Vittorio Emanuele, Papaveri sul davanzale |
Glieli aveva portati
strappandoli dai campi della sua infanzia, un lungo viaggio senza sosta perché
non morissero, non si era quasi mai fermato, la macchina viaggiava veloce, da
sud a nord, divorata dal sole estivo, per arrivare da lei prima possibile,
lassù, a Milano.
Come ogni giorno,
sistemava il cavalletto sulla spiaggia affacciata sullo Ionio, e come ogni
giorno trovava qualcosa di diverso nel paesaggio marino che lo circondava.
“Augusto, ma perché
vai ogni mattina a dipingere lo stesso mare? Sono ottant’anni che abito qui e a
me sembra sempre uguale” le diceva la nonna che lo vedeva partire indossando la
casacca ogni giorno più macchiata, il cappello sempre più sbiadito, sempre più
pennelli e tubetti schiacciati nella valigetta.
“Non ti basta averlo
dipinto una volta?”
“Nonna, il mare
cambia ogni momento, non è mai uguale, ha la sua vita, come noi… è lui che
racconta, ma non lo fa con tutti, solo con quelli che lo amano. Quando lui
stesso non vorrà più dirmi nulla, allora mi allontanerò e non lo dipingerò più.
Dovrò cercare un altro mare….”
La casa era piena di
quadri di marine, piccole, grandi, oli, tempere, il colore delle onde aveva
tutte le tonalità dell’azzurro e del verde, il cielo era tempestoso, sereno,
imbronciato, incorniciato dalle nuvole, dal sole estivo, dalla luce del
tramonto ma nessun essere umano era mai entrato in quell’altezzosa solitudine.
La spiaggia, poco
conosciuta, era frequentata da quelli che sembravano volersi nascondere alla
sua vista, quasi timorosi di disturbare il suo lavoro e la sua
concentrazione.
Una mattina di
agosto, davanti al cavalletto, aspettava che il mare gli parlasse, invece fu
un’altra voce che sentì.
“Scusi, mi sa dire se
posso camminare oltre il promontorio?”
Non si era accorto
che alle sue spalle c’era una donna con un
cappello di paglia verde, un caftano bianco e occhi di una tonalità di
azzurro che non gli era mai riuscito dipingere.
Nemmeno il rosa delle nuvole al tramonto era delicato come quello delle
sue labbra. La donna del mare…
“Sì sì … ed è anche
molto bello … c’e’ un sentiero che sale sul crinale”.
“Grazie…magari ci
vediamo quando torno indietro”.
“Buona passeggiata”.
Riprese il lavoro, ma
il mare quel giorno era muto, e lui non riusciva a trovare il giusto colore per
dipingere le onde. Si mise seduto sulla spiaggia e per la prima volta il suo
pennello rimase immobile.
Non i suoi pensieri e
il suo sguardo, però, che andavano continuamente verso la fine della spiaggia,
con la speranza di vederla tornare.
Aprì l’ombrellone che
si era portato, e si mise sotto, per ripararsi
dal sole del mezzogiorno, a mangiare della frutta.
Poi, si addormentò.
“Eccomi di ritorno.
Grazie, è stata una passeggiata stupenda”
“Mi ero assopito…Oggi
non ho combinato un granché. Mi fa
piacere rivederla. È di passaggio qui?”.
“Recito al teatro di
Siracusa e mi sono presa qualche giorno di vacanza prima di cominciare”.
“Un’attrice… Beh… che
altro poteva essere? E’ così bella”.
“Perché non viene a
vedermi? Reciterò in “Medea”. Così magari dirà che sono anche brava”.
“Certamente…e…poi?”
“Poi cosa?”
“Si…volevo dire…dove
abita…non mi sembra delle mie parti”.
“Abito quasi agli
antipodi…a Milano”.
“Non ci sono mai
stato. Però mi piacerebbe…”.
“Che cosa
dipingerebbe senza il mare?”.
“Non posso mica
dipingere solo lui…che dice?”.
Improvvisamente si
rese conto, per la prima volta, che era pronto a dipingere qualcos’altro che
non fosse il mare.
“E’ bella la sua
terra… venendo ho visto distese di papaveri che sembravano invitarmi a
fermarmi, a guardare il cielo, a stare con loro, senza pensare a nulla…ad
abbandonare le tristezze, a dimenticarmi delle sofferenze…Quel rosso sembra
macchiare di passione anche i cuori più duri… “.
E mentre parlava, le
vide negli occhi quella tonalità di azzurro che aveva cercato tra i suoi
colori, senza trovarla.
Avrebbe voluto chiederle di fermarsi lì, di
posare per lui, ma gli sembrò di tradire il mare e rimase in silenzio.
“Se vuole le lascio
un biglietto per venerdì sera. Lei saprà sicuramente come arrivare al teatro”.
“Sì, certo. A
proposito…mi chiamo Augusto”.
“Io Nina. Dica il mio
nome al botteghino. A presto, allora”.
“A presto e grazie”.
Se ne andò come un
gabbiano, leggero e silenzioso.
Tornò a casa, quel
giorno, con una tela non finita. La
mattina dopo non andò alla spiaggia e nemmeno i giorni seguenti.
Il mare era diventato
muto, parlava il suo cuore, ora.
Nina, dopo le
repliche, tornò a Milano, ma prima, passò una notte intera con Augusto.
Quella delle stelle
cadenti.
Suonò alla porta del suo appartamento, al nono
piano di un palazzo signorile in centro città.
Glieli aveva portati
strappandoli dai campi della sua infanzia, un lungo viaggio senza sosta perché
non morissero, non si era quasi mai fermato, la macchina viaggiava veloce, da
sud a nord, divorata dal sole estivo, per arrivare da lei il prima possibile,
lassù, a Milano.
Era stata una
sorpresa, non sapeva nemmeno se l’avrebbe trovata, ma ormai la decisione era
stata presa, senza rimpianti, aveva bisogno di dipingere altri mari, di trovare
altri colori alla sua tavolozza, di abbandonare una vita di cui sapeva tutto,
per cominciarne un’altra, rischiando anche di perdere qualsiasi ispirazione, di
dubitare del suo talento, di non trovare quello che cercava, insomma, di
fallire.
“Augusto! Che matto
sei! E questi papaveri? Sono ancora freschi! Eppure sapevo che muoiono subito
appena si colgono. Devono essere speciali”.
“Se morissero ora,
almeno sarebbero felici di averti rivisto. Per me sarebbe uguale…”.
“Non ti mancherà la
tua terra?”.
“Come può mancarci
qualcosa che sta dentro di noi?”.
“Ho paura che qui di
azzurro ce ne sia poco…molto grigio…invece…”.
“Ma io vedo un misto
di viola e di rosa, di indaco, pennellate di giallo…”. Disse Augusto, attirato
dalla luce che entrava dalla finestra aperta su Milano al tramonto.
Lei lo seguì tenendo
tra le braccia i papaveri un po’ stanchi, desiderosi di riposo.
“E poi c’e’ anche
dell’azzurro, di una tonalità che non ho mai visto prima…”.
Le prese i fiori
dalle mani e li appoggiò sul davanzale, poi la strinse tra le braccia: era lei
ora il suo nuovo mare, e aveva un colore che nessun altro sarebbe stato capace
di dipingere, a parte lui.
I papaveri
s’inebriarono dell’aria umida e dolce di Milano e si addormentarono per sempre,
felici.
Daria D.
Nessun commento:
Posta un commento