Raffaella
Giordano è insieme a Giorgio Rossi la direttrice artistica responsabile di
Sosta Palmizi, Associazione che riveste una grande importanza nella storia del
Teatro-danza contemporaneo. Raffaella parla al Corriere della Sosta e della sua
carriera di danzatrice.
Ciao
Raffaella, per cominciare puoi parlarmi di Sosta Palmizi? Della sua nascita e
del successivo trasferimento a Cortona.
Raffaella Giordano in Ama Fì. Foto di Andrea Macchia |
La Compagnia nasce
come collettivo di sei autori, tutti legati dall’esperienza artistica avuta con
la coreografa finnico americana Carolyn Carlson al Teatro la Fenice di Venezia
negli anni ‘80. Poi, ad un certo punto della nostra storia, è accaduto che
ciascuno decidesse di prendere la sua strada, a favore di esperienze autonome,
io e Giorgio l’abbiamo fatto rimanendo all’interno di Sosta Palmizi,
trasformandola in Associazione e trasferendoci da Torino in Toscana, a
Cortona. Abbiamo sempre avuto l’esigenza
di conoscere e collaborare con molte persone ed è anche per questo che Sosta
Palmizi non è una semplice Compagnia Teatrale, ma un organo culturale più
complesso, ricco di attività, che produce spettacoli e cerca di stimolare le
nuove generazioni verso una formazione artistica attraverso azioni di sostegno
economico, psicologico e pratico. Accompagnare e “accudire” i giovani è un
elemento fondamentale del nostro percorso, perché abbiamo a cuore la
possibilità di trovare strade nuove dal punto di vista artistico e di
contribuire allo sviluppo di questo ambito nel nostro Paese.
Come
è stato l’impatto con Cortona, perché hai lasciato Torino?
A Cortona mi sono
trasferita per motivi famigliari, in un periodo in cui Torino non era la realtà
feconda di oggi. Allora neanche la Toscana è stata terreno facile in cui agire,
ma poi le cose sono migliorate, abbiamo dato vita ad altre sinergie e
collaborazioni e imparato a conoscere meglio il territorio. Quest’anno siamo
riusciti a creare una fertile collaborazione con il Comune di Arezzo, anche
aiutati dal forte impulso che la Regione ha manifestato nei confronti della
nostra Arte e dei centri di residenza che operano con qualità ed esperienza.
Oggi non ci lamentiamo e nel futuro si vedrà, perché siamo in un momento
storico di portata epocale, catastrofi naturali e grandi crisi economiche mettono in
discussione tutto il sistema e non è affatto facile immaginare il futuro.
Foto di Andrea Macchia |
È
difficile per un Artista lavorare in Italia?
In questo Paese, più
di tanti altri, non basta fare solo il proprio lavoro, bisogna fare molto di
più per sopperire a tutto quello che dovrebbero fare altre figure o enti
preposti, lavori che vanno dal piano organizzativo a quello legislativo. La
cosa più grave è che in Italia non riesce a radicarsi la consapevolezza che
l’Artista sia un lavoratore e spesso viene considerato solo come una persona
capricciosa che vuole fare di testa sua. Questa condizione provoca molta
frustrazione e mette in difficoltà le persone e la loro dignità, come si può
esercitare un mestiere che non è considerato un vero lavoro? Fortunatamente le cose stanno cambiando,
esistono alcune realtà istituzionali più sensibili e molte persone che
contribuiscono al sostegno di questo genere di attività, perché credono nella
sua importanza, per fare un esempio vicino e recente, il nuovo Assessore Macrì
del Comune Arezzo è stato in grado di recepire la nostra attività e le nostre
qualità, dandoci ascolto e contribuendo alla vitalità della città. E’ stato un piacere organizzare ad Arezzo
l’ultima edizione di “Invito di Sosta” e di partecipare attivamente ad “Arezzo
Wave”.
Puoi
parlarmi un po’ di “Invito di Sosta”?
“Invito di Sosta”
nasceva come possibilità per gli artisti giovani e neonati di mostrare i loro
lavori in una situazione più protetta di medio piccola grandezza e fuori dai
circuiti consolidati, poi nel tempo siamo cresciuti e abbiamo ospitato gruppi
più affermati, nomi più conosciuti, dando sempre vita a rassegne elastiche, non
legate a una linea rigida. Tramite “Invito di Sosta” si è creata l’opportunità
di fare conoscere al pubblico il linguaggio della Danza d’autore, poco conosciuto sia perché siamo in una
piccola provincia sia perché viviamo in un Paese molto tradizionalista. Questa
possibilità di ricevere nuovi stimoli è molto apprezzata dal pubblico che ci
segue con fiducia e interesse.
Pensi
che questo periodo di crisi possa indurre le persone ad avere un maggiore
bisogno artistico e spirituale?
Paradossalmente,
questo momento è favorevole per il Teatro-Danza, o comunque per quell’Arte che
di solito viene definita di élite. Siamo in un periodo in cui le persone hanno
bisogno di stimoli nuovi e di nutrimento. Viviamo in un periodo dove la
disonestà, l’arroganza e la volgarità sono di casa e molte persone sono
desiderose di ricevere messaggi diversi, il pubblico è più avanti nella sua
capacità di lettura di quello che si pensa, soprattutto è in grado di riconoscere
l’onestà intellettuale di una proposta; la crisi economica forse ci fa
capire meglio che la materia non è tutto e ci spinge verso valori etici e
spirituali. Ogni qualvolta che una persona conosce questo mondo, può esserne
intimorita, in quanto mondo sconosciuto, ma se è ben accompagnata riesce a
sentire che in verità è più comprensibile di quello che poteva immaginare,
perché il linguaggio del corpo è molto vicino a tutti noi e ci sa parlare della
vita.
Abbiamo
parlato in generale su Sosta Palmizi, adesso, Raffaella, puoi parlarmi della
tua formazione artistica?
Raffaella Giordano in Ama Fì. Foto di Andrea Macchia |
Ho avuto due grandi
Maestre: Carolyn Carlson, la mia madre formativa, che mi ha “macchiato” per
sempre con la sua capacità di gestire e d’interpretare lo spazio, il tempo, la
forma; mi ha insegnato poi ad essere generosa… tutto il suo lavoro è rimasto dentro di me. L’altra persona che
ha segnato la mia storia con forza è stata la grande coreografa tedesca Pina
Bausch, avevo 21 anni ed è stato un sogno, un momento emozionale e formativo
molto grande. Poi conobbi una Compagnia francese, si chiamava l’Esquisse/Obadia
Bouvier, al tempo era molto affermata in Francia e dava vita a un lavoro
intenso ed energico sul corpo, ispirandosi ai grandi pittori, uno su tutti
Bacon. In seguito ho fatto ancora diverse esperienze, ho lavorato con Pippo del
Bono e mi sono avvicinata alla lettura e alla visione di opere e teorie di
grandi registi e uomini di teatro, quali Grotowski, Peter Brook, Eugenio Barba.
Ho sempre combattuto con grande passione e sempre amato molto le persone con
cui ho avuto la fortuna di condividere il lavoro, la fortuna di frequentare
luoghi in cui si poteva stare con quel forte sentimento di appartenenza e di
credo personale, luoghi rischiosi e non sempre pienamente riconosciuti.
Inoltre, pensando alla mia formazione, ci tengo a ringraziare non solo i
Maestri che ho avuto, ma anche tutte le persone che negli anni hanno lavorato e
studiato con me stimolando il mio lavoro, permettendomi di capire tante cose e
di realizzare i progetti e le mie passioni.
Con
Sosta Palmizi sei stata una delle innovatrici più emblematiche della nuova
drammaturgia italiana; anni fa, quando la vostra Arte era agli arbori, sapevate
che stavate facendo una cosa così importante?
Mah, Quando sei giovane
ti butti, vai, corri, non sapevamo quanto il nostro lavoro fosse importante,
combattevamo e agivamo. Solo dopo ti rendi conto e vedi in maniera più lucida
che qualcuno comincia a riconoscerti e a guardarti dandoti il tuo nome e non
considerandoti più solo come “allievo di Carolyn Carlson”.
Quali
sono le differenze artistiche tra te e la tua Maestra Carolyn?
Sono diversa dalla
mia Maestra, meno limpida, meno spettacolare, formale e virtuosa di Carolyn. Mi
piace anche lavorare nelle zone d’ombra dell’essere umano, nella parte più
misteriosa, dove è facile perdersi, dove si manifesta uno spazio molto
sensibile. Mi rendo conto di toccare a volte zone sofisticate e meno dirette
alla comprensione degli altri, ma sono terreni troppo importanti per me e anche
per le persone con cui lavoro. Il corpo è un veicolo magnifico per raggiungere
queste zone di mistero. L’essere umano ha una moltitudine di potenzialità
inespresse, la stessa scienza dimostra che siamo in grado di utilizzare solo
una piccola parte delle nostre potenzialità. Il nostro mistero può essere
ancora declinato e sfumato in molti modi e il Teatro è un luogo adeguato per
ritrovare questo spazio spirituale, sacro, misterioso, intriso di energie, di
forze e d’intensità profonde.
Che
ne pensi del Teatro classico e del Balletto?
Foto di Silvia Lelli |
Mi piace il Teatro di
parola quando tocca eccellenze massime e quando è di qualità, non sono però
vicina alle battaglie del Teatro classico, perché credo che questo Teatro non
sia in grado di abitare una forma dinamica per raccontare le tensioni
dell’attualità; stessa cosa vale per il Balletto classico, che da bambina amavo
molto. Il Balletto classico è espressione dell’Ottocento e non attualizza le
contraddizioni e le voci di tante questioni che mi stanno a cuore e che riguardano
anche il potere e le trasformazioni del linguaggio. È bello quando l’Arte sta
vicino alla vita e al suo divenire.
Credi
che sia ancora possibile nel 2013 creare un’Arte nuova?
Io credo fortemente che si possa ancora creare il nuovo e che ci sia molto da fare, da ascoltare e da scoprire. Ci vuole la fiducia, e la forza di rischiare la pelle per il proprio ideale, come tanti grandi Artisti hanno fatto. Gli esseri umani sono vivi perché possono comunicare e farlo con fiducia e tenacia è una possibilità concreta.
Curata
da Stefano Duranti Poccetti
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