24 febbraio, 2013

Anna Karenina: il coraggio e la libertà d'amare. Di Francesca Saveria Cimmino


Era il 1877 quando fu pubblicato il romanzo di Lev Tolstoij intitolato Anna Karenina, suddiviso in otto parti e tanto apprezzato da Dostoevskij. L’autore dichiarò di aver immaginato un «nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico», e non poté sottrarsi all’idea di creare e adattare un personaggio che prendesse vita. L’ultima versione del film, diretta da Joe Wright e sceneggiata da Tom Stoppard, evidenzia in due ore e dieci minuti tutti i tratti salienti della vita di una donna coraggiosa e “dannata”.
Ambientato in teatro, dove ogni cambiamento di scenografia sembra essere un nuovo capitolo, il nuovo paragrafo di una storia complessa e tormentata in cui il suono dei tamburi e della locomotiva, dei ventagli e delle galoppate, coincidono in un unico istante.
Anna Karenina (Keira Knightley), moglie di Aleksei Aleksandrovič Karenin (Jude Law), un ufficiale governativo, madre di Serëža e sorella di Stiva, viene chiamata da San Pietroburgo per persuadere Dolly a non lasciare suo fratello, bensì a perdonare i suoi tradimenti. Sin dal principio, parlando con la cognata, Anna mostra quanto l’amore sia o debba essere la priorità. Le chiede dunque di scusarlo, di accettarlo in nome di quel sentimento nobile che tutto crea e distrugge. Alla fine di un viaggio che la conduce a Mosca, incontra casualmente l’ufficiale dell’esercito Aleksej Kirillovič Vronskij (Aaron Johnson), che attende alla stazione il rientro di sua madre, compagna di viaggio di Anna. Il primo sguardo sembra aver già segnato il destino dei due.
Qualcuno lo chiamerebbe un colpo di fulmine, altri una pura attrazione. Ad ogni modo, quell’attimo lascia un’impronta indelebile. Anna ritorna a San Pietroburgo da suo marito, Aleksej prende il suo stesso treno. Il giovane ufficiale è oggetto del desiderio della giovane sorella di Dolly, Katerina Aleksandrovna Ščerbackaja, soprannominata Kitty; che attendendo una sua proposta di matrimonio, rifiuta Konstantin Dmitrič Levin, amico di Stiva.
Aleksej sembra non avere nessuna intenzione di sposarla da quando nella sua vita  è entrata con forza la presenza disarmante della splendida Anna, capace di ammaliare e incantare con modi eleganti, delicati e raffinati. Ma allo stesso tempo, risulta essere carnefice quanto vittima: non riesce a non farsi sedurre dall’ufficiale, né a distogliere lo sguardo ogni qualvolta le si presenti l’occasione; e non rifiuta Aleksej neanche quando la invita a ballare un valzer: quei passi di danza sembrano unire i due in un unico corpo, un’unica mente, un’unica anima.




Tutto tace e tutto diviene immobile: ci sono solo delle leggere note ad accompagnare il loro intreccio capace di lasciare chiunque senza fiato. Nasce lo scandalo. La gente commenta e le voci si diffondono sempre più, divenendo urla, schiamazzi, esclamazioni. Aleksei Karenin chiede alla moglie spiegazioni, ma lei nega. Eppure la passione, l’amore pian piano la travolge al punto da farle perdere il controllo e il senno.
Anna si innamora, questo è il suo più grande peccato. E per quel sentimento è disposta a perdere tutto: per la prima volta capisce e conosce il significato della parola "felicità". Non accetta più di vivere lontano dal suo amante, neanche per un’ora. La loro storia d’amore prosegue a gonfie vele, Anna aspetta una bambina. Decide di parlare al marito, di ammettergli quella verità dolorosa e crudele.
Non c’è perdono per l’adulterio, non ci sono amici disposti a supportarti, (eccetto Dolly), quando tutti ti additano come la “sgualdrina”. Eppure Anna non si dà per vinta: l’amore deve trionfare, l’amore è il motore più potente.
Coraggiosa, audace, determinata, ma vittima di quel che i sentimenti possono causare: ti portano in alto e ti fanno precipitare nella fossa con la stessa intensità e senza alcuna pietà. Probabilmente Anna era consapevole di ciò. Un vuoto d’amore non si colma con l’aria, ed è il prezzo da pagare se si vuole assaporare e gustare la felicità.  Magistrale interpretazione della protagonista; una lieve riduzione di pathos tra il primo e il secondo tempo è l’unica pecca del film.

Quando l’amore vi chiama seguitelo. Anche se le sue vie sono dure e scoscese. E quando le sue ali vi avvolgono affidatevi a lui. Anche se la sua lama, nascosta tra le piume potrebbe ferirvi. E quando vi parla abbiate fiducia in lui. Anche se la sua voce può infrangere i vostri sogni come il vento del nord devasta un giardino. Perché l’amore come vi incorona, allo stesso modo può crocifiggervi. E come vi fa fiorire, allo stesso modo vi recide.”. Tratto da “Il Profeta” di Kahlil Gibran.
                                                                                                                                                                                                     
Francesca Saveria Cimmino

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