Milano, Piccolo Teatro Grassi, dal 29 gennaio al 3 febbraio 2013
Forse perché sono attrice,
conoscevo già il testo di Pirandello, e quindi con piacere ho assistito alla
messa in scena di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, auspicando una regia in
qualche modo originale pur rimanendo fedele alla sua affascinante tematica. E così è stato, e per due ore ho” vissuto” la
storia d’amore di Donata Genzi, attrice famosa e tormentata, per un uomo, per
il teatro, per la vita stessa, che li accomuna entrambi.
Mascia Musy interpreta
la parte di Donata recitando sulla scena della vita e del teatro un ruolo di
donna indifesa, spaurita, smarrita ma decisa a “vincere”pur trovandosi ad
affrontare ruoli più grandi di lei, anche per la prima volta, come la relazione
amorosa con Elj, venuto dal mare, e che lì ritornerà, un ragazzo istintivo,
geloso, impulsivo, con la passione per la pittura e la natura, l’unico luogo
del vero.
Nel testo Elj è svedese, e certo a mio parere
sarebbe stato meglio rispettare queste radici, anche perché i registi glielo
fanno dire esplicitamente, come nel testo originale. Sarebbe stata una scelta
non banale ma giustificata, dare al giovane i colori nordici, e non quelli
mediterranei di Angelo Campolo, giocando con il caschetto biondo della Musy,
come un suo alter ego. Sono dettagli che
possono cambiare significato alle parole, renderle meno forti e importanti, influenzare
gesti nella recitazione, sensibilità e percezioni di noi spettatori. Piccola delusione questo Elj.
Pirandello aveva
dedicato “Trovarsi”, scritto nel 1932, a Marta Abba, una bellezza intensa, dai
colori scuri e la carnagione chiara, perché l’attrice, sua Musa e amante, “creasse
liberamente sulla scena” la vita, vestendo i panni comodi e scomodi insieme di Donata
Genzi. La protagonista, nella regia dei due eclettici artisti, ripercorre
all’indietro il suo rapporto con Elj, il marinaio figlio a sua volta di un
marinaio morto in mare a ventisei anni, che come il mare, riversa la vastità
della creazione, ma quella impetuosa, immatura e libera sulla scena. Egli rappresenta la giovinezza con cui forse
Pirandello teme la rivalità. Ma non la sconfitta. Non è un caso che l’attore Giovanni Moschella che
recita la parte del conte Mola, lo zio putativo di Elj, ci ricordi fisicamente
Pirandello soprattutto quando, grazie a una bella idea registica, si presenta, con
una mano appoggiata sotto il mento, seduto su una sedia da teatro sospesa in
aria, in atteggiamento di “sorvegliante” e “giudice” della storia che si
svolgerà sotto i suoi occhi. Idea che sarà
usata altre volte quando per esempio Donata scenderà da una lunga scala, vecchia
e stanca, per andare a sedersi davanti allo specchio nel tentativo di togliersi
le maschere di tutte i personaggi che ha interpretato per “trovarsi”,
finalmente, amaramente scoprendo che “non ci si ritrova alla fine che soli”. Sospesi anche gli antagonisti, borghesi e
benpensanti, che assisteranno da un palco al ritorno sulle scene di Donata, dopo
un lungo periodo di assenza, dovuto a un incidente in mare, in cui si è
dedicata, anima e corpo, esclusivamente al suo amante.
Anche il mare, la cui
superficie liquida e mobile fa da sfondo alla vicenda, eco di una natura che
non usa maschere, né gesti studiati, né falsi sentimenti, ci appare sospeso
sulla scena dandoci l’impressione che tutto debba riportarsi a lui perché sia
vero e sentito.
Donata vive sulla sua
pelle il conflitto tra verità e finzione, tra l’attrice che porta sulle scene
la sua esperienza di donna e la donna che nella vita, inevitabilmente? continua
a essere tutti i personaggi che ha interpretato. Una donna che sente di non avere mai avuto una
vita sua, ma tante altre e soltanto quando scopre l’amore ha la certezza di
averne una tutta per sé.
Ricreare sulla scena
gesti già compiuti in privato, sentimenti già vissuti, parole già dette, scatena
in Elj la paura di condividere la sua donna con il pubblico, come se non
potesse mai essere sua, totalmente. La
paura sfocia in gelosia e nell’estremo gesto di abbandonare il teatro proprio
mentre Donata recita, forse per la prima volta, con la stessa sincerità e
intensità con cui lo ha amato, perché soltanto adesso si rende conto di avere
conosciuto la vita vera e non la finzione teatrale. L’idea gli è così insopportabile che il
giovane se ne andrà per sempre, verso il mare, lasciandole un biglietto su cui
avrà scritto “ho sofferto troppo a vederti recitare”.
Ma un’attrice deve
“appartenere”a tutti, perché il suo ruolo richiede che smetta i propri panni e
indossi invece quelli di tutte le donne che impersona, ricreando sulla scena il
suo vissuto o, in mancanza, usando il magico geniale “se” di cui parla Stanislavskij.
Se fossi Donata Genzi cosa farei io, Marta Abba? E se invece fossi Mascia
Musy?Ecco la magia di quella
piccola particella che racchiude in sé la forza potenziale di creare dal nulla,
abbandonando i cliché, l’imitazione, il vuoto.
Pirandello ha amato
la Abba e lo si percepisce da come ne ha
compreso i dubbi, i drammi, le difficoltà, le esaltazioni, che ha racchiuso
tutti insieme in questo testo sempre attuale e ricco, realizzando il
personaggio di un’attrice e di una donna, nella loro inscindibile forza
artistica e umana.
Daria D.
Trovarsi
di
Luigi Pirandello
adattamento
e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con
Mascia Musy e con Angelo Campolo, Giovanni Moschella, Ester Cucinotti, Antonio
Lo Presti, Marika Pugliatti, Monia Alfieri, Luca Fiorino
scene
e costumi Mela dell'Erba
disegno
luci Maurizio Viani
produzione
Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina, Daf-Teatro dell'Esatta Fantasia
Nessun commento:
Posta un commento