Prato,
Teatro Metastasio. 24 febbraio 2013
La modestia si
definirebbe tutto tranne che un difetto imperdonabile. Modesto è chi non
ammette i propri talenti, è chi non vuole mettersi al centro dell’attenzione.
Questo secondo i luoghi comuni, non secondo il parere di Rafael Spregelburd,
che nel suo testo La modestia la considera un peccato capitale, un “piacere
superbo e colpevole, che nasce dal gesto disperato di cercare di essere un po’
meno di ciò che si è, con l’obiettivo segreto, a volte, di pagare in comode
rate questo dubbio infinito”. Modesto è chi si distrugge, piuttosto di essere
notato, chi si annulla e si sottomette per innalzare gli altri, chi preferisce
prendere la frutta più rovinata che nessuno vorrebbe mai, piuttosto che
scegliere per sé quella più bella e sana. Questi sono i personaggi che il
drammaturgo argentino descrive dettagliatamente.
La trama non è molto
accattivante, a tratti è abbastanza banale (fino alla fine ci aspettiamo il
colpo di scena che non arriva). È articolata in due vicende parallele, che
avvengono in parti del mondo e periodi storici diversi. La prima vicenda è
ambientata a Buenos Aires ai giorni nostri; racconta di una coppia di sposi,
l’amante e un amico del marito. Si ritrovano nello stesso palazzo,
nell’appartamento dei due coniugi, a causa di un traffico di videocassette. Tra
sospetti ed equivoci, i quattro entrano in relazioni tra loro, soprattutto
grazie ai racconti della giovane moglie (una magnifica Francesca Ciocchetti)
sulla vita e i costumi dei coreani. È una donna un po’ disadattata, la cui
ingenuità fa sorridere, ma molto tenera. Nella seconda vicenda siamo in un
povero paese dell’Europa dell’Est, in cui un medico straniero, con l’aiuto
della moglie, tenta di estrapolare ad un fallito scrittore malato di
tubercolosi le sue ultime parole, per pubblicarne un libro nella speranza di
guadagnarci una fortuna.
Da testo, tutta la
storia è svolta da otto personaggi, rappresentati però da soli quattro
interpreti. Ogni attore si cala in due ruoli, completamente diversi tra loro, e
si mette nei panni dell’uno e dell’altro senza cambi di costumi o di scena.
Senza che il pubblico si disorienti (se non all’inizio, in cui ancora deve
capire il meccanismo), gli attori passano da un personaggio all’altro, da un
mondo all’altro con grande maestria. Il merito va a Paolo Pierobon, Maria
Paiato (nell’aspetto e nella voce ricorda Anna Magnani), Fausto Russo Alesi e
Francesca Ciocchetti, che agiscono indubbiamente secondo i maniacali consigli
di Ronconi. I movimenti sono naturali e precisi; le voci morbide e pulite
arrivano allo spettatore come note di uno spartito perfetto. La scena è verde
(scuro o acceso in base all’effetto che fanno le luci di AJ Weissbard) nello
sfondo, l’ambiente quasi cinematografico è reso naturalistico da un divano in
primo piano, scrivanie, lampade, piante e mobiletti. Tutto è chiaro e preciso,
ma c’è qualcosa che manca. Niente travolge, niente scombussola, se non una
brocca d’acqua che improvvisamente si rovescia da sola e il crollo di un muro,
come a simboleggiare il deterioramento della società. Lo spettatore, dopo due
ore e quarantacinque, esce sbalordito dal talento indiscusso dei quattro
interpreti, ma non commosso, divertito o emozionato.
Sara Bonci
LA
MODESTIA
di
Rafael Spregelburd
traduzione
Manuela Cherubini
impianto
scenico Marco Rossi
costumi
Gianluca Sbicca
luci
AJ Weissbard
con
(in ordine alfabetico) Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon,
Fausto Russo Alesi
regia
LUCA RONCONI
coproduzione
Piccolo Teatro di Milano-Teatro d'Europa, Fondazione Festival dei 2Mondi di
Spoleto e Associazione Mittelfest, su progetto di Santacristina Centro Teatrale
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