Non è difficile cogliere, anche a chi
non è del settore, i motivi del grande successo della serie televisiva In
Treatment.
Da professionista psicoterapeuta, con
un’esperienza ultra ventennale, sono stata immediatamente e completamente
rapita da ciò che stavo vedendo.
Quanti pazienti ho ritrovato nella
ricostruzione di quelle quattro storie: dal seduttivo che si innamora del terapeuta,
alla ragazzina adolescente in cerca di conferme e di una propria identità, alla
coppia in crisi, ed infine, all’uomo angosciato su diversi ambiti della sua vita: professionale
e sessuale.
Storie assolutamente rispecchianti la
realtà, i drammi, le paure, le fragilità e le inquietudini dei nostri giorni. Che
dire poi dell’anziana terapeuta che riveste il ruolo di supervisore. Aspetto
quest’ultimo da non trascurare e che mette in luce le possibili difficoltà
anche in psicoterapeuti di una certa esperienza e l’importanza di avere
colleghi con i quali poter discutere delle proprie terapie. Anche questo,
ovviamente, è un elemento presente nella realtà lavorativa di un’analista.
Quante volte vedendo questa fiction, mi
sono riconosciuta in Sergio Castellitto, che ha saputo rappresentare magistralmente
con capacità, talento e tecnica ciò che può vivere quotidianamente uno
psicoterapeuta. Ovviamente con i limiti della fiction.
Certo è difficile cogliere la
complessità che c’è dietro questo lavoro, la capacità di saper mantenere
l’attenzione sempre e contemporaneamente a livelli diversi di analisi, il non
tralasciare uno sguardo o un particolare movimento del corpo, ma lui ci si è
avvicinato e probabilmente è riuscito a dare un’idea aderente alla realtà di quanto
accade facendo terapia.
L’abilità nel riuscire ad entrare
nella vita di persone che si presentano per la prima volta davanti ai nostri
occhi, a volte la loro disperazione ed il considerarci l’unica possibilità di
uscita, la via di salvezza, la capacità di saper trovare per ognuno di loro una
differente chiave di lettura ed un accesso, saper giocare con loro e leggere le
loro menti, attivare parti diverse di noi in base alle diversità dei nostri
pazienti. Saper essere un po’ camaleonti.
Aldilà delle tecniche, delle regole
del setting e del contesto psicoterapeutico, ciò che funziona con una persona
può non funzionare con un’altra, da qui si vede anche la maggior capacità del
professionista, la padronanza con il proprio mestiere nonché il sapersi mettere
completamente in gioco ed essere pronto a cambiare insieme al paziente stesso.
Ma pregio di questa fiction è stata
anche l’aver messo in luce che lo stesso psicoterapeuta può avere dei limiti e può
essere soggetto a turbamenti interiori, l’aver messo in risalto la componente
umana e la sensibilità, la preoccupazione per i propri pazienti e la
consapevolezza della grande responsabilità che implica questo tipo di attività.
Fare questo lavoro rappresenta anche un
grandissimo privilegio ed un arricchimento che si ha ogni volta che un nuovo
paziente ci dà la possibilità di renderci partecipi dei loro dolori, delle loro
ansie, dei loro drammi e di tutto ciò che li riguarda, mettendosi (se il
terapeuta è bravo) completamente a nudo e facendo insieme a loro, seduta dopo
seduta, un percorso di scoperte e cambiamenti.
In treatment ha probabilmente
rappresentato un’opportunità per far conoscere ad un ampio pubblico in cosa
consiste fare psicoterapia, anche se nella realtà, ovviamente si attivano
processi ben più profondi, inconsci e complessi che chiaramente in ambito
televisivo sono limitati se non assenti.
Chissà se tutto ciò produrrà una
curiosità nel pubblico che si è affascinato ed appassionato a questa serie,
tale da produrre una richiesta di psicoterapia…
Elisa Caponetti
stupendo...mi hanno emozionata anche le tue parole...non solo la serie!
RispondiEliminamerveilleux... j'étais excité même vos mots... non seulement la série ! Elisa
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RispondiEliminagrazie, davvero lusingata!
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