Josef Danhauser, Liszt improvvisa al pianoforte |
Dall'avvento del primo concorso
pianistico internazionale, svoltosi nel 1890 e intitolato al leggendario
virtuoso russo, amico e allievo di Franz Liszt, Anton Rubinstein, sono ormai
passati ben 123 anni. Mentre nei primi decenni del 1900 le competizioni
pianistiche si potevano contare sulle dita di due mani, dal dopoguerra in poi
si è assistito ad una crescita esponenziale che ha interessato tutti i paesi
occidentali e quelli emergenti, soprattutto dell'Oriente, raggiungendo dimensioni
importanti.
Il notevole numero di concorsi ha
comportato certamente una crescita del livello tecnico e la creazione di veri e
propri talenti da palcoscenico. Le scuole nazionali, così bene definite e
riconoscibili degli anni 1950 - 1980, grazie all'avvento della globalizzazione
e alla facilità negli spostamenti degli insegnanti e degli stessi allievi, sono
lentamente scomparse e hanno diffuso in tutto il mondo dei tratti comuni nella
tecnica pianistica; velocità e precisione nell'esecuzione, interpretazione e
sonorità "moderne" hanno invaso le sale da concerto e di rimando
anche i concorsi pianistici, lasciando alle giurie un compito sempre più arduo
nella scelta dei vincitori.
Molti affermano che, negli ultimi
anni, l'espressività esecutiva abbia dovuto soccombere alla tecnica, ma questo
è un punto davvero controverso, che merita un'attenta disamina. Come in
passato, troppo spesso erroneamente considerato alla stregua di "un'età
mitica dell'oro", anche oggi ci sono pianisti che uniscono le due cose,
sicurezza e musicalità al limite delle possibilità umane. Si è quindi assistito
all'innalzamento qualitativo del livello dei pianisti, capaci di assorbire e
integrare le peculiarità delle varie scuole diffuse nel mondo.
Ogni anno un grande numero di concorrenti
con aspettative di protagonismo prendono parte a concorsi sparsi in tutto il
mondo, alcuni vengono premiati e molti respinti. La massiccia partecipazione a
questi eventi rende comunque fondamentale il confronto nei concorsi. I
vincitori hanno a disposizione borse di studio, premi in denaro e, soprattutto,
concerti in grandi istituzioni. Tuttavia, sono solo una decina circa i concorsi
pianistici che riescono a dare una svolta significativa alla carriera. Di
solito non sono a cadenza annuale, proprio per dare modo ai vincitori di essere
i protagonisti emergenti delle sale da concerto per gli anni successivi.
A causa della frenesia e della
velocità della società moderna, anche in questo caso si assiste ad una sorta di
veloce fagocitazione dei concorrenti e degli stessi vincitori. Se guardiamo i
nomi classificati ai primi posti dei più importanti concorsi, solo circa una
metà ha poi saputo costruirsi una carriera stabile e duratura. Ciò è dovuto a
predisposizioni naturali, la capacità di essere "animali da palcoscenico",
l'attitudine di saper digerire lo stress, la disposizione a viaggiare e
organizzare la propria vita in maniera inconsueta ma, soprattutto, ad avere un
manager che sia in grado di pianificare le tappe fondamentali della propria
vita artistica.
Esistono anche artisti che hanno
saputo arrivare ai vertici senza vincere competizioni importanti, ma sono
pochi. Inoltre, i manager preferiscono attingere ai nomi dei vincitori dei
concorsi "top, sia per non rischiare di investire in musicisti che possono
rivelarsi delle incognite, sia per comodità. Come dicevo, i premi sono spesso
elargiti includendo un consistente numero di concerti tali da assicurare
visibilità di cui l'agente saprà far buon uso.
Ha quindi ancora senso partecipare ai
Concorsi? Sì, nella misura in cui si capisca che la musica é ben altro rispetto
all'ostentazione dei muscoli nelle competizioni e che rispetto al numero di
musicisti presenti nel mondo il numero dei vincitori é davvero esiguo.
Tenendo bene in mente tutto questo, auspicherei
una maggiore attenzione da parte degli operatori dello spettacolo nel saper
attingere alle enormi risorse di giovani talenti, avendo il coraggio di
investire nella qualità e non sui facili guadagni.
Francesco Attesti
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