06 dicembre, 2012

Umberto D. e Isak Borg: due grandi vecchi protagonisti di due grandi film. E che non sono mai morti.



Considero il cinema una delle più geniali scoperte della storia del mondo moderno, e non passa giorno che, come una piacevole disciplina, un cibo per la mente e per il cuore, non riveda i capolavori del passato, quelli che, come la buona letteratura, non invecchiano mai, anzi, sono sempre capaci, anche dopo tanto tempo, di educarci al piacere di riflettere e pensare, al gusto dell’armonia e della bellezza, all’intelligenza e alla coerenza, cose di cui sembra stiamo perdendo la consuetudine e il significato.
Chissà per quale associazione mentale, ho scelto due film che apparentemente sembrano lontani, perché De Sica è puro realismo, anzi neo-realismo e Bergman è l’intellettuale a volte freddo e distaccato che si tormenta cercando di capire e sviscerare la realtà.  Entrambi, però, sono maestri nel raccontare storie, nel metterci davanti a problemi sociali o privati, nell’usare il mezzo tecnico per creare movimenti di macchina poco spettacolari, anzi, direi quasi essenziali ma indimenticabili, stupende fotografie di primi piani dove risalta tutta l’intensità e la bravura degli attori, che siano presi dalla strada o dai palcoscenici di famosi teatri.
I due vecchi protagonisti, Umberto Domenico Ferrari del film di De Sica “Umberto D.” interpretato da Carlo Battisti, che nella vita faceva il professore di glottologia all’Università di Firenze e Isak Borg de “Il posto delle fragole” di Bergman, impersonato da Victor Sjöström, colonna portante della cinematografia svedese, hanno in comune  quella parte della vita in cui si tirano le somme, si è costretti a lasciare il posto alle nuove generazioni, se si è fortunati continuando a vivere circondati da nipoti e figli, ricevendo riconoscimenti pubblici, altrimenti, avendo come unica compagnia un cane fedele, possedendo pochissime cose, raccogliendo i frutti delle scelte passate o portando sulle spalle i pesi di quelle altrui, a volte ingiuste e sbagliate. E come ultima similitudine, il momento in cui la forza di carattere, l’ostinazione, l’energia lasciano il posto alla stanchezza, ai rimpianti, alla malattia, ma soprattutto ai ricordi.
All’inizio del film di De Sica, Umberto D., insieme a tanti colleghi della sua età, marcia per protesta nelle strade di Roma, invocando pensioni più alte e dignitose. Una scena che dal lontano 1952, l’anno del film, ricorre regolarmente sotto i nostri occhi, facendoci riflettere su come alcuni problemi sociali non siano mai stati risolti. Ma la polizia interviene per sciogliere il corteo e i poveretti, ansimando e sudando sotto i loro cappelli, si diradano incolpando agli organizzatori che non avevano il permesso di manifestare. Che dire? Nulla di nuovo sotto il sole.
Subito dopo fa la sua comparsa in scena Flaik, il fedele cagnolino che stava nascosto sotto il cappotto e che sarà il co-protagonista del film e del cui amore e fedeltà Umberto D. non si priverà mai, anche se le circostanze disperate lo spingeranno a liberarsene. In una delle prime scene, vediamo il vecchio alla mensa dei poveri passare di nascosto il suo rancio al cagnolino.  Anche Isak mentre scrive seduto al tavolo di lavoro, ha un cane che gli fa compagnia, di grossa taglia, però, al contrario di Flaik, e che, come il vecchio professore, appare austero e altezzoso.
Per racimolare un po’ di soldi e pagare l’affitto arretrato, esce dal taschino di Umberto D. un orologio d’oro, che è offerto ai passanti, anche a costo di svenderlo.  L’orologio, simbolo dell’esistenza che scorre, dal cuore neutro, né buono né cattivo, diventa  indispensabile o malefico a seconda che la sua vendita ci aiuti a sopravvivere un po’ più a lungo o che annunci, anche senza lancette, come nell’incubo di Isak, l’arrivo della morte.
 Il viso segnato, i capelli bianchi, occhi stanchi tuttavia ancora capaci di stupirsi e di voler capire, l’incedere curvo, l’essere alla mercé di una governante autoritaria e burbera da una parte o di un’affittuaria avida e furba dall’altra, che non si fa scrupolo di sbattere fuori di casa un povero vecchio che non ha pagato l’affitto da tre mesi. Anche questo accomuna i due protagonisti.
Isak al contrario di Umberto D. vive in una bella casa borghese, e non sono i soldi il suo tormento ma quello che i famigliari, gli amici, il mondo esterno, e i fantasmi del passato, pensano di lui, e che non hanno mai avuto il coraggio di dirgli. Durante il viaggio per andare a ritirare la Laurea ad honorem, il medico è accompagnato dalla nuora Marianne, interpretata da una brava e bella Ingrid Thulin, una donna forte e tenera nonostante la malinconia e la schiettezza che appaiono dalle sue parole. Marianne gli racconterà di aspettare  un bambino ma che il marito, uomo cinico e materialista, che crede che la vita sia una cosa assurda, non lo vuole mettendola addirittura davanti alla scelta “O lui o me”.
Liberandosi dal timore e dalla soggezione che il vecchio ha sempre suscitato negli altri, gli rimprovererà di essere stato un uomo egoista, avaro e pieno solo di se stesso. E gli ricorda che sia lui che il figlio hanno usato la stessa terribile frase di “sentirsi morti anche da vivi”.
Durante il viaggio, in cui il vecchio si fermerà nel posto delle fragole, che significano primavera, cioè giovinezza, quella che rivivrà visitando la casa dove trascorreva le vacanze, s’instaurerà tra i due un rapporto nuovo, perché Isak, preso dai rimorsi, cambierà atteggiamento, cercando di ascoltare e di capire il prossimo, ripensando alla vita passata e agli errori commessi.  Questa sopraggiunta dolcezza, che lo spingerà a dire “Forse sto diventando sentimentale” nel rivedere le fragole tra l’erba, farà scoprire a Marianne un uomo bisognoso di tenerezza e di umanità, che per tutta la vita ha messo il lavoro, la scienza e la sua persona al primo posto, ma che ora, nell’ultima fase della vita, si rende conto, grazie anche a lei, che gli affetti e i sentimenti sono parte indispensabile dell’esistenza. Sentendo di potersi finalmente fidare del suocero, decide di confidargli quello che prova per il marito e la decisione irrevocabile di tenere il bambino.
Il rapporto tra vecchiaia e giovinezza è presente anche nel film di De Sica, perché Umberto D. troverà nella giovanissima servetta della pensione un’amicizia inaspettata, tanto che Maria gli confiderà di essere incinta ma di non essere sicura sulla paternità del figlio e di temere il licenziamento se la padrona della pensione lo venisse a sapere.  Il vecchio, di fronte all’ignoranza della ragazzina, la incalza a imparare a leggere e a scrivere perché “Certe cose succedono perché non si conosce la grammatica e allora tutti si approfittano degli ignoranti”. Ha proprio ragione il caro Umberto D.
Le vicende del povero Umberto D. ci appaiono quasi inconcepibili, surreali, e, infatti, De Sica era stato accusato di dipingere una realtà esagerata e non vera ma credo piuttosto  che il grande regista ci abbia mostrato la profonda umanità e disumanità che sta dentro ognuno di noi, e che le circostanze in cui viviamo ci spingono verso una direzione o verso l’altra. Il povero pensionato, pur essendo costretto a vendere tutto quello che ha, cioè, quel poco che ha, un orologio, due dizionari, resti di vestiario, mantiene ugualmente la sua dignità e quando sta per allungare la mano, ormai alla disperazione, per chiedere la carità, la ritrae spaventato da un simile gesto.
Tutti e due i vecchi lamentano la stanchezza di vivere e i loro sogni sono pieni di presagi di morte e di solitudine. Umberto D. quando apre la finestra della camera distrutta dai muratori, e che non sarà più sua dopo vent’anni, guarda il selciato e pensa al suicidio. Lo salva solo il pensiero che Flaik rimarrebbe solo.  Isak invece vede il suo cadavere uscire da una bara scoperchiata e si sveglia terrorizzato.
Bergman con questo film del 1957 che gli valse molti premi internazionali, questa volta è più simile a De Sica che a se stesso, nel mostrarci un bisogno di raccontare una vicenda umana “normale”, semplice ma estremamente toccante perché i due grandi vecchi ci sono rimasti nel cuore, e per noi spettatori non sono mai morti.
Infatti, sia Bergman sia De Sica chiudono i loro film un attimo prima che la morte sopraggiunga, Isak si addormenta con un sorriso sulle labbra ripensando ai momenti belli della sua vita  e Umberto D., dopo aver ritrovato il suo cagnolino, gli lancia la pallina e tutti e due corrono felice verso qualcosa che sappiamo ma che non c’è permesso dire e vedere,  perché le illusioni e i sogni fanno parte della vita, come anche  il cinema.

Daria D.



1 commento:

  1. Bravissimo Dario,
    sei il primo ad aver notato il tributo di Bergman a De Sica.

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