Arezzo,
Teatro Mecenate. Giovedì 8 novembre 2012
Quello che il personaggio al
centro dello spettacolo Muri. Prima e
dopo Basaglia fa fare allo spettatore è un viaggio da un lato attraverso i
luoghi dell’ospedale psichiatrico di Trieste, seguendo il corso dei ricordi
della protagonista che si snodano lungo gli anni movimentati della psichiatria
in Italia, e dall’altro attraverso l’esperienza di chi in questo campo ha
scritto un importante pezzo di storia, Franco Basaglia. Protagonista anch’egli,
nel suo caso del racconto che si sviluppa in scena, del quale costituisce lo
spartiacque - come si intuisce dal titolo stesso - che divide la vicenda in due
momenti distinti. Lo spettacolo infatti è un lungo monologo incentrato sulla
figura di Basaglia e sulla grande rivoluzione che ha apportato nel campo delle
malattie mentali, che viene ripercorsa dall’interno, contestualizzata e
mostrata in profondità attraverso gli occhi di un’infermiera, interpretata da
Giulia Lazzarini. La tipologia narrativa è dunque quella della testimonianza in
prima persona, rivolta ad un interlocutore che si percepisce ma non si vede in
scena, e che ben presto diventa ogni spettatore presente. Ne nasce un racconto
emotivamente coinvolto da parte dell’attrice protagonista ed emotivamente
coinvolgente per il pubblico.
Non appena Giulia Lazzarini
entra in scena colpisce per la delicatezza con cui caratterizza il suo
personaggio, nei gesti composti e soprattutto nella voce pacata, che si fa
sempre più avvolgente con lo svolgersi dello spettacolo. È come se la Lazzarini
prendesse per mano gli spettatori e li guidasse attraverso l’esperienza
personale di un’infermiera, che quasi per caso entra a lavorare nell’ospedale
triestino e si ritrova dopo alcuni anni a collaborare con Basaglia, vivendo in
prima persona la sua riforma. Anche in questo spettacolo si ritrovano quei
tratti distintivi del modo di fare teatro della Lazzarini, quella dedizione al
personaggio e quel rigore attoriale che ne hanno fatto una grande attrice nel
senso pieno del termine. Mai una sbavatura, mai un calo di tensione
nell’interpretazione, Giulia Lazzarini è costantemente calata nel personaggio e
partecipe del racconto. Le bastano pochi movimenti delle mani per enfatizzare
la lettura del monologo, mentre le espressioni del volto ne sottolineano il
senso e lo rendono vivo. Il testo di Muri.
Prima e dopo Basaglia - scritto e diretto da Renato Sarti - è ben costruito
e incisivo, ma è innegabile che lo spettacolo viene arricchito
dall’interpretazione della Lazzarini.
Si è detto che Basaglia divide
la storia in due tempi, ma a voler essere precisi tre sono i momenti che
scandiscono la narrazione: la descrizione della situazione nel reparto e della
condizione dei malati mentali prima dell’esperienza di Basaglia; il racconto
del cambiamento durante la rivoluzione da lui avviata; infine il dopo Basaglia,
dai toni un po’ nostalgici, che riconosce come si è trasformata ancora la
psichiatria. Il manicomio prima di Basaglia è segnato da immagini forti,
bastano alcuni termini per evocare un luogo dove impera la forza finalizzata a
stroncare comportamenti ritenuti violenti: si parla di elettroshock, lobotomia,
violenza. Pulizia e custodia sono le parole che maggiormente vengono ripetute
dall’infermiera in questo primo quadro, quasi in maniera ossessiva, perché la
sporcizia del reparto deve essere coperta e i malati vanno controllati, non
seguiti. Malati che tra psicofarmaci e isolamento perdono pian piano la loro
identità di uomini e di donne, fino a diventare dei corpi vuoti, quelli che
occupano il settore più interno, o meglio, finale del manicomio.
L’arrivo di Basaglia
nell’ospedale triestino è rappresentato in scena con la luce, una luce calda
che illumina il muro che occupa il palcoscenico. È il periodo della grande
riabilitazione, della messa in discussione del trattamento dei malati mentali.
Il racconto dell’infermiera prende respiro e si apre ai ricordi, a immagini di
rinnovamento: tra i pazienti c’è chi dipinge, chi svolge piccoli lavori, chi
viene portato al mare. La memoria della protagonista si ferma ad un giorno
trascorso insieme ad una paziente al mare, al suo giocare e gioire tra le onde
di fronte agli occhi increduli dei bagnanti. Questa immagine racchiude in sé
gli aspetti fondamentali della rivoluzione di Basaglia: un rapporto diretto tra
paziente infermiere e medico, e la possibilità per i malati di stare in mezzo
alla gente grazie all’abbattimento delle mura del manicomio. Ma più ci si
avvicina ai giorni nostri e più l’entusiasmo di quel periodo innovativo si
affievolisce, anche nel racconto dell’infermiera. Come ogni movimento
socio-culturale, anche quello di Basaglia raggiunge il suo apice negli anni
della chiusura dei manicomi e della legge 180, poi quel fermento decresce e si
stabilizza in un nuovo sistema ideologico.
Si spenge l’entusiasmo ma
non la passione di chi in quell’esperienza ha creduto, come l’infermiera a cui
la Lazzarini dà voce che, ormai in pensione, continua ad andare all’ospedale
come volontaria e passa del tempo con i malati mentali perché così dà un senso
alla sua vita e alle sue giornate. Questo è il lato più privato del monologo,
poiché il racconto non ha solo il carattere pubblico della storia di Franco
Basaglia, ha anche quello privato della vicenda personale, in un perfetto
equilibrio drammaturgico tra i due ambiti. Basti pensare a quando l’infermiera
allarga la narrazione alla sua vita matrimoniale, accennando al rapporto con il
marito che si fa più difficile man mano che il lavoro nel manicomio la
coinvolge sempre di più, fino a toccare il piano della riflessione interiore. Emerge
così che quella all’interno dell’ospedale psichiatrico è un’esperienza
totalizzante, che cattura energie e richiede la disponibilità a mettersi in
gioco, che fa scattare un percorso interiore e si riflette inevitabilmente
nella vita al di fuori del tempo lavorativo. La protagonista sottolinea come
l’esperienza con Basaglia le abbia fatto acquisire il senso di responsabilità
verso gli altri ma anche verso se stessa, a cui poi si è unita una coscienza
politica, perché partendo dalla mobilitazione per i diritti dei malati mentali
ha avuto modo di conoscere e far parte di quel movimento più ampio per i
diritti delle donne, dei lavoratori, degli studenti che dal ’68 arriva fino ai
primi anni Settanta.
I temi toccati nello
spettacolo Muri. Prima e dopo Basaglia
sono dunque vari, così come tanti sono i fili rossi tracciati durante il racconto,
fili che toccano da vicino lo spettatore. Molti hanno ancora in testa le immagini
che alcune settimane fa hanno fatto il giro dei telegiornali, di alcuni
programmi televisivi e della rete: quelle del video che mostra il maestro
Francesco Mastrogiovanni, morto nel 2009 in ospedale dopo un ricovero per un
T.S.O., abbandonato per 82 ore in un letto del reparto di psichiatria, nudo
legato e dimenticato da medici e infermieri. Per chi ha ancora ben chiare
quelle immagini e la loro crudeltà, lo spettacolo con Giulia Lazzarini acquista
un significato in più e si carica di una scottante attualità: quei corpi vuoti
ricordati dall’infermiera non sono molto lontani da quello di Mastrogiovanni,
che durante delle lunghissime ore si fa sempre più inerme nella noncuranza di
chi invece avrebbe dovuto accudirlo. E allora la voce, la testimonianza dell’infermiera,
se da un lato dovrebbe scuotere le coscienze, dall’altro diventa fondamentale
per dimostrare che non c’è una spiegazione medica a tali episodi, poiché la
grande rivoluzione di Franco Basaglia nel campo della psichiatria ha reso reali
ed efficaci altre vie di cura del tutto diverse.
Sara Nocciolini
MURI. PRIMA
E DOPO BASAGLIA
con Giulia Lazzarini
testo e regia di Renato Sarti
musiche di Carlo
Boccadoro
scene di Carlo Sala
luci di Claudio De Pace
produzione Teatro
della Cooperativa/Mittelfest
con il sostegno di Regione Lombardia
progetto Next e della Provincia di Trieste
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