Considero il cinema
una delle più geniali scoperte della storia del mondo moderno, e non passa
giorno che, come una piacevole disciplina, un cibo per la mente e per il cuore,
non riveda i capolavori del passato, quelli che, come la buona letteratura, non
invecchiano mai, anzi, sono sempre capaci, anche dopo tanto tempo, di educarci
al piacere di riflettere e pensare, al gusto dell’armonia e della bellezza, all’intelligenza
e alla coerenza, cose di cui sembra stiamo perdendo la consuetudine e il
significato.
Chissà per quale
associazione mentale, ho scelto due film che apparentemente sembrano lontani,
perché De Sica è puro realismo, anzi neo-realismo e Bergman è l’intellettuale a
volte freddo e distaccato che si tormenta cercando di capire e sviscerare la
realtà. Entrambi, però, sono maestri nel
raccontare storie, nel metterci davanti a problemi sociali o privati, nell’usare
il mezzo tecnico per creare movimenti di macchina poco spettacolari, anzi,
direi quasi essenziali ma indimenticabili, stupende fotografie di primi piani
dove risalta tutta l’intensità e la bravura degli attori, che siano presi dalla
strada o dai palcoscenici di famosi teatri.
I due vecchi
protagonisti, Umberto Domenico Ferrari del film di De Sica “Umberto D.”
interpretato da Carlo Battisti, che nella vita faceva il professore di
glottologia all’Università di Firenze e Isak Borg de “Il posto delle fragole”
di Bergman, impersonato da Victor Sjöström, colonna portante della
cinematografia svedese, hanno in comune quella
parte della vita in cui si tirano le somme, si è costretti a lasciare il posto
alle nuove generazioni, se si è fortunati continuando a vivere circondati da
nipoti e figli, ricevendo riconoscimenti pubblici, altrimenti, avendo come unica
compagnia un cane fedele, possedendo pochissime cose, raccogliendo i frutti
delle scelte passate o portando sulle spalle i pesi di quelle altrui, a volte
ingiuste e sbagliate. E come ultima similitudine, il momento in cui la forza di
carattere, l’ostinazione, l’energia lasciano il posto alla stanchezza, ai
rimpianti, alla malattia, ma soprattutto ai ricordi.
All’inizio del film
di De Sica, Umberto D., insieme a tanti colleghi della sua età, marcia per
protesta nelle strade di Roma, invocando pensioni più alte e dignitose. Una
scena che dal lontano 1952, l’anno del film, ricorre regolarmente sotto i
nostri occhi, facendoci riflettere su come alcuni problemi sociali non siano
mai stati risolti. Ma la polizia interviene per sciogliere il corteo e i
poveretti, ansimando e sudando sotto i loro cappelli, si diradano incolpando
agli organizzatori che non avevano il permesso di manifestare. Che dire? Nulla
di nuovo sotto il sole.
Subito dopo fa la sua
comparsa in scena Flaik, il fedele cagnolino che stava nascosto sotto il
cappotto e che sarà il co-protagonista del film e del cui amore e fedeltà Umberto
D. non si priverà mai, anche se le circostanze disperate lo spingeranno a liberarsene.
In una delle prime scene, vediamo il vecchio alla mensa dei poveri passare di
nascosto il suo rancio al cagnolino.
Anche Isak mentre scrive seduto al tavolo di lavoro, ha un cane che gli
fa compagnia, di grossa taglia, però, al contrario di Flaik, e che, come il
vecchio professore, appare austero e altezzoso.
Per racimolare un po’
di soldi e pagare l’affitto arretrato, esce dal taschino di Umberto D. un
orologio d’oro, che è offerto ai passanti, anche a costo di svenderlo. L’orologio, simbolo dell’esistenza che
scorre, dal cuore neutro, né buono né cattivo, diventa indispensabile o malefico a seconda che la sua
vendita ci aiuti a sopravvivere un po’ più a lungo o che annunci, anche senza
lancette, come nell’incubo di Isak, l’arrivo della morte.
Il viso segnato, i capelli bianchi, occhi
stanchi tuttavia ancora capaci di stupirsi e di voler capire, l’incedere curvo,
l’essere alla mercé di una governante autoritaria e burbera da una parte o di
un’affittuaria avida e furba dall’altra, che non si fa scrupolo di sbattere fuori
di casa un povero vecchio che non ha pagato l’affitto da tre mesi. Anche questo
accomuna i due protagonisti.
Isak al contrario di
Umberto D. vive in una bella casa borghese, e non sono i soldi il suo tormento
ma quello che i famigliari, gli amici, il mondo esterno, e i fantasmi del
passato, pensano di lui, e che non hanno mai avuto il coraggio di dirgli.
Durante il viaggio per andare a ritirare la Laurea ad honorem, il medico è
accompagnato dalla nuora Marianne, interpretata da una brava e bella Ingrid
Thulin, una donna forte e tenera nonostante la malinconia e la schiettezza che appaiono
dalle sue parole. Marianne gli racconterà di aspettare un bambino ma che il marito, uomo cinico e
materialista, che crede che la vita sia una cosa assurda, non lo vuole
mettendola addirittura davanti alla scelta “O lui o me”.
Liberandosi dal
timore e dalla soggezione che il vecchio ha sempre suscitato negli altri, gli
rimprovererà di essere stato un uomo egoista, avaro e pieno solo di se stesso. E
gli ricorda che sia lui che il figlio hanno usato la stessa terribile frase di
“sentirsi morti anche da vivi”.
Durante il viaggio,
in cui il vecchio si fermerà nel posto delle fragole, che significano
primavera, cioè giovinezza, quella che rivivrà visitando la casa dove
trascorreva le vacanze, s’instaurerà tra i due un rapporto nuovo, perché Isak, preso
dai rimorsi, cambierà atteggiamento, cercando di ascoltare e di capire il prossimo,
ripensando alla vita passata e agli errori commessi. Questa sopraggiunta dolcezza, che lo spingerà
a dire “Forse sto diventando sentimentale” nel rivedere le fragole tra l’erba, farà
scoprire a Marianne un uomo bisognoso di tenerezza e di umanità, che per tutta
la vita ha messo il lavoro, la scienza e la sua persona al primo posto, ma che
ora, nell’ultima fase della vita, si rende conto, grazie anche a lei, che gli
affetti e i sentimenti sono parte indispensabile dell’esistenza. Sentendo di
potersi finalmente fidare del suocero, decide di confidargli quello che prova
per il marito e la decisione irrevocabile di tenere il bambino.
Il rapporto tra
vecchiaia e giovinezza è presente anche nel film di De Sica, perché Umberto D.
troverà nella giovanissima servetta della pensione un’amicizia inaspettata, tanto
che Maria gli confiderà di essere incinta ma di non essere sicura sulla
paternità del figlio e di temere il licenziamento se la padrona della pensione
lo venisse a sapere. Il vecchio, di fronte
all’ignoranza della ragazzina, la incalza a imparare a leggere e a scrivere
perché “Certe cose succedono perché non si conosce la grammatica e allora tutti
si approfittano degli ignoranti”. Ha proprio ragione il caro Umberto D.
Le vicende del povero
Umberto D. ci appaiono quasi inconcepibili, surreali, e, infatti, De Sica era
stato accusato di dipingere una realtà esagerata e non vera ma credo piuttosto che il grande regista ci abbia mostrato la
profonda umanità e disumanità che sta dentro ognuno di noi, e che le
circostanze in cui viviamo ci spingono verso una direzione o verso l’altra. Il
povero pensionato, pur essendo costretto a vendere tutto quello che ha, cioè, quel
poco che ha, un orologio, due dizionari, resti di vestiario, mantiene
ugualmente la sua dignità e quando sta per allungare la mano, ormai alla
disperazione, per chiedere la carità, la ritrae spaventato da un simile gesto.
Tutti e due i vecchi
lamentano la stanchezza di vivere e i loro sogni sono pieni di presagi di morte
e di solitudine. Umberto D. quando apre la finestra della camera distrutta dai muratori,
e che non sarà più sua dopo vent’anni, guarda il selciato e pensa al suicidio.
Lo salva solo il pensiero che Flaik rimarrebbe solo. Isak invece vede il suo cadavere uscire da una
bara scoperchiata e si sveglia terrorizzato.
Bergman con questo
film del 1957 che gli valse molti premi internazionali, questa volta è più
simile a De Sica che a se stesso, nel mostrarci un bisogno di raccontare una
vicenda umana “normale”, semplice ma estremamente toccante perché i due grandi
vecchi ci sono rimasti nel cuore, e per noi spettatori non sono mai morti.
Infatti, sia Bergman sia
De Sica chiudono i loro film un attimo prima che la morte sopraggiunga, Isak si
addormenta con un sorriso sulle labbra ripensando ai momenti belli della sua
vita e Umberto D., dopo aver ritrovato
il suo cagnolino, gli lancia la pallina e tutti e due corrono felice verso
qualcosa che sappiamo ma che non c’è permesso dire e vedere, perché le illusioni e i sogni fanno parte
della vita, come anche il cinema.
Daria D.
Bravissimo Dario,
RispondiEliminasei il primo ad aver notato il tributo di Bergman a De Sica.