Milano,
Campo Teatrale. Dal 24 al 27 gennaio, dal 31 gennaio al 4 febbraio, dal 7 al 10
febbraio 2013
Scrivere di questo
spettacolo firmato César Brie non è piacevole, né leggero, mi fa quasi male, perché
la realtà è come un jab che ti mette knockout ma non si può sempre vivere di
sogni, è necessario aprire gli occhi su quello che accade, più spesso di quello
che pensiamo, tra le quattro mura domestiche che qui sono trasformate in un
ring dove rimangono solo vittime.
César Brie si sta
addentrando con gli ultimi testi nella sfera del privato, lo aveva già fatto
con “120 chili di jazz” di cui scrissi una recensione e che aveva aperto la
stagione di Campo Teatrale, con lo scopo di renderlo pubblico, addirittura
mettendolo su di un ring davanti ad un’audience composta presumibilmente delle
stesse coppie di cui il regista ci parla. Ma silenzio, nessuno deve saperlo,
rivelarlo, è sempre il vicino di casa il colpevole, è il fatto di cronaca di
cui si parla e ci s’indigna per un giorno e poi si dimentica in fretta. L’ipocrisia all’interno del matrimonio, è
messa a nudo con ferocia e senza pietà, Brie non risparmia i luoghi comuni che
accomunano tutte le coppie, prima o poi, la sottomissione della donna alla
forza maschile, la violenza che scaturisce da discussioni triviali, il
reiterarsi delle situazioni spiacevoli. Perché all’interno del matrimonio
sembra che sia permesso tutto, addirittura sotto la benedizione divina, anzi
della chiesa e delle istituzioni.
Ma quanti round di dolore,
violenza fisica e verbale, indifferenza, suppliche ci vogliono per capire
quando è l’ora di gettare la spugna per non morire?
Due giovani belli e
sorridenti, appena sposati, varcano la porta di quella che sarà la loro casa,
si aspettano il paradiso, come tutti, scartano i regali, fanno progetti, chissà
se si accorgono che quelle luci attorno a loro sono le corde di un ring su cui
presto, molto presto, si affronteranno?
Si comincia con un
tic… tac… tic… tac... per scandire la monotonia di gesti sempre uguali, una
vita che si ripete, le nascite dei figli, i primi schiaffi, quasi un gioco
innocente, come spazzare la polvere dal pavimento e con essa tutti i sogni con
cui si è cominciato.
Il tic tac della
noia, le giornate si fanno pesanti, al lavoro, in casa, la cena non soddisfa,
il sesso nemmeno, “ti amo tesoro mio” tra uno schiaffo e l’altro, un livido in
più, un’offesa di troppo, “ti amo tesoro, l’ho fatto per te”, “zitta puttana”,
un altro round.
Ma cosa avrà di
“maledetto” questa istituzione di cui vediamo solo la parte sorridente,
ipocrita, da pessima pubblicità? Come mai al suo interno soltanto perché hanno
giurato “finché morte non vi separi” marito e moglie si sentono in dovere di
possedere l’altro, senza rispetto, comprensione, lealtà, come se pugni, schiaffi,
parolacce, pianti, odio fossero leciti e indispensabili?
“Fallito”, “Puttana”,
un altro round, lividi difficili da coprire, “Ti voglio bene”, “Non toccare i
bambini”, parole che fanno male, una lotta che non è ad armi pare, la giovane
moglie è dolce e paziente, ingoia parolacce e insulti, e intanto i round
passano, come gli anni. Si cade nell’abitudine, nell’impotenza, in fondo si
sono giurati amore eterno, si sono messi un anello al dito come se quello desse
il diritto alla proprietà, una specie di compravendita di bestiame. Ma quell’anello
non è un cappio al collo!
Eppure continuiamo a
pensare che la società si debba fondare sul matrimonio, per tutelare i diritti
dei più deboli, per fare felici i genitori, i suoceri, gli amici, dare una
parvenza di ordine e, dico io, soldi agli avvocati, ai preti e mi fermo qui. Ma
siamo sicuri sia così?
Io penso di no e mi
sembra la pensi così anche Cèsar Brie, che con questo spettacolo ha mostrato
che non c’è soluzione, speranza, redenzione, se non, ebbene diciamolo chiaro e
forte, senza matrimonio. Per tutti.
Cèsar Brie è un
artista scomodo e coraggioso, umile e lungimirante, un uomo che ha sofferto e
che continua a soffrire per tutti noi. Allora seguiamolo nel suo cammino di
ricerca della verità. Non ce ne pentiremo sicuramente.
Daria D.
Indolore
drammaturgia
e regia di César Brie
con
Adalgisa Vavassori e Gabriele Ciavarra
Produzione
Campo Teatrale, Milano
Sería adecuado mencionar que esta obra fue montada originalmente por el Teatro de Los Andes en el año 2007, siempre con dirección de César brie. Pero nació de la exigencia personal de uno de sus actores (Lucas Achirico)quién, junto a su esposa (Danuta Zarzyka)investigaron profundamente sobre el tema. Luego junto a otros cuatro actores del grupo (Daniel Aguirre, Gonzalo Callejas, Maria Teresa Dal pero y Alice Guimaraes)crearon un centenar de imágenes sobre el tema. Luego llega César quién, desde las imágenes CREADAS POR LOS ACTORES escribe el texto y propone la puesta en escena de la obra. Las imágenes brillantemente seleccionadas y puestas en escena por Brie (la mujer que camina sobre la mesa con los platos, los niños dibujados, la mujer como marioneta, etc.)son fruto del trabajo y creatividad de los actores arriba mencionados. En la página WEB teatrolosandes.com se puede leer la presentación de la obra escrita por César Brie dónde comenta el proceso de su creación.
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