Non si rinuncia
mai a vedere un film di Steven Spielberg
che in quest'ultimo ha scelto, scaltramente, non dimentichiamo il suo lato di business
man di origini ebraiche, che però non usa i soldi dei contribuenti per
produrre movie, un tema caro, anche
se ormai fa poco scalpore, come quello dell’abolizione della schiavitù voluta e
attuata da Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti e primo per appartenenza al partito repubblicano.
Ci sono alcuni registi,
ormai sempre meno, di cui si aspetta l’uscita dell’ultimo film come l’oracolo,
un evento imperdibile, un must. Non
sempre le attese sono all’altezza del prodotto, anche i grandi a volte
sbagliano, ci deludono, quando per esempio ci rendiamo conto che hanno
strizzato, fin troppo, un occhio agli incassi, al mercato, alle nomination. Ma in fondo gli Americani,
e non solo, lo chiamano Entertainment Industry, il cinema. Non usano il nome
“arte”, eppure il simbolo della Metro Goldwyn Mayer è Ars Gratia Artis, che significa Arte
per Amore dell’Arte. Ma questo
succedeva nel 1924. Come cambiano i tempi!
La prima scena del
film con Lincoln di spalle è alquanto banale e povera, ma quando la camera si
sposta ci sorprende uno straordinario Daniel Day Lewis che truccato in modo
estremamente verosimile (un Oscar al trucco?) porta avanti per tutto il film,
con coerenza e abilità, il personaggio di Lincoln. Un Oscar come migliore
attore protagonista sarebbe meritato ed è quello che sicuramente succederà,
ricordiamo che la SAG, Screen Actors Guild glielo ha già conferito. Ho sentito
in parecchie interviste che DDL ringrazia Leonardo Di Caprio, attore a mio
parere sopravvalutato e insignificante, anche se con un potere di distribuzione
altissimo (della serie” vali tanto oro quanto pesi”) se ha deciso di accettare
questo ruolo. Questo mi fornisce la
prova di quanto tormentati e indecisi possano essere gli attori, sperando che
anche lui non abbia fatto i soliti calcoli di cui parlavo sopra. Però DDL è un
ottimo attore, che stimo molto e che non avrebbe avuto bisogno del parere di
Leonardo (Di Caprio), che intanto si è fatto un po' di pubblicità.
Potrò anche sembrare
un po’ severa ma non ho intenzione di incensare nessuno, nemmeno i cosiddetti
“mostri sacri”, ma lo dico perché conosco l’ Industry e i calcoli che avvengono
dietro ad ogni film. Per questo alcune idee anche se strepitose sono scartate,
non prese in considerazione solo perché restie a scendere a compromessi o non
hanno star attached, come si dice in
gergo.
Ma ritorniamo al
film. In un’ eccellente ricostruzione
dell’epoca, per quanto riguarda costumi e ambientazione, il tutto fotografato
magistralmente da Janusz Kaminski (un altro Oscar?) i dialoghi prendono
assiduamente consistenza e non ci abbandonano più, rendendo il film molto,
troppo verboso anche perché non è sempre facile seguire i concetti, gli
intrighi politici, le leggi legate a quel periodo storico e a quella nazione.
Sembra quasi che il film sia stato fatto per degli storici e non per un
pubblico normale. E allora ci prende la noia e la difficoltà a seguire i fatti
e di conseguenza la voglia che Spielberg ci mostri qualcuno dei suoi effetti
speciali, che ci piacciono sempre tanto, qualche azione in più, insomma più
ritmo per non addormentarci.
Il film procede senza
climax, manca di quel talento drammatico che è sempre indispensabile quando si
racconta una storia, non importa di che genere sia. Sono sicura che tutto sia molto fedele e
rigoroso, lo sceneggiatore Tony Kushner si è basato sul libro di Doris Kearns
Goodwin Team of Rivals: the Political
Genius of Abraham Lincoln ma non c’è mai passione, e certamente il tema
della schiavitù, del diritto al voto delle minoranze negre e della Guerra di
Secessione se lo meriterebbe ampiamente.
Il Lincoln di DDL è
molto misurato ma deciso, testardo, comunica molto spesso con aneddoti
umoristici che fanno innervosire alleati e oppositori. Non è chiarissimo il suo rapporto con la
moglie che addirittura lo accusa di averla messa in manicomio, ma non è
spiegato il motivo, forse, intuiamo, in seguito alla morte di un figlio in
guerra. Questo però non giustifica l’internamento di una first lady fedele e
paziente che partecipa alle vicende del suo popolo, insieme al marito,
vivendone i drammi e i successi.
So che la politica è,
e sempre sarà, frutto e vittima di lotte intestine, rivalità, compromessi,
corruzione, come ci mostra il film, dove due partiti, quello repubblicano e
quello conservatore, devono decidere se approvare o respingere il tredicesimo
emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America che proibisce la
schiavitù dei negri. Ammetto che le emozioni sono poche e quindi la colpa non
può che essere del testo trascritto in termini cinematografici minuziosamente,
ma senza troppa partecipazione, quasi più per specialisti, che per spettatori
“ignoranti” in materia legale e giuridica, come me per esempio. Spettatori che rivendicano il semplice e sacrosanto diritto di passare due ore e
mezzo senza annoiarsi troppo. Ma anche di una regia che è uguale dall’inizio
alla fine del film, e che poco lascia alla sorpresa e alla suspense, tanto che
ci viene da dire se non sia una manovra forzata senza alcuna ispirazione e
genialità.
Quando finalmente è
l'ora della morte di Lincoln, cosa assai spettacolare, come ricordavo, ero in
attesa che Spielberg mi riservasse qualcosa per tirarmi su. Ha voluto per forza
essere originale e io ci sono rimasta di un male...
Dopo poche ore il
film si è dissolto, mi rimane impressa solo la grande interpretazione di DDL e
un ottimo Pierfrancesco Favino che lo ha doppiato. Troppo poco per dodici
candidature all’Oscar e un nome tanto grande dietro.
Penso con nostalgia a Duel , il primo film di Spielberg, che
ha fatto con tanti meno soldi ma un dramatic concept degno da farlo
rimanere nella storia del cinema.
Lincoln rimarrà nella
storia...ma c'era già prima, prima di Spielberg.
Daria D.
Dissento fortemente. Roberto
RispondiEliminacondivido pienamente.. Alessandra
RispondiEliminaOddio, su certe cose sono anche d'accordo, ma sull'ottimo doppiaggio di Favino avrei più di una riserva. Marco
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