Omaggio a John
Berryman
C’è questa ferita
aperta – profonda sul mondo conosciuto –
a traboccar rugiade
ambrate e filamentosi succhi,
di che trarre
putrescenti abluzioni di cieca, furente ferocia.
E affanni,
meraviglie, codici a barre sotto cupole di sangue:
posso certo adempiere
a iperboliche paranoie tecnotroniche.
Stregone misterico,
su incesti di sangue piegato a giubilo, io sono.
La mia ferita che
pasce, ingrata e assurda, bevo,
a passeggio per un
imperversare di amori
stagionali e blasfemi
come una griffe.
Discinte virtù di dei
nani sbracati a festa coi coglioni in mano;
famiglie
benedicenti bandiere e affettati usi –
a slancio su
metaboliche psicopatologie da gnosi catodica …
Meccaniche assassine
del giusto nell’ovvio,
pregiudizievoli
macellaie di giovane carne
che essuda ormonali
esuberi d’anima.
Ho marciato un
turbinare di parossistici inchini plurimi;
e sbadigli,
ginnastiche proteiformi di obbedienza dativa
d’intransitive
mattanze.
C’è questa ferita
aperta, che pasce e freme e butta linfa –
a lubrificare il moto
rotatorio
sull’asse di
geosferiche escatologie di estinzione.
Un’ idea assassina,
ho maturato, sotto vuoto,
fra l’ala coriacea
della colomba e la dinamo del giudizio.
Colpevoli astanti,
biasciano trasmodanti quantità
di chiacchiere
ostensive del nulla,
sullo scrupoloso
calco di cedue verità,
tra rimozione e
sollecita penuria di midollo.
Operose macchine
schizo-transfert, che mi incalzano la testa.
Su vasti scenari d’
intonaci di sangue
s’apre l’agiografico
sepolcro della colpa universale:
e schiude, figlio
reietto d’avanguardistiche omissioni,
uno sbadiglio
mortifero da cronaca nera,
a mattino spazzato
con diligenza inetta.
Massimo Triolo
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