Primo lungometraggio
dell’attrice Valeria Golino tratto da "Vi perdono", romanzo di Mauro Covacich
edito da Einaudi.
Avere il diritto di
decidere quando morire; scegliere di interrompere un’agonia estenuante e
lacerante: possono farlo solo i malati terminali. Ad accompagnarli in questo
calvario c’è Irene (Jasmine Trinca), detta Miele, una trentenne che vende agli
infermi una sostanza veterinaria, il Lamputal, somministrandone una dote
abbondante affinché riesca a fare effetto addormentando il degente per sempre.
Quasi invisibile e sempre sullo sfondo ma contemporaneamente vicina alla
persona a cui in quel momento porge la sua mano, domandando fino all’ultimo se
ci sono ripensamenti, Irene è una ragazza con una vita sentimentale instabile.
È orfana di madre: con lei ha vissuto per la prima volta il senso straziante
del concetto di agonia ed è proprio dopo la sua morte che Miele vuole provare a
cambiare le cose o quantomeno ad alleviare le pene di chi soffre ingiustamente.
<Dal sangue del sacrificio nasceva una nuova vita>; giustifica con questa
metafora una ciclicità di dolore e gioia, di morte e vita, di sfiducia e
speranza che caratterizza i fenomeni naturali e quotidiani.
Un giorno riceve la
chiamata dell’ingegnere Carlo Grimaldi (Carlo Cecchi): lo raggiunge all’interno
della propria abitazione e gli fornisce il farmaco. Solo successivamente scopre
che l’ingegnere settantenne non appartiene a quella categoria di persone la cui
condizione di salute è in uno stato degenerativo. Carlo sta bene, è appagato
per la vita vissuta; ma non ha più stimoli per proseguire il cammino. Questa la
sua unica motivazione. Uno schiaffo alla sofferenza e alla triste realtà contro
cui Irene si imbatte da tre anni. Ed è grazie a lui che Miele inizia ad
interrogarsi su questo lavoro illegale ma nobile e sulla propria personale
condizione. Aiutare l’altro per non pensare a sé: riempire il tempo libero
andando a correre o nuotando; trovare il modo per non riflettere e analizzare
un vuoto interiore profondo, difficilmente colmabile.
Non viene mai ripreso
il momento preciso della morte: la regista rispetta il tema e il tabù
dell’eutanasia girandoci intorno senza forzare la mano, o forse l’occhio. Ci
sono inquadrature certamente interessanti: la scena dei due ragazzi che
attraverso un vetro si scambiano attimi fugaci di tenerezza è, ad esempio, una
buona scelta capace di fondere significante e significato in modo chiaro e
conciso. Quel materiale trasparente dà esattamente la sensazione illusoria di
contatto e vicinanza, ma contemporaneamente indica la barriera che delimita un
corpo dall’altro, rendendo Miele sempre e comunque sola.
Interessante anche l’uso delle musiche: The Shins,
Talking Heads, Thom Yorke, Georges Brassens. In particolar modo
quest’ultimo artista, sempre sul filo tra malinconia e allegria, tra una
lacrima e un sorriso, sembra cadere a pennello all’interno di un tema che
lascia l’amaro in bocca ma che attraverso la giovane Irene, prova ad essere
addolcito.
Nessun commento:
Posta un commento