In
attesa dell’inizio delle stagioni teatrali, il Corriere pubblica una recensione
di uno spettacolo andato in scena a Cortona più di due mesi fa. Nonostante sia
passato del tempo dalla sua messa in scena non sarà tuttavia inutile
pubblicarne una critica, che rimane sempre un importante documento della serata.
Teatro
Signorelli, Cortona. Mercoledì 25 luglio 2012
Che la Divina
Commedia sia un testo adattabile per il palcoscenico - nonché per la
televisione - lo ha dimostrato con successo Roberto Benigni. A lui va
riconosciuto il merito di aver abbattuto quel muro di preconcetti verso il
capolavoro dantesco dovuto ai più disparati ricordi scolastici che ognuno di
noi ha, oltre al merito di aver rispolverato i canti con un soffio vitale
capace di donare nuova luce ai personaggi e, soprattutto, di attualizzare le
loro storie. Ma se Benigni ha la capacità di portare lo spettatore dentro la Divina Commedia, rendendolo partecipe
del viaggio dantesco senza sminuire la grandezza né la complessità del testo,
altri invece che si sono confrontati con questo cardine della nostra
letteratura è come se non riuscissero a liberarsi dall’idea che i canti vanno
spiegati per poter essere compresi, e rinunciassero così a percorrerli
direttamente.
Anche Silvio Orlando nel suo spettacolo sul Purgatorio è molto legato ad una lettura
commentata del testo, che si esprime attraverso un approccio fortemente
didattico all’opera e che segna persino i vari aspetti della messa in scena. Di
ambientazione scolastica è infatti la scenografia: una lavagna al centro con
gessi e spugna per illustrare il regno di mezzo, con tanto di due scolari in
scena che ascoltano la lezione del maestro Orlando. Una è l’alunna che segue
diligentemente la spiegazione - presenza troppo statica e il cui silenzio
prolungato è quasi imbarazzante -, l’altro è l’alunno-musicista che a tratti
dialoga col protagonista e arricchisce il discorso con brani suonati dal vivo,
smorzando il tono e l’impostazione didattica tenuti dal protagonista. È vero
che l’attore e regista gioca con l’ambientazione scolastica, cercando di
coinvolgere il pubblico in questa ennesima rilettura dantesca, ma le troppe
spiegazioni appesantiscono la parte iniziale dello spettacolo rischiando di
appiattire anche la stessa opera.
Lo spettacolo prende avvio da
una premessa perlopiù storica sul Purgatorio, incentrata in particolare in
epoca medievale, e sul suo essere “una geniale invenzione della Chiesa di Roma”
(come lo definisce Orlando) per mantenere una forma di controllo non solo sui
vivi ma anche sui morti. Questa introduzione è interessante ma poco stimolante,
perché il tono esplicativo e l’impostazione didascalica hanno la meglio, ed
essa funge più da motivazione della scelta della cantica dantesca che da strumento
per catturare l’attenzione dello spettatore. È quando Orlando inizia a parlare
del Purgatorio di Dante Alighieri che
la sua performance prende forma e si entra nel vivo dello spettacolo, la cui
prima parte è dedicata al canto sesto con l’incontro tra Virgilio e Sordello,
l’apostrofe di Dante all’Italia e la riflessione sulle preghiere per i defunti
che apre il canto. Qui sta lo spunto che guida il lavoro di Orlando sul testo,
e quel suo interrogarsi sulle questioni poste da Dante si riflette sulla
trasposizione scenica, che finalmente diventa appassionata e appassionante. Quando
l’attore riesce a mettere da parte il bisogno di parafrasare il canto per
lasciarsi andare a una più libera presentazione dei personaggi e della
situazione, allora lo spettacolo ci guadagna perché sfugge al rischio di essere
un mero recital e diventa piuttosto una lettura sentita.
L’aspetto innovativo di questa
rappresentazione scenica del Purgatorio
sta nella scelta di intervallare con una poesia napoletana il sesto canto e il
secondo, a cui è dedicata l’altra parte dello spettacolo. Lo stacco è notevole:
diversa è la lingua o il dialetto che dir si voglia, diverso è lo stile e pure
la voce, perché stavolta è l’alunna (una brava ma purtroppo sacrificata Maria
Laura Rondanini) che può finalmente dare sfogo alle proprie doti interpretative.
Nonostante il balzo in un contesto estraneo alla Divina Commedia, il risultato è convincente, perché il filo che
riesce a legare e a tenere uniti testi così distanti tra loro non è solo il
tema del viaggio nell’aldilà, ma è soprattutto quella riflessione sulla vita e
la morte, sulla vicinanza tra i vivi e i morti. Inoltre il momento occupato
dalla poesia napoletana (che a fine spettacolo ritorna con la citazione di Io vulesse truvà pace di Eduardo de Filippo)
così come gli intermezzi musicali, pur rimanendo tutti sospesi all’interno
dell’universo dantesco, rappresentano delle piccole finestre che danno respiro rimediando
al rischio che lo spettacolo si chiuda in se stesso e nei suoi tratti
didascalici. In altri termini, il percorso di Orlando attraverso i due canti si
ravviva quando si apre al contemporaneo e a forme diverse, perché si allontana dall’impostazione
scolastica e da una critica dantesca troppo rigida che sul palcoscenico risulta
ingombrante.
Lo spettacolo di Silvio
Orlando risulta così una conferma del fatto che è giusto - per non dire è
necessario - confrontarsi con i grandi classici, ma senza essere schiacciati
dall’ombra della loro fama, perché è fondamentale riscoprirli con i nostri
occhi e le nostre istanze di contemporanei. Il resto lo fanno i testi stessi,
il compito dell’attore è dare spessore alle parole, affinché non suonino vuote,
e nuova vita alle immagini in esse contenute.
Sara Nocciolini
ORLANDO IN PURGATORIO
con Silvio Orlando
drammaturgia
e regia di Silvio Orlando
con Maria Laura Rondanini e il musicista Pejiman Tadayon
una produzione
Teatro Del Cardellino
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