Roma,
Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia. Sabato 26 gennaio 2013
Non è mai facile
interpretare la musica di Franz Schubert, di una così “semplice ricchezza” che
la porta facilmente a essere banalizzata. Per fortuna questo è quello che non
fa l’Orchestra dell’Accademia Santa Cecilia, diretta da un eccezionale Edward
Gardner, che, sempre dinamico, accompagna i suoi musicisti facendosi lui stesso
trascinare dalla fantastica chiarezza della musica schubertiana. In questo caso
abbiamo assistito alla “Sinfonia numero 3 in re maggiore”, che contiene tutti
gli elementi che connotano l’impegno musicale del compositore austriaco:
gaiezza, ingenuità (intesa nella positiva qualità di freschezza musicale),
emotività romantica legata al gioco brioso dei concerti settecenteschi. Unita a
questi elementi è insita nei brani di questo grande Maestro una speciale
profondità, ricercata all’interno di quei giochi sonori apparentemente
superficiali.
Non è facile
interpretare Schubert per un duplice aspetto: non è facile interpretare quella
“speciale profondità” di cui si parlava, quel Mistero difficilmente
decifrabile; come non è facile un’interpretazione meramente tecnica, visto che, per non banalizzare il quadro complessivo dell’opera, bisogna porre grande
attenzione agli accenti timbrici per evadere da una facile dimensione di
piattezza sonora. Tutto questo fa Gardner: ci restituisce uno Schubert
“misterioso”, senza relegare la Sinfonia a una scontata piattezza, ma ponendo
invece grande attenzione agli accenti e alla dinamicità musicale, dinamicità di
cui Schubert è Maestro. Gardner, insomma, ci fa sia pensare che divertire e,
credo, questa Sinfonia non potrebbe essere eseguita in modo migliore.
La seconda parte del
programma è molto diversa. In piazza un altro compositore (siamo ormai nel
Novecento, anche se questa composizione è del 1880): Gustav Mahler, con il suo
“Das Klagende Lied” (Il canto del lamento e dell’accusa). Si tratta di una
cantata per soli, coro, voci bianche e orchestra e potremo definirla, in
qualche modo, musica a programma, visto che Mahler si rivolge all’omonima fiaba
di Bechstein, riscrivendola e dando ai cantanti in scena il compito “non
d’interpretarla, ma di raccontarla come narratori”. Divisa in tre scene: “Waldmärchen”
(Fiaba della foresta); “Der Spielmann” (Il menestrello); “Hochzeitsstück”
(Scena di nozze), la storia parla di una regina in cerca di marito, che sposerà
soltanto il cavaliere che riuscirà a trovare per lei un certo fiore rosso. Tra
i contendenti ci sono anche due fratelli, uno buono, l’altro cattivo. Sarà il
buono a trovare il fiore e il cattivo lo ucciderà per averlo. Prima della
celebrazione del matrimonio un menestrello passa nel luogo dove giace il
ragazzo ucciso e, trovato lì un osso, lo prende e comincia a suonarlo. Quel
suono diventa lugubre, visto che si ode il canto del povero giovane rimasto
ucciso che racconta la sua triste storia. A questo punto il menestrello si reca
al castello, proprio mentre il matrimonio sta per essere celebrato, lì suona lo
“strumento” e riecheggiano ancora nell’aria le melanconiche parole di morte.
L’assassino allora, irritato, prende lui in mano l’osso e comincia a suonarlo:
il canto di morte continua, la regina sviene e le antiche mura del castello
crollano.
La musica di Malher è
“grande”, è immensa, intensa, solenne, è allo stesso tempo sospesa e intrisa di
temi popolari e orecchiabili. Delle volte udiamo una banda suonare “fuori campo”
e questo dà alla musica del Maestro un senso, ancora più che musicale,
spaziale. Si tratta di un’opera equilibrata nelle sue parti, studiata in tutti
i suoi elementi (coro, orchestra, solisti), che interagiscono in modo esemplare
tra di loro.
È un brano che esce
dalla dimensione meramente musicale, sfiorando la dimensione operistica e
teatrale. Un’opera, insomma, non facile da classificare, ma è proprio per
questo che mantiene grande fascino e anche freschezza, elementi che
l’Orchestra, ancora una volta diretta da Gardner, offre al pubblico con grande
qualità espressiva, tenendoci incollati alle poltrone con grande senso di
meraviglia.
Bravi anche i
cantanti: la soprano Camilla Nylund, la mezzosoprano Maria Forsström – chiamata
all’ultimo in sostituzione della contralto Anna Larsson -, il tenore Toby
Spence e il baritono Albert Dohmen. I quattro si alternano per raccontarci la
storia della fiaba, facendolo in modo gaio, lirico e commovente, affiancati in
questo dal precisissimo coro dell’Accademia Santa Cecilia e anche dalle tenere
voci bianche, a cui è affidato il dare parola al canto straziante del fratello
ucciso.
Una bellissima
giornata di musica, riuscita, ci tengo a dirlo, non soltanto grazie alle
individualità presenti sul palcoscenico, ma anche e soprattutto, grazie alla
grande abilità d’insieme dell’Orchestra dell’Accademia Santa Cecilia,
un’“Orchestra formata dall’insieme di solisti”, dico io, perché, basta vederli
e ascoltarli mentre suonano, i musicisti dell’organico interpretano i brani con
abilità solistiche sorprendenti. D’altra parte si tratta, a mio avviso,
dell’attuale migliore Orchestra italiana e sicuramente una delle migliori del
mondo.
Stefano Duranti Poccetti
Mahler:
Das klagende Lied
ORCHESTRA,
CORO E VOCI BIANCHE DELL'ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA
EDWARD
GARDNER direttore
CAMILLA
NYLUND soprano
MARIA
FORSSTRÖM mezzosoprano
TOBY
SPENCE tenore
ALBERT
DOHMEN baritono
SCHUBERT
..... Sinfonia n.3
MAHLER
..... Das klagende Lied
con grande qualità espressiva, tenendoci incollati alle poltrone con grande senso di meraviglia.
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