La
tentazione sarebbe quella di considerarlo un “volto nuovo” del panorama
letterario italiano. Ma in realtà Marco Alloni ha esordito giovanissimo, a 21
anni, con La luna nella Senna (Casagrande, 1990), romanzo premiato nel
1992 con il “Grinzane Cavour Giovane Autore”.
Da
allora Alloni intraprende un percorso, insolito per gli autori contemporanei,
di scomposizione della modernità attraverso una consapevole e approfondita
smitizzazione di quelli che ne sono considerati i capisaldi: Dio, la Scienza,
la Politica e la Parola. Un percorso che inizia con il saggio filosofico Lettere
sull’ambizione (Liberilibri, 2005), ispirato all’opera di James Hillman,
continua nella riflessione critica sulla rivolta egiziana Ho vissuto la
rivoluzione. Diario dal Cairo (Aliberti, 2011) e passa attraverso la
collana Dialoghi, che dirige per l’editore Aliberti, con cui ha pubblicato
conversazioni a quattro mani con intellettuali del calibro di Tabucchi, Galimberti,
Magris, Flores d’Arcais, Travaglio, Augias, Colombo, Luzzatto e Caselli, con i
quali ha scandagliato le grandi contraddizioni del nostro tempo a partire dalla
questione morale (di prossima uscita i suoi incontri con Massimiliano Fuksas, Tahar
Ben Jelloun e Lidia Ravera). Per raggiungere il suo apice in Shaitan
(Imprimatur, 2013), che inaugura la Trilogia di Dio e del suo contrario:
un’opera ambiziosa che l’ha tenuto impegnato in questi ultimi dieci anni.
Shaitan
è stato salutato sin dalla sua uscita da un vasto consenso. Scrive per esempio
il critico Claudio Magris: «È un romanzo notevole, con uno stile accattivante.
Il personaggio Ka è bellissimo».
Ambientato
al Cairo nel corso dell’ultimo ventennio del Novecento, Shaitan narra la
storia di due famiglie – una francese e una egiziana – residenti nella capitale
d’Egitto, dove l’autore vive da 16 anni, che impersonificano in qualche modo il
clash of civilization di cui ci ha parlato Samuel Huntington nel suo
libro.
Ma a
complicare la vicenda interviene la figura di Satana (Shaitan, in arabo), che
nello scontro fra il modello occidentale fondato sulla scienza e il modello
islamico fondato sulla fede individua una sostanziale uguaglianza: mirare
all’aldilà, tendere all’immortalità. E sa che questo è quanto di più “innaturale”
possa definire la condizione umana.
Il
romanzo diventa allora “libro scandalo sull’Islam”, libro-bestemmia, come si
legge nella quarta di copertina. Diventa quel libro coraggioso che,
nell’invitarci a ritrovare la nostra “giusta misura” (il katà metròn dei
Greci), come vorrebbe il Diavolo riabilitato da Alloni, spodesta Dio dal suo
trono per restituirci la prospettiva dell’aldilà come una grande illusione, un
fatale inganno.
Dice a
un certo punto del romanzo l’ultimo depositario della Rivelazione, l’imam
Mohammad Al-Mahdi, al proprio padre: «Cosa è vero, padre, cosa è vero se ciò
che i profeti vanno professando dalle origini del mondo non è la verità? Cosa è
vero, se ciò che dobbiamo rivelare all’uomo è il più cupo degli inganni? Perché
l’uomo non deve sapere? Perché il volto di Dio dev’essere per sempre un
mistero? Perché non possiamo svelargli cosa lo aspetta davvero dopo la morte?»
Domande
a cui il mondo non ha ancora dato risposte. E che nella finzione narrativa di Shaitan
trovano lo sbocco che tanto l’Occidente, nel suo monoteismo, quanto
l’universo musulmano hanno sempre rimosso: accettare la morte è celebrare la
vita.
Infatti
di vita, di passione per la vita, di amore per le piccole cose, che rendono la
vita entusiasmante, è testimone il piccolo Araan, il protagonista del libro.
Che nell’opporsi alle follie dei grandi ci riporta alla vecchia saggezza greca
della “giusta misura” e alla consapevolezza dell’inevitabile finitezza della
vita umana. Una morale dell’umiltà che vale oggi come controcanto a tutte le
culture del fanatismo.
Una
posizione morale che tuttavia rischia di valere ad Alloni e al suo Shaitan
l’accusa di blasfemia, con tutti i rischi che una simile minaccia può
comportare. Si legge infatti nel risvolto di copertina: «Al di là delle qualità
del libro, Shaitan è soprattutto un atto di coraggio. Ritenere Satana,
il Diavolo, l’unico portatore della Verità, e Dio (Allah), viceversa, il
depositario di una “antica menzogna”, ha il sapore di un’esplicita bestemmia.
Ma Shaitan si propone precisamente questo: ribaltare le categorie della
fede – che vorrebbero porre nell’aldilà, o addirittura nell’immortalità, lo
scopo ultimo dell’esistenza – e riconsegnare all’uomo la responsabilità del suo
destino». Un atto di sfida che Alloni rubrica come «necessario alla fondazione
di una cultura pluralistica liberata dalle comodità del dogma» e che gli è
valso un paragone con l’autore dei Versi satanici Salman Rushdie. «Un’esortazione,
filosofica – procede il risvolto – ad abbandonare l’aspirazione a raggiungere
mondi inverosimili e a consacrarsi – se possibile – alla contemplazione del
presente». Perché, è il convincimento dell’autore: «Nessuna verità può ormai
più dirsi definitiva e universale».
Libro-scandalo,
libro-eresia, libro-bestemmia, Shaitan è destinato a riaprire il
dibattito intorno alle religioni e a riabilitare quella che in ambito islamico
solo pochi audaci “riformisti” hanno osato riproporre negli ultimi anni: la
necessità di riconsiderare la critica alla tradizione canonica, ferma al X
secolo, e l’imperativo di sfidare il conservatorismo in nome della modernità.
Sfide che alcuni hanno pagato con la vita, ma che da Galileo in avanti
costituiscono l’essenza del nostro progresso.
Brian
Zuccala
Marco
Alloni (1967) lavora come scrittore e giornalista culturale per vari quotidiani
e periodici. Collabora con “MicroMega” e dirige la collana Dialoghi per
Aliberti editore. Vive al Cairo da 16 anni, sposato con una giornalista
egiziana. Convertitosi all’Islam per necessità, si professa “ateo musulmano”.
Ha due figli.
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