20 gennaio, 2013

“La Regina degli Elfi”, testo di Elfriede Jelinek, regia e interpretazione di Angela Malfitano. Di Daria D.



Teatro Oscar di Milano dal 18 al 27 gennaio 2013


Quando un’attrice come Angela Malfitano prende un testo del Premio Nobel per la letteratura nel 2004 Elfriede Jelinek che non ritirò di persona perché affetta da agorafobia, indossa  una tunica nera, fili di perle intorno al collo e i polsi, una cuffietta sulla testa stile anni trenta, guanti di pizzo, il trucco da macabro Pierrot e un cappotto militare sulle spalle e  recita tutto il tempo dentro una bara sopraelevata e trasportata da sei inservienti in abiti tirolesi, non può che suscitare la nostra curiosità di “elfi”.
La Regina dentro la cassa da morto, un tempo padrona di casa ora ironicamente solo “padrona di cassa”, come la definisce la sarcastica Jelinek, è Paula Wessely un’attrice del Burgtheater, allieva di Max Reinhardt, nata a Vienna nel 1907 e morta nel 2000, sposata con Attila Hörbiger anch’egli membro del famoso teatro, madre di tre figlie che hanno seguito le orme materne. Paula è stata “complice” della propaganda nazista, le cui immagini sempre orrende, anche dopo decenni, scorrono su uno schermo mentre lei se le gode distesa nella bara, inframmezzate da idilliche scene di vita sportiva, dove giovani belli e biondi si esercitano agli anelli o nel salto in lungo. Paula guarda tutto ciò con trionfale soddisfazione come a dire “Io c’ero”. Sì ma ora sei dentro una bara, pensiamo noi “elfi”, che ci sentiamo trattati da burattini, usati, umiliati, eppure in adorazione della grande attrice, così grande che “potrei nascondermi dietro me stessa”, come ci sbatte in faccia la Regina, che in fondo ha bisogno di noi, per esistere.   La sua arroganza e la sua sete di potere ne hanno fatto una delle più importanti attrici del Terzo Reich. Mentre la sento dire “che fatica essere adorati”, “avrei tanto da dare, peccato”, in stile tipicamente melodrammatico e ruffiano, mi viene in mente la cieca ammirazione del popolo per i capi, per l’autorità, basta solo che indossino una divisa, un mantello, una toga, che riempiano gli schermi televisivi, che salgano su un pulpito o urlino le loro pazzie da una terrazza alle folle acclamanti e obbedienti.
La Regina ci ripete che “ha sprecato tempo per noi” per farci sentire in colpa, poveri esseri minuscoli e insignificanti, che ora aspettiamo un pezzo della sua carne prima che si decomponga. In quest’ultimo atto, come in un Sunset Boulevard dalle tinte ancora più fosche, la protagonista diventa imbonitrice di se stessa, ma noi per quanto “stupide masse ignoranti ” capiamo che ha vissuto e recitato illudendosi di avere il potere su noi spettatori, sui nostri sentimenti, senza essersi mai accorta che a sua volta è stata manipolata da un potere maschile più grande di lei, soggiogata sotto il famigerato simbolo della croce uncinata.  
La Malfitano recita con sarcasmo, drammaticità, ironia, è vittima e padrona esattamente come nelle intenzioni della Jelinek, ebrea da parte di padre, femminista, iscritta al partito comunista austriaco da cui uscirà negli anni novanta, “vittima” di una madre fervente cattolica, scrittrice capace di parlarci di gengive, assorbenti, gabinetti con la stessa scrittura demistificante con cui affronta i temi del potere e del femminismo, del sadismo, della libertà, della politica.
Posso capire quello che ha provato Angela Malfitano quando si è trovata davanti questo testo provocatorio e difficile che fa parte del progetto PACTA. dei Teatri, DonneTeatroDiritti, ma non per questo si è tirata indietro. Anzi ha rischiato, interpretando un personaggio scomodo, antipatico, tagliente, arrogante, un’eroina con i piedi di argilla, anzi, già nella fossa. Ci guarda dall’alto, ci prende in giro, fa finta di essere seduta su un comodo sofà eppure è distesa in una cassa da morto, e delirando fa intravvedere il suo bisogno di rimanere attaccata alla vita per continuare a recitare, perché dalla postazione sopraelevata del palco, ma non è anche la bara sospesa?  lei può esercitare meglio il potere sugli spettatori/elfi.
Un’occasione, questo monologo della brava Malfitano che porta a pennello una giacca verde militare e perché non  una di pelle delle SS, suggerisco io?  e collane di  perle con cui verrebbe voglia di strozzarla, per leggere, per chi non la conosca ancora, la Jenilek, a cominciare dal tormentato e autobiografico “La pianista”.
Paula Wessely nella scrittura della Jelinek è quello che le donne non dovrebbero essere, ma che sono, talvolta e non sempre per colpa loro. Almeno io, la penso così. Ma rappresenta  anche e soprattutto il potere, quello che a volte è e che non dovrebbe essere e che per nessuna ragione dovrebbe essere scagionato. È il delirio di onnipotenza dell’uomo che, solo per essere salito su un gradino più alto, si sente in diritto di soggiogare e manipolare gusti, scelte, opinioni, idee. E quando muore,  pensa di poter ancora continuare a sputarci addosso quella bava maleodorante che in vita ci ha fatto credere fosse un  residuo di pasta dentifricia.
La bara lentamente esce dal teatro per essere interrata, portando con sé quella farneticante pericolosa sete di potere ed io, seguendola con lo sguardo finché non ci farà più paura, mi auguro che invece quel tremendo periodo storico non lo sia mai, anche se la memoria storica a volte è assai corta e gli insegnamenti perduti tra  ipocrisia,  pentimento,  scuse e zucchero filato.

Daria D.



LA REGINA DEGLI ELFI
Long playing
Da Elfriede Jelinek
Di e con Angela Malfitano
Assistente alla regia Alessandra Lanfranchi
Con l’aiuto di Rossella Cabiddu, Alessandro Carnevale Pellino, Andrea Cazzato, Anna Cei, Caterina Grandi, Cecilia Lorenzetti, Lucia Mazzotta, Maria Emanuela Oddo, Francesca Pasino, Andrea Rinaldi, Agnese Troccoli, Stefano Zanasi.
Video Lorenzo Letizia
Suono Francesco Brini
Foto Alessandra Fuccillo
CameraOff Tecnico Emanuele Cavalcanti
In collaborazione con
Associazione T.I.L.T.
Sala Biagi-­D’Antona-­Comune
Di Castel Maggiore, Sì*Metrica, Spazioindue, Fondazione Teatro Gaetano Fraschini
Un ringraziamento
A Elena Di Gioia, Marta Dalla Via, Anna Del Mugnaio, Marco De Marinis, Mario Giorgi, Roberto Grandi, Roberto Latini-­Teatro San Martino, Francesca Mazza, Silvia Mei, Marco Sgrosso.
Produzione Associazione Tra un atto e l’altro
Durata 50’

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