DALLA CINA CON FURORE, HONG KONG 1972 102' COLORE (Jing wu men, conosciuto anche col titolo
internazionale FIST OF FURY)
REGIA: LO WEI
INTERPRETI: BRUCE
LEE, NORA MIAO, JAMES TIEN, MARIA YI, TIEN FENG, ROBERT BAKER
EDIZIONE DVD: Sì,
distribuito da DALL'ANGELO PICTURES
Nella Shangai degli
anni '30 l'improvvisa e misteriosa morte del maestro Ho Yun Chia getta nello
sconforto i membri di una prestigiosa scuola di arti marziali cinese; per nulla
convinto dalla versione ufficiale dei fatti che vorrebbe Ho Yun Chia morto per
cause naturali, Chen (Bruce Lee), il miglior esponente della scuola, decide di
indagare per conto proprio finendo per scoprire un complotto ordito dai rivali
giapponesi agli ordini del maestro Suzuki. Sconvolto dal dolore e accecato
dalla rabbia, Chen decide di farsi giustizia da sé eliminando a uno a uno i
resposabili del misfatto, provocando però la violenta rappresaglia dei
giapponesi da una parte e la reazione della polizia, sollecitata dalle
influenti istituzioni nipponiche, dall'altra. Una volta portata a termine la
missione, a Chen non resta altro da fare che decidere se consegnarsi alle forze
dell'ordine per salvare la propria scuola dalla chiusura oppure fuggire per
salvare sé stesso.
Secondo film da
protagonista per Bruce Lee dopo "IL FURORE DELLA CINA COLPISCE
ANCORA"( girato l'anno precedente ma distribuito in Italia successivamente
a "DALLA CINA CON FURORE", da qui l'incongruenza dei titoli) ed altro
grandissimo successo internazionale. Stando ad una didascalia posta in
apertura, la storia attingerebbe alla versione popolare più nota circa la
misteriosa morte di un uomo realmente esistito, tale Ho Yun Chia, grande
esperto cinese di arti marziali e atleta plurivincitore nei confronti di
lottatori giapponesi esponenti del BUSHIDO, la "via del guerriero"
dei samurai.
L'avvento di Bruce
Lee ha determinato un importante momento di rottura per il cinema di Hong Kong:
al classico WUXIAPIAN, il cinema "di cappa e spada" imperante
all'epoca e caratterizzato dai celebri
combattimenti volanti con gli attori sorretti da fili invisibili e da un
impianto narrativo tendente al favolistico/soprannaturale -che ha in Zhang Che
il padre nobile e in Tsui Hark e nel primo John Woo (prima della svolta noir e
del successivo sbarco ad Hollywood) i degni eredi, per non dimenticare poi il
grande King Hu, quello di "A TOUCH OF ZEN"-, Bruce Lee oppone la
concretezza tutta muscoli e sudore del JEET KUNE DO, lo stile di combattimento
da lui stesso inventato che ha come criteri-guida la semplicità (di
apprendimento, di esecuzione...) e la flessibilità (capacità di adattarsi alle
circostanze ed alle caratteristiche fisiche e tecniche dell'avversario). Tutte
le evoluzioni compiute dal nostro (o quasi, super-salti a parte) sono reali,
senza ricorso ad effetti speciali o trucchi scenici di sorta, e perfettamente
compatibili con le leggi fisiche che regolano la nostra esistenza. Su questo
punto Bruce ha insistito spesso, coerentemente con la sua fiducia assoluta
nelle potenzialità umane, in grado di condurci ad imprese impensabili purché
coltivate a dovere.
La magnetica presenza
di Bruce, uomo di carisma superiore nonché attore completo e dotato di grande
espressività (un autentico "animale da palcoscenico": grazie al
padre, prestigioso attore teatrale, Bruce ha masticato pane e recitazione fin
dalla nascita, debuttando al cinema ad appena un anno di età!) è l'unico motivo
di interesse -che da solo vale però il prezzo del biglietto- verso un film
altrimenti mediocre e trascurabile: regia artigianale ai limiti del
dilettantismo, sceneggiatura sgangherata e improbabile, interpretazioni naif
(eufemismo) della maggior parte degli attori, dialoghi degni di un cartone
animato giapponese, scenografie deprimenti...un vero peccato che il volo di
Bruce si sia poi bruscamente interrotto in fase di decollo (è morto a soli 33
anni in circostanze tuttora avvolte nel mistero), proprio quando la sua storia
si stava facendo interessante, con il nostro finalmente supportato a dovere da
produzione, sceneggiatura e regia adeguate ("I TRE DELL'OPERAZIONE
DRAGO", 1973, regia di Robert Clouse)...chissà dove sarebbe arrivato se
avesse potuto realizzare i numerosi progetti che aveva in mente, uno su tutti
il film "THE GAME OF DEATH" -conosciuto da noi come "L'ULTIMO
COMBATTIMENTO DI CHEN", il film della celebre tutina gialla e nera, la stessa
che Tarantino farà indossare ad Uma Thurman nel dittico di " KILL
BILL" come omaggio al grande dragone cinese-, uscito postumo nel 1978 per
la regia ancora di Clouse, il quale ha integrato le poche scene realizzate da
Bruce con materiale nuovo girato ricorrendo ad un riconoscibilissimo sosia,
un'operazione discutibile e maldestra che ha finito per scontentare tutti
(purtroppo altri tenteranno operazioni analoghe, costruendo pessimi film
partendo dai pochi frammenti lasciati da Lee, cito in proposito lo scadente
"L'ULTIMA SFIDA DI BRUCE LEE" del 1981, regia di Ng See Yuen).
Tornando al film,
come già detto, la sola presenza di Bruce Lee è più che sufficiente a
giustificarne la visione; se la pellicola fa acqua da varie parti, bisogna pur
riconoscere che i combattimenti (almeno quelli) sono ottimamente coreografati e
rendono giustizia all'incontenibile fisicità animalesca -tra tigre, scimmia e
serpente- di Bruce, tra vertiginose zoomante tipicamente anni '70 e primi piani
alla Sergio Leone (gli occhi dei contendenti). Assolutamente imperdibile e,
anzi, da vedere e rivedere, la lezione a colpi di NUNCHAKU (arma mai vista
prima al cinema e nel cui utilizzo Bruce era un virtuoso assoluto) che Chen
impartisce nel dojo giapponese ai malcapitati di turno, uno dei momenti più
alti per il cinema di arti marziali. In un paio di occasioni è possibile
ammirare pure il famosissimo e terribile "pugno a un pollice" (ONE
INCH PUNCH, il pugno ravvicinato), la tecnica suprema del jeet kune do della
quale Bruce fornì una perfetta dimostrazione durante una mitica esibizione
pubblica (facilmente rintracciabile su Youtube). A beccarselo sono,
rispettivamente, il cuoco traditore Yen prima e l'isopportabile e viscido
interprete cinese Wu poi, ossia i due principali responsabili della morte di Ho
Yun Chia. Molto belli ed epici anche il duello col lottatore russo (Baker) ed
il combattimento finale contro il maestro giapponese Sukuki, regolato da un
gran calcione volante.
A proposito di
Giappone, va sottolineato il clima patriottico e pesantemente antinipponico che
si respira per tutto il film, ed è questo forse il fattore che ha determinato
un così grande successo in patria di questa pellicola, data la forte rivalità
sussistente all'epoca tra le due nazioni (tuttora in rapporti non propriamente
idilliaci). Naturale quindi che il pubblico cinese si sia entusiasmato per
l'impavido eroe solitario ed impulsivo interpretato da Bruce, quel Chen pronto
a morire pur di vendicare l'onta subita dagli odiati vicini/invasori giapponesi
(che occuparono Shangai una prima volta nel 1932 per alcuni mesi, poi una
seconda volta dal 1937 al 1945 durante la seconda guerra sino-giapponese),
dipinti come oppressori spocchiosi e razzisti ("VIETATO L'INGRESSO AI CANI
E AI CINESI", recita un cartello all'ingresso di un parco pubblico,
cartello che il buon Chen decide di rimuovere a modo suo); nonostante alla fine
la resa sia inevitabile, Chen lancia un monito ai giapponesi che è entrato
subito nel mito, quasi una profezia: "IN CINA CE NE SONO MIGLIAIA COME
ME", urla in faccia al terrorizzato rappresentante del consolato
giapponese.
I film di Chen sono
stati ispiratori per il sottogenere di arti marziali "realistiche"
che ha imperversato in oriente per tutti gli anni '70, tuttavia nessuno è
riuscito anche solo ad avvicinare il mito di Bruce Lee, suggellato, come
purtroppo accade spesso nel mondo dello spettacolo, da una morte prematura che
non gli ha comunque impedito di diventare, nel suo particolare ambito
artistico, il più grande di tutti. Forse più che i vari e celebrati Jackie
Chan, Chuck Norris e Jean Claude Van Damme, l'erede più legittimo di Bruce
-uomo forse irraggiungibile dai comuni mortali- è stato Ken il Guerriero, il
mitico eroe manga nato dalla fantasia del duo Bronson/Hara.
Francesco Vignaroli
che recensione coi controcazzi!!!:-)
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