Milano,Teatro
Verdi. 15 marzo 2013
Vestita di bianco, sembra una rosa (scopriremo più tardi
che ha spine pungenti e graffianti) Marta Cuscunà si presenta in scena, ha un
atteggiamento dolce, femminile, remissivo e comincia così a raccontarci il destino
delle donne quando i padri sceglievano per loro chi avrebbero dovuto sposare,
mettendole all’asta, come bestie al mercato, al migliore offerente, e ognuna era
quotata in base ai soldi che portava in dote.
Siamo nel
Rinascimento, nell’Italia settentrionale ma potremmo essere anche da qualsiasi
altra parte, la sorte non cambiava, le alternative erano sempre le stesse:
spose, cortigiane o monache.
Le ragazze dal carattere ribelle, capaci di
combattere con gli uomini diventavano cortigiane oneste, quelle belle andavano
in spose a uomini ricchi e quelle con difetti fisici rinchiuse in monastero
dopo una cerimonia simile a un funerale: un velo nero posato su una testa
privata di un simbolo di femminilità come i capelli. Un’umiliazione in più. Ma
non c’era alcuna possibilità di poter dire no, di esprimere la propria
disapprovazione o il proprio parere, in fondo si doveva pagare la colpa di
essere nate femmine e non maschi. Il possesso sulle figlie era totale e
indiscutibile.
La brava regista
attrice e drammaturga friulana, che dal 2009 fa parte del progetto Fies Factory
di Centrale Fies, con uno stile molto piacevole, ricco di sfumature e
sensibilità, e anche di umorismo e satira porta sulla scena il testo con il
quale ha vinto il Premio Last Seen 2012 e che è la vita di Arcangela Tarabotti
monaca e scrittrice veneziana, nata da una ricca famiglia e lievemente zoppa, che
insieme con altre consorelle dell’ordine delle clarisse fu accusata dal
tribunale dell’Inquisizione di essersi opposta ai dogmi della chiesa.
Marta non è sola sul
palco. Ci sono anche sei pupazzi a forma di monaca e uno che rappresenta un
vescovo, ricorda un dragone cinese che sputa fuoco dalle fauci, cui lei dà voce e movimento, con grande maestria e naturalezza.
Bastano piccoli improvvisi cambi di tono e uno spostamento da un lato o
dall’altro e sentiamo parlare la clarissa chiamata Immacolata, e anche Mansueta
e Innocenza e poi discutere insieme da donne e non da suore sul loro ruolo
all’interno del convento. E siccome sono figlie di famiglie molto in vista,
possono ricevere visite di parenti e chiedere loro di portare dentro libri. E
così le clarisse, poco a poco diventano, nel Convento di Santa Chiara di Udine,
delle “trafficanti di carta non autorizzata”, ossia testi di alchimia, di storia,
di scrittori come Plauto e Paracelso, con cui le clarisse si formano una
cultura critica e battagliera, quindi pericolosa per l’ordine e il potere.
Ma in città ben
presto si sparge la notizia di questo gruppo di suore ribelli fino ad arrivare
alle orecchie del vicario che da’ inizio
a una pratica per riformarle. Le clarisse sono accusate di eresia perché hanno
osato essere donne pensanti e per nulla schiave della madre (meglio sarebbe
dire padre) Chiesa.
Marta Cuscunà aveva già portato sulla scena donne
semplici, del popolo, sconosciute ai più, come quelle che parteciparono alla
Resistenza e furono sostenitrici della pace, qui invece fa un salto molto
indietro nel tempo e ci racconta del famigerato Tribunale dell’Inquisizione che
condannò Arcangela di eresia.
Ma Arcangela fu alla
fine dichiarata innocente, dopo un processo avvenuto a Venezia, lontano dalla
città di Udine che parteggiava per la sua sorte e quella delle consorelle.
Insomma il tribunale non riuscì, nonostante il suo potere smisurato e ottuso, a
fare piegare la testa a quelle combattenti antilitteram per l’emancipazione
femminile, intesa come rivendicazione al diritto di esistere nella dignità, nel
rispetto e non soltanto come macchine per procreare, braccia per lavorare,
corpi da umiliare, e spiriti da soffocare.
La semplicità di cui
parla Marta ricorda l’innocenza che Cristo invitava a non scandalizzare, invece
quante volte il suo insegnamento è stato trasgredito e travisato. E così la semplicità di queste donne, di
tante donne, è stata usata, manipolata, ingannata dai maschi, in nome di
regole, leggi, pratiche da loro stessi inventate per tenerle schiave, lontane
dal potere e dalle decisioni.
La Cuscunà ha una
forte personalità, che viene fuori da un testo intelligente e originale, una
recitazione e una regia sentite, senza inutili esagerazioni o momenti di stasi,
sempre con leggerezza e ironia, pur graffiando e lasciando sulla pelle di noi
spettatori piccoli segni d’amore per la verità, la libertà e la dignità delle
donne.
Donne che, nonostante
tutto e tutti, riescono sempre a vedere “ punti di luna” anche nella notte più
nera.
Daria D.
La
semplicità ingannata
di e
con Marta Cuscunà
Assistente
alla regia Marco Rogante
Disegno
luci Claudio “Poldo” Parrino
Disegno
del suono Alessandro Sdrigotti
Tecnica
di palco, delle luci e del suono Marco Rogante, Alessandro Sdrigotti
Realizzazioni
scenografiche Delta Studios; Elisabetta Ferrandino
Realizzazione
costumi Antonella Guglielmi
Co-produzione
Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto
Con
il sostegno di Provincia Autonoma di Trento-T-under 30, Regione Autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, Comitato Provinciale per la promozione dei valori
della Resistenza e della Costituzione repubblicana di Gorizia, A.N.P.I.
Comitato Provinciale di Gorizia, Assessorato alla cultura del Comune di Ronchi
dei Legionari, Biblioteca Sandro Pertini di Ronchi dei Legionari, Assessorato
alle Pari Opportunità del Comune di Monfalcone, Claudio e Simone del Centro di
Aggregazione Giovanile di Monfalcone.
Con
il sostegno dei partecipanti al progetto di microcredito teatrale: Assemblea
Teatrale Maranese-Marano Lagunare UD; Federico Toni; Laboratorio Teatrale Re
Nudo-Teatri Invisibili; Nottenera.Comunità_Linguaggi_Territorio;
Bonawentura/Teatro Miela-Trieste; Spazio Ferramenta; Tracce di Teatro d’Autore;
L’Attoscuro Teatro - Montescudo di Rimini.
Liberamente
ispirato a Lo spazio del silenzio di Giovanna Paolin, (Ed. Biblioteca
dell’Immagine, 1998)
Ph
Alessandro Sala/Cesuralab
Marta
Cuscunà fa parte del progetto Fies Factory
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