L’incontro con Peter
Brook e Marie-Hélène Estienne è avvenuto all’interno del complesso universitario Suor Orsola Benincasa
di Napoli, in occasione della presentazione
dello spettacolo “Lo spopolatore” che sarà in scena dal 6 al 9 Giugno al Teatro Sannazzaro nell’ambito del
Napoli Teatro Festival Italia, in programma
dal 4 al 23 giugno. Alla Conferenza Stampa, introdotta da Lucio d’Alessandro,
Rettore della sopra citata Università,
prendono parte Enrico Corbi, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Gilda Cerullo,
docente di Scenografia al corso di laurea
in Imprenditoria e Creatività per Cinema, Teatro e Televisione, Alfredo d’Agnese, direttore di RunRadio e coordinatore
didattico della Scuola di Giornalismo
“Suor Orsola Benincasa” e Arturo Lando, docente di Sociologia della comunicazione.
<Molto spesso in
tutta l’attività umana ci sono varie gradazioni di quella che è chiamata
“qualità”. In tutto quello che si fa in un teatro che sia sbagliare, raccontare
o semplicemente recitare ci sono sempre molti gradi. Tra questi c’è un gradino
inferiore che è banale, comune: la stupidità; e poi ci sono tante altre sfumature di energie varie che fanno solo
tanto rumore.>. Questa una delle
prime dichiarazioni di Peter Brook, 88 anni, il maestro della regia contemporanea. Inglese di origine lettone, ha
costruito le sue prime fortune affrontando
il repertorio shakespeariano, ma grande fama gli deriva anche dalla regia del “Marat Sade” di Peter Weiss del
1964 e del celebre film “Il Mahabharata”
del 1989. Oggi dirige il Theatre des Bouffes du Nord a Parigi, con una compagnia composta in prevalenza da
attori africani. “Lo spopolatore”, è
tratto da un sofferto racconto di Samuel Beckett, scritto prima in francese e poi in inglese. Peter Brook commenta l’autore da cui estrae l’ispirazione per la sua nuova regia: <Quando
si parla di Beckett si dice solo quanto
sia pessimista. Ed è proprio questa parola che voglio approfondire. Penso, invece, che a
infastidire sia la sua onestà. Non c'è nulla di più positivo delle opere di Beckett. Sono positive la cura, l'amore, come è positivo il valore che dà a ogni dettaglio. Come
un artigiano, crea veri gioielli letterari.
È un assoluto perfezionista e chiunque abbia a cuore la perfezione crede in un ideale, perciò non può essere una
figura negativa, tutto qui>.
Dal matrimonio tra il
capoluogo campano e il regista inglese nasce uno spettacolo in lingua tedesca
con sottotitoli in italiano, realizzato per
l'edizione 2013 del Napoli Teatro Festival Italia. Un mese di prove
all'ombra del Vesuvio, secondo il
modello delle "residenze creative", scelto dal direttore della
rassegna, Luca De Fusco. Una prima mondiale con Miriam Goldschmidt in programma dal 6 al 9 giugno al
Teatro Sannazaro, scelto da Brook per
l'ambiente raccolto.
Il Napoli Teatro
Festival quest’anno è “un cantiere teatrale internazionale” lo definisce così Luca De Fusco, il direttore
artistico. Infatti in programmazione
sono inclusi gli spettacoli di Brook, Arias, Konchalovskij , Ivo, i quali nascono a Napoli “città
vibrante, dove si lotta per vivere” -come
la definisce Brook- e saranno presentati in prima assoluta. <Saranno
vere e proprie creazioni di cui il pubblico potrà seguire l’evoluzione, visto
che per molti di loro saranno
realizzabili prove aperte a disposizione di studenti e di appassionati di teatro.>, ha dichiarato De
Fusco in una precedente intervista. Nessuna anticipazione però sullo
“Spopolatore”. È solo in scena, che, come
sempre, sarà decisa ogni cosa: le luci, i suoni utili a creare
l'ambiente immaginato da Beckett, un cilindro di 50 metri di circonferenza e 16
metri di altezza abitato da esseri in
cerca di una via d'uscita. Con attori impegnati in frenetici sali e scendi e altri sul
pavimento, così persi da rimanere immobili.
Il tutto senza svolazzi, in tipico stile Brook, fatto da scenografie,
costumi
essenziali e grandi
Bukara. Il resto è immaginazione, “il muscolo più importante che abbiamo”. È
proprio questa del resto la filosofia del regista: siamo più attenti ai dettagli che alla
sostanza. Poi dà un consiglio ai
giovani: <Ciò che
davvero è valido per i giovani è seguire il loro istinto, gettarsi e credere in quello che fanno>.
E sul teatro afferma:
<In un teatro nel tempo di uno show un numero limitato di persone si raccolgono insieme per un
periodo limitato di tempo. Lo stesso suono
della voce in un’opera, in un teatro, può portare a diversi tipi di sentimento, di qualità di pensiero, di differenti
espressioni che possono essere banali o
particolari. (…)Queste duecento/trecento persone sono insieme e sentono e guardano e sono toccate tutte nello
stesso momento dagli stessi sentimenti.
E ci possono essere vari valori: può essere tutto banale, tutto
frenetico, troppo
lungo, troppo corto, ma comunque in ogni momento percepiscono i sentimenti e percepiscono il silenzio, quel
silenzio che tocca tutti.(…) Se posso
criticare l’Italia è davvero poco salutare per l’Italia e il teatro italiano che qui i registi vengano chiamati
Maestri o Professori>. Ne parla
ancora utilizzando una piramide come elemento simbolico a cui tutti possano far riferimento. Il gradino inferiore
è l’agitazione, poi il rumore e poi pian
piano sali sempre più su e raggiungi la calma, l’essenziale, il silenzio.
Conclude con
un’ulteriore considerazione sulla città di Napoli, stimolata da una domanda del pubblico. Gli viene chiesto
che senso assuma lavorare tra il silenzio
del teatro e una delle città più rumorose che esistano. Brook risponde: <È
assolutamente meraviglioso. L’esempio migliore che viene dal passato ma che
riporta al presente è
Shakespeare. Lui affronta grandi temi, va dritto in profondità nell’essenza dell’essere umano partendo
dai temi più bassi: l’ isteria, l’agitazione, i rumori che ci accompagnano
nella nostra vita quotidiana, per salire
nella nostra piramide. E quindi le condizioni di rumore di Napoli sono proprio quelle che ci vogliono
per penetrare, per andare sempre più in
alto.>
Francesca Saveria
Cimmino
Nessun commento:
Posta un commento