Roma,
Teatro Argentina. Dal 9 al 24 marzo 2013
Il presentimento che
fosse una serata speciale è stato entrare in un Teatro Argentina senza
personale, ci accomodiamo ognuno al nostro posto da soli e non accompagnati
dalle solite gentili maschere, il palcoscenico è spalancato sul vuoto e in un
religioso silenzio, si nota solo una candela accesa su di una scrivania che fa
parte della scenografia, alle diciannove in punto avanza timido in proscenio
Gabriele Lavia e ci avverte appunto che il personale di sala e di palcoscenico,
per agitazioni sindacali, è in sciopero per ragioni a lui sconosciute e che per
non rimandarci a casa scontenti, ed anche un po’ infastiditi dall’esito
negativo della serata, lo spettacolo si farà lo stesso ma senza luci e senza
musica, solo quella candela in scena accesa fin dall’inizio scandirà il
passaggio temporale - luce fisica o metafisica: la luce del pensiero? -
dell’azione scenica, le luci di sala resteranno accese, e l’attore, portandoci
per mano senza accorgercene, ci accompagna nell’universo pirandelliano di
questa filosofica novella del drammaturgo argentino, scritta nel 1912, adattata
per il teatro dallo stesso Lavia e prodotta dal Teatro di Roma. Il grande
attore ci fa dimenticare di tutto il resto, quasi non ci si accorge durante
l’oretta scarsa della durata dello spettacolo di guardarci in faccia, di ridere,
di commuoverci, di commentare ad alta voce - qualche cellulare che squilla -,
tutto è perfettamente integrato con quanto accade in palcoscenico.
E così, immaginando
di ascoltare “La donna è mobile” di
Enrico Caruso, quest’uomo, che scopriremo essere il Signor Fabrizio, che
assomiglia più ad un topo che ad un uomo, che da anni si è rintanato fra i suoi
libri, che accudisce questo padre, oramai solo un relitto di un’esistenza alla
deriva, e a cui nulla serve esortarlo ripetutamente a non piangere. I libri, la
filosofia, sono le uniche cose che gli restano, le uniche cose a cui
aggrapparsi, e allora, partendo da Schopenhauer e passando per quel filosofo
con i baffoni (Nietzsche), a nulla si approda. “Anche il buio è un sole”, ma noi disponiamo solo di una candela, si
scopre con amarezza che la Trappola è la vita, quella vita che è come una
marsina, un po’ stretta, che, indossandola, si corre il rischio che si strappi
sulla schiena, certo indossandola ci saremmo preparati all’aldilà dove è
gradito l’abito nero, ma non c’è soluzione, la marsina resta lì, gli armadi
sono pieni di marsine e tutte uguali, si comincia a morire nel momento in cui
si genera la vita e tutti allo stesso modo.
Gli specchi
disseminati per la scena, mai come in questa occasione, in questa eccezionale
serata, ci riflettono, ci rifrangono, ci mettono tutti nella stessa condizione,
non si scappa, il problema è esistenziale più che metafisico, siamo tutti presi
nella trappola della morte, che per comodità chiamiamo vita, tutto è speculare.
“Essere o non essere” ci ricorda il problematico Amleto, la famosa questio, tutti dobbiamo scontare o
patire la questio, quanto può durare
la vita: 70, 80, 90, 100, 110, al massimo 120 anni? Ed è per questo che,
nonostante il Signor Fabrizio odi e identifichi nelle donne il principio e il
genio del male, genererà, grazie alle cure ed alle attenzioni della vicina di
casa Rosalba Sciaramè, che sta alla vita come alla morte perfetta equazione,
colui che porterà avanti la sua stirpe e la trappola che è la vita. A nulla
vale mostrarci quell’imbelle del padre oramai ridotto solo a dormire e a
piangere, che, con quegli occhialetti neri e quella palandrana che indossa,
somiglia un po’ ad Hamm di beckettiana memoria (Riccardo Montillo), questo
ultimo finale di partita si gioca fra loro due, fra padre e figlio, fra vita e
morte, anche se la vita è osservata da un cannocchiale al rovescio… il
desiderio di farla finita è in embrione fin dall’inizio di questa amara e
tragica storia.
Gabriele Lavia, dopo
il bellissimo allestimento di TUTTO PER BENE, qui è al pieno della sua forma e si
agita, farnetica, ragiona, canta e suona al piano, scandisce, sillaba tutti i
ragionamenti pirandelliani, è il vero signore della scena, abita l’intero
palcoscenico dell’Argentina con la sua sapienza attoriale e lo riempie dei suoi
umori, emozioni, palpitazioni - la pantomima, come un film muto
sull’accoppiamento uomo/donna, è esilarante. Bellissima e magica serata!
Tormentata e macerata
dall’esistenza, portando tutto il fardello di quel gravoso impegno di
responsabilità esistenziale, in scena col protagonista, anche la brava Giovanna
Guida.
Mario di Calo
LA
TRAPPOLA
da
Luigi Pirandello
adattamento
e regia Gabriele Lavia
con
Gabriele Lavia, Giovanna Guida, Riccardo Montillo
scene
di Alessandro Camera
costumi
Andrea Viotti
musiche
Giordano Corapi
luci
Giovanni Santolamazza
Produzione
Teatro di Roma
Dal 9 al 24 marzo 2013, poi in tournée
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