiono mai.

Stefano Duranti Poccetti

Raymonda
CoreografiaMarius Petipa (1898)
Ricostruzione della coreografia e messa in scena- Sergej Vikharev
Musica- Aleksandr Glazunov
Direttore- Alexander Titov
Scene originali- Orest Allegri, Pëtr Lambin, Konstantin Ivanov (1898) ricreate da Elena Kinkulskaya e Boris Kaminsky
Costumi originali- Ivan Vsevoložskij (1898) ricreati da Irene Monti
Luci- Marco Filibeck
Ricerche storiche d'archivio e coordinamento- Pavel Gershenzon
Con
Raymonda, contessa de Doris- Olesia Novikova
Cavaliere Jean de Brienne, fidanzato di Raymonda- Friedemann Vogel
Abdérâhman, cavaliere saraceno- Mick Zeni
Henriette, amica di Raymonda- Antonella Albano
Clémence, amica di Raymonda- Lusymay Di Stefano
Béranger, troubadour d’Aquitania- Claudio Coviello
Bernard de Ventodour, troubadour Provenzale- Antonino Sutera
Contessa Sybille, canonichessa, zia di Raymonda- Sabina Galasso
Andrea II, re d'Ungheria- Luigi Saruggia
La Dama Bianca, protettrice della stirpe dei de Doris- Manuela Aufieri
Siniscalco, che governa il castello dei de Doris- Giuseppe Conte
Ufficiale Verlé- Matthew Endicott
Soliste (Atto I, secondo quadro)- Vittoria Valerio, Virna Toppi
Danza saracena (Atto II)- Denise Gazzo, Maurizio Licitra
Danza spagnola- Sofia Rosolini, Stefano De Angelis
Mazurka (Atto III)- Beatrice Carbone, Riccardo Massimi
Palotás- Emanuela Montanari, Andrea Volpintesta
Solista Pas classique hongrois (Atto III)- Antonella Albano
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala 
con la partecipazione degli allievi della scuola di Ballo dell'Accademia Teatro alla Scala

“Soprattutto l’Anguria” al “Romaeuropafestival”. Civica/Pirozzi, quando regia e drammaturgia si confondono in un unico destino.



Teatro Argentina, Roma. Romaeuropafestival 2012,domenica 14 ottobre 2012  


Luca Zacchini
Di Armando Pirozzi avevamo visto i suoi tre ellittici brevi atti unici che intervallavano i sermoni del teologo Meister Eckhart ATTRAVERSO IL FURORE, sempre con regia di Massimiliano Civica la scorsa stagione, e ora lo ritroviamo per ROMAEUROPAFESTIVAL, in un atto unico di ben più corposa densità drammaturgica e contenuto. SOPRATUTTO L'ANGURIA tratta di due fratelli che si ritrovano dopo un po’ di anni per la morte del loro padre, è difatti il più grande a far visita al più piccolo, dopo aver già fatto visita alla madre che vive nel deserto e alla sorella che vive in un igloo. A comunicare la notizia al minore, il padre musicista muore improvvisamente in India e il cadavere deve essere spedito in Italia in un contenitore e si sceglie di trasportarlo in un frigo. Questo è l'assunto, Massimiliano Civica trasporta l'azione in un palcoscenico del teatro Argentina che invade mezza sala, l'azione si svolge fra il pubblico in un vuoto nero avvolgente, solo una poltrona, un poggiapiedi, un tavolino ed una lampada rosso acceso, come sospesi nel tempo, fanno da decoro scenico; il regista divide l'azione in due zone: in una ritroviamo Diego Sepe in karategi blu e ciabatte indaco, padrone di casa meticoloso, ossessivo e molto concentrato nei suoi piccoli gesti quotidiani, dall'altra Luca Zacchini fratello in visita scanzonato ed ossessionato dall'abbigliamento adatto alle giuste circostanze, logorroico, paranoico e assolutamente simpatico nel suo esplicare l'ordine dei fatti. In questa stilizzazione istantanea Civica ci riporta subito a quelle che sono le sue tematiche preferite, la giusta ed equilibrata ripartizione fra parole e silenzi, fra pieni e vuoti, fra eccesso e afasia, fra logorroicità e imperturbabilità e il testo ben scritto asseconda con facilità e senza forzature la sua poetica, un’assoluta esaltazione del lavoro dei due straordinari interpreti; bellissimo e semplice nella sua originalità il gioco di trasformare gli elementi di scena prima in automobile e poi in un albero, per ritornare ad essere arredi, e la scelta del colore rosso non è casuale, sarà stato o non sarà stato il fratello maggiore ad aver ammazzato il padre? Massimiliano Civica si conferma uno dei talenti più interessanti della scena italiana, Luca Zacchini e Diego Sepe, interpreti esemplari, potrebbero essere tranquillamente interscambiabili nell'eterno e universale gioco del teatro. Lo spettacolo avrà una turnè italiana e sarà in scena a Milano al Teatro I e a Roma al Teatro Argot.

Mario Di Calo


Sopratutto l'Anguria
di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Diego Sepe e Luca Zacchini
luci a cura di Gianni Staropoli
costumi a cura di Daniela Salernitano

13 ottobre, 2012

“Romeo e Giulietta” di Sergej Prokof’ev. Un grande Amore chiamato dalla Morte



Teatro dell’Opera, Roma. Sabato 6 ottobre 2012

Sulla quinta è raffigurato un volto di donna disperato e piangente, un volto che sembra fare da prologo a una delle tragedie più conosciute di sempre: “Romeo e Giulietta”, il cui testo di Shakespeare viene trasformato in quel celebre balletto musicato da Sergej Prokof’ev per la prima rappresentazione del 1938, così intenso, passionale… così adeguato nel raccontare quella potenza dell’Amore, che delle volte può sfociare anche nella Morte. Ed è proprio il rapporto Amore/Morte il tema fondamentale di quest’opera coreutica, che non è un caso che si apra con l’assolo di un’arcana figura vestita in nero –forse il simbolo della Morte? È forse una figura omnisciente che già ci vuole dire: “Vedrete una grande storia di Amore, che però, purtroppo, finirà male, molto male.”.
Di sicuro questo “Romeo e Giulietta” si basa più sulla Morte che sull’Amore, perché quello dei due giovani è un sentimento che già si trascina dietro la tomba, tanto è vero che non esistono in questa interpretazione momenti aulici, momenti in cui l’Amore può essere vissuto serenamente –neanche l’incontro tra Romeo e Giulietta non può essere allietato da musica allegra, ma, anzi, da fargli sfondo è una mesta e funeraria passacaglia, ingegnosamente inventata dal compositore russo.
Un balletto che non possiamo smettere di guardare, di ascoltare; un balletto che ci tiene il fiato sul collo e che non può toglierci qualche lacrima, quando, nelle ultime fasi, Romeo danza il famoso passo a due con una Giulietta senza sensi, che lui crede morta. E morta lo sarà poco dopo, quando vedrà l’Amore della sua vita disteso accanto a sé, senza vita; allora prenderà anche lei il veleno e ponendosi le mani e le braccia del giovane su di sé, spirerà, insieme a Romeo e all’Amore che, a questo punto, diventerà veramente eterno.
Belle le scene e i costumi di Luisa Spinatelli, che crea un’atmosfera composta da gradazioni di colore cupe, proprio in linea con la tematica Amore/Morte, accentuata anche dal consapevole uno in scena dei colori rosso e nero, e queste suggestive creazioni entrano in perfetta sintonia con l’emozionante  regia e coreografia di Patrice Bart.  
Ottima l’esecuzione orchestrale con la direzione di Coleman, molto attento all’intensità passionale che questa musica deve saper comunicare, dando vita a un discorso fluido, sempre sospeso, e che riesca a tenere sospesi anche gli occhi e le orecchie degli spettatori.
Tra i ballerini va sicuramente menzionato Yann Saïz, che, nei panni di Tebaldo, in questo balletto personaggio centrale –ancora più di Mercuzio-, dimostra tutte le sue abilità solistiche, mostrandosi in palco con grande presenza scenica e strappando calorosi applausi del pubblico.
Bravo anche Anton Bogov, nel ruolo di Romeo, anche abile dal punto di vista comunicativo, interpretativo, avvalendosi, a parte le sue doti di ballerino, di quelle mimico-teatrali, facendo sua quella giovane ingenuità dell’Amore e confrontandosi con il pubblico in modo molto emotivo.
La Giulietta della serata, Maria Yakovleva, è anche lei passionale, ma anche eterea come un sogno: sogna l’Amore e decide di morire due volte per Amore, prima si uccide per finta, per ritrovare il suo amato, poi si uccide sul serio, per ritrovarlo ancora nell’alto dei cieli.
Complimenti anche alla prima ballerina allora, come faccio i complimenti a tutto l’organico del balletto –congratulandomi dunque in primis con il regista-, un balletto che mi ha portato veramente alla commozione.

Stefano Duranti Poccetti


Romeo e Giulietta
Musica di Sergej Prokof’ev
Direttore- David Coleman
Coreografia, drammaturgia e regia- Patrice Bart
Scene e costumi- Luisa Spinatelli
Luci- Mario De Amicis
Maestro d'armi- Renzo Musumeci Greco
con
Giulietta- Maria Yakovleva
Romeo- Anton Bogov
Tebaldo- Yann Saïz
Mercuzio- Fabio Longobardi
Benvolio- Manuel Zappacosta
Lady Capuleti- Alessandra Amato
Paride- Giuseppe Schiavone
Rosalinda- Roberta Paparella
ORCHESTRA E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA