Quale titolo più
appropriato per includere le due bellissime regie di Giuseppe Marini in scena
questi giorni a Roma in due diversi teatri. “La fine non si vede ma di certo è
un bellissimo viaggio”, è ciò che dice Andrea nel magnifico monologo IL GRANDE
MAGO, ma cominciamo da WORDSTAR(S) di Vitaliano Trevisan prodotto e distribuito
dal lagunare Teatro Stabile del Veneto e visto al Teatro Vascello di Roma.
Trevisan è noto anche per essere stato attore in vari film - ma la sua fama maggiore la ottiene come scrittore, e non è neanche nuovo alla drammaturgia teatrale. Partito da WordStar, il più diffuso programma di scrittura prima dell’avvento di Microsoft Word, allo stesso modo, come un programma di scrittura ormai obsoleto, si spegne un vecchio scrittore, Samuel – direttamente ispirato alla figura e alla biografia di Samuel Beckett -, incalzato dal ricordo della moglie e dell’amante, entrambe inaspettatamente morte prima di lui, e tormentato dalla presenza del direttore di una rivista di studi a lui dedicata, che cerca di carpirgli un’ultima “illuminante dichiarazione”, scrive nelle note. Testo pieno di citazioni e riferimenti beckettiani è un lungo monologo/omaggio, intervallato dalle interferenze coniugali, come ricordi/allucinazioni, allo scrittore irlandese, ben scritto e ben articolato nelle sue due parti ci riporta per due ore nell’immaginario dell’inventore del genere teatrale dell’assurdo, premio nobel nel 1969, ma l’apporto della regia e dell’interpretazione dà un valore aggiunto alla serata: “Il teatro non è democratico”, dice ad un certo punto il protagonista Ugo Pagliai, ed il vero ri-creatore della serata è Giuseppe Marini che assumendo con autorità il testo di Trevisan lo riscrive teatralmente con una lettura escatologica: è la fine, sarà la fine, potrà essere la fine? Tanti interrogativi che non hanno risposta. Tanti sono gli inserimenti che ci riportano immediatamente a quella cifra stilistica: la macchina da scrivere, i granelli di sabbia nelle scarpe, l’albero stilizzato a cui si sovrappone il protagonista, le due donne più importanti della vita di Beckett, come alcune figure della drammaturgia beckettiana ridotte quella a una lampada, l’altra a donna armadio/frigorifero e da lì il loro chiacchiericcio è eterno e le scopriamo ogni tanto nei momenti di assenza del loro uomo/amante. Bravissime Paola Gasmann (Suzanne) e Paola Di Meglio (Billie), che duettano simpaticamente in bravura e divertimento strappando anche qualche risata. Ma il protagonista assoluto della serata è Ugo Pagliai - vestito da Gianluca Falaschi dapprima in pigiama/divisa carceraria a lui care, e poi, come era solito farsi ritrarre in foto, con maglioncino e giacca – che da a Samuel Beckett un tormento esistenziale commovente sia pur sorpreso e incantato nella quotidianità dei suoi ultimi giorni di vita, sofferente ma lucido, delirante, ma consapevole, è un grande reciproco omaggio che con la complicità del regista completa e chiude il cerchio.
Trevisan è noto anche per essere stato attore in vari film - ma la sua fama maggiore la ottiene come scrittore, e non è neanche nuovo alla drammaturgia teatrale. Partito da WordStar, il più diffuso programma di scrittura prima dell’avvento di Microsoft Word, allo stesso modo, come un programma di scrittura ormai obsoleto, si spegne un vecchio scrittore, Samuel – direttamente ispirato alla figura e alla biografia di Samuel Beckett -, incalzato dal ricordo della moglie e dell’amante, entrambe inaspettatamente morte prima di lui, e tormentato dalla presenza del direttore di una rivista di studi a lui dedicata, che cerca di carpirgli un’ultima “illuminante dichiarazione”, scrive nelle note. Testo pieno di citazioni e riferimenti beckettiani è un lungo monologo/omaggio, intervallato dalle interferenze coniugali, come ricordi/allucinazioni, allo scrittore irlandese, ben scritto e ben articolato nelle sue due parti ci riporta per due ore nell’immaginario dell’inventore del genere teatrale dell’assurdo, premio nobel nel 1969, ma l’apporto della regia e dell’interpretazione dà un valore aggiunto alla serata: “Il teatro non è democratico”, dice ad un certo punto il protagonista Ugo Pagliai, ed il vero ri-creatore della serata è Giuseppe Marini che assumendo con autorità il testo di Trevisan lo riscrive teatralmente con una lettura escatologica: è la fine, sarà la fine, potrà essere la fine? Tanti interrogativi che non hanno risposta. Tanti sono gli inserimenti che ci riportano immediatamente a quella cifra stilistica: la macchina da scrivere, i granelli di sabbia nelle scarpe, l’albero stilizzato a cui si sovrappone il protagonista, le due donne più importanti della vita di Beckett, come alcune figure della drammaturgia beckettiana ridotte quella a una lampada, l’altra a donna armadio/frigorifero e da lì il loro chiacchiericcio è eterno e le scopriamo ogni tanto nei momenti di assenza del loro uomo/amante. Bravissime Paola Gasmann (Suzanne) e Paola Di Meglio (Billie), che duettano simpaticamente in bravura e divertimento strappando anche qualche risata. Ma il protagonista assoluto della serata è Ugo Pagliai - vestito da Gianluca Falaschi dapprima in pigiama/divisa carceraria a lui care, e poi, come era solito farsi ritrarre in foto, con maglioncino e giacca – che da a Samuel Beckett un tormento esistenziale commovente sia pur sorpreso e incantato nella quotidianità dei suoi ultimi giorni di vita, sofferente ma lucido, delirante, ma consapevole, è un grande reciproco omaggio che con la complicità del regista completa e chiude il cerchio.
Di altra pasta invece
è il monologo di Vittorio Moroni, regista del film “Se chiudo gli occhi non
sono più qui”, IL GRANDE MAGO, finalista al premio Riccione 2011 presentato lo
stesso anno dapprima in forma di lettura per il Garofano Verde da Isabella
Ferrari ed ora in scena fino al 3 febbraio 2013 presso il Teatro dei Conciatori
di Roma ed interpretato con grande sensibilità da Luca De Bei. Narra de
l’avventura/viaggio/transito di Andrea/Aurora verso la “normalità” e, come nei
films Transamerica o in Precious, a complicare le cose c’è la nascita/scoperta
di un figlio e nel testo di Moroni è un valore aggiunto. Si tratta dell’arrivo
di Simone, figlio tanto amato e tanto desiderato, che dovrà arrivare a dodici
anni per decidere da solo se vedere o meno l’altro genitore. Giuseppe Marini,
che ne cura la partitura registica, innalza il biancovestito Luca De Bei su di
una pedana quadrangolare immergendolo nel buio della sala e servendosi solo di
una sedia/non sedia (trasparente) di design che ricorda quelle di Philip Stark,
che di volta in volta diventa inginocchiatoio, trono, culla, letto, barella…
accarezza il suo interprete delicatamente con tante variazioni e cambi di
registro e ci accompagnano entrambi nel mondo dei trangender. “Il viaggio è lungo ma non si vede la fine”,
ma in realtà alla fine la fine c’è e noi ne siamo testimoni ed è estremamente
dignitoso ed orgoglioso il modo di affrontare le avversità della vita della
rinata Aurora, che aspetterà con rispetto l’arrivo del suo amato Simone. Luca
De Bei è vibrante e discreto nella sua delicata interpretazione e con un
semplice caschetto biondo e la sua mise bianca, con annessa scarpetta bianca
per nascondere il “pomo d’Adamo”, è fin dall’inizio straziante e commovente nel
suo percorso interpretativo e ci fa rivivere con semplicità ma precisione tutte
le tappe del suo calvario.
Due spettacoli
apparentemente diversi ma che hanno in comune non poco e Trevisan e Moroni si
rivelano due eccellenti realtà nel panorama drammaturgico italiano e con la
complicità di Giuseppe Marini abbiamo assistito a due bei momenti di grande Teatro.
Mario Di Calo
Teatro
Stabile del Veneto
Wordstar(s)
autore
Vitaliano Trevisan
scene
Antonio Panzuto
costumi
Gianluca Falaschi
musiche
Marco Podda
luci
Pasquale Mari
regia
Giuseppe Marini
con
Ugo
Pagliai Samuel
Paola
Gassman Suzanne
Paola
Di Meglio Billie
Alessandro
Albertin Knowson
Teatro
Vascello 8/20 Gennaio
ROMA
Società
per Attori e Compagnia della Luna presentano
"Il
Grande Mago" di
Vittorio Moroni
Con
Luca De Bei
Regia
di Giuseppe Marini
Costumi
Sandra Cardini, Luci Marco Laudando
Dal
15 gennaio al 3 febbraio a Roma, al Teatro Dei Conciatori, via dei Conciatori,
5 ROMA
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