28 maggio, 2013

Peter Brook incontra Napoli: si lavora con il cuore e con l’intuito. Di Francesca Saveria Cimmino



L’incontro con Peter Brook e Marie-Hélène Estienne è avvenuto all’interno del  complesso universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, in occasione della  presentazione dello spettacolo “Lo spopolatore” che sarà in scena dal 6 al 9  Giugno al Teatro Sannazzaro nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia, in  programma dal 4 al 23 giugno. Alla Conferenza Stampa, introdotta da Lucio d’Alessandro, Rettore della sopra  citata Università, prendono parte Enrico Corbi, Preside della Facoltà di  Scienze della Formazione, Gilda Cerullo, docente di Scenografia al corso di  laurea in Imprenditoria e Creatività per Cinema, Teatro e Televisione, Alfredo  d’Agnese, direttore di RunRadio e coordinatore didattico della Scuola di  Giornalismo “Suor Orsola Benincasa” e Arturo Lando, docente di Sociologia della  comunicazione.
<Molto spesso in tutta l’attività umana ci sono varie gradazioni di quella che è chiamata “qualità”. In tutto quello che si fa in un teatro che sia sbagliare, raccontare o semplicemente recitare ci sono sempre molti gradi. Tra questi c’è un gradino inferiore che è banale, comune: la stupidità; e poi ci sono tante  altre sfumature di energie varie che fanno solo tanto rumore.>. Questa una  delle prime dichiarazioni di Peter Brook, 88 anni, il maestro della regia  contemporanea. Inglese di origine lettone, ha costruito le sue prime fortune  affrontando il repertorio shakespeariano, ma grande fama gli deriva anche dalla  regia del “Marat Sade” di Peter Weiss del 1964 e del celebre film “Il  Mahabharata” del 1989. Oggi dirige il Theatre des Bouffes du Nord a Parigi, con  una compagnia composta in prevalenza da attori africani.  “Lo spopolatore”, è tratto da un sofferto racconto di Samuel Beckett, scritto  prima in francese e poi in inglese.  Peter Brook commenta l’autore da cui  estrae l’ispirazione per la sua nuova regia: <Quando si parla di Beckett si  dice solo quanto sia pessimista. Ed è proprio questa parola che voglio  approfondire. Penso, invece, che a infastidire sia la sua onestà. Non c'è nulla  di più positivo delle opere di Beckett. Sono positive la cura, l'amore, come è positivo il  valore che dà a ogni dettaglio. Come un artigiano, crea veri gioielli  letterari. È un assoluto perfezionista e chiunque abbia a cuore la perfezione  crede in un ideale, perciò non può essere una figura negativa, tutto qui>.
Dal matrimonio tra il capoluogo campano e il regista inglese nasce uno spettacolo in lingua tedesca con sottotitoli in italiano, realizzato per  l'edizione 2013 del Napoli Teatro Festival Italia. Un mese di prove all'ombra  del Vesuvio, secondo il modello delle "residenze creative", scelto dal direttore della rassegna, Luca De Fusco. Una prima mondiale con Miriam  Goldschmidt in programma dal 6 al 9 giugno al Teatro Sannazaro, scelto da Brook  per l'ambiente raccolto.
Il Napoli Teatro Festival quest’anno è “un cantiere teatrale internazionale”  lo definisce così Luca De Fusco, il direttore artistico. Infatti in  programmazione sono inclusi gli spettacoli di Brook, Arias, Konchalovskij ,  Ivo, i quali nascono a Napoli “città vibrante, dove si lotta per vivere” -come  la definisce Brook- e saranno presentati in prima assoluta. <Saranno vere e proprie creazioni di cui il pubblico potrà seguire l’evoluzione, visto che per  molti di loro saranno realizzabili prove aperte a disposizione di studenti e di  appassionati di teatro.>, ha dichiarato De Fusco in una precedente intervista. Nessuna anticipazione però sullo “Spopolatore”. È solo in scena, che, come  sempre, sarà decisa ogni cosa: le luci, i suoni utili a creare l'ambiente immaginato da Beckett, un cilindro di 50 metri di circonferenza e 16 metri di  altezza abitato da esseri in cerca di una via d'uscita. Con attori impegnati in  frenetici sali e scendi e altri sul pavimento, così persi da rimanere immobili.  Il tutto senza svolazzi, in tipico stile Brook, fatto da scenografie, costumi
essenziali e grandi Bukara. Il resto è immaginazione, “il muscolo più importante che abbiamo”. È proprio questa del resto la filosofia del regista:  siamo più attenti ai dettagli che alla sostanza. Poi dà un consiglio ai
giovani: <Ciò che davvero è valido per i giovani è seguire il loro istinto,  gettarsi e credere in quello che fanno>.
E sul teatro afferma: <In un teatro nel tempo di uno show un numero limitato  di persone si raccolgono insieme per un periodo limitato di tempo. Lo stesso  suono della voce in un’opera, in un teatro, può portare a diversi tipi di  sentimento, di qualità di pensiero, di differenti espressioni che possono  essere banali o particolari. (…)Queste duecento/trecento persone sono insieme e  sentono e guardano e sono toccate tutte nello stesso momento dagli stessi  sentimenti. E ci possono essere vari valori: può essere tutto banale, tutto
frenetico, troppo lungo, troppo corto, ma comunque in ogni momento percepiscono  i sentimenti e percepiscono il silenzio, quel silenzio che tocca tutti.(…) Se  posso criticare l’Italia è davvero poco salutare per l’Italia e il teatro  italiano che qui i registi vengano chiamati Maestri o Professori>.  Ne parla ancora utilizzando una piramide come elemento simbolico a cui tutti  possano far riferimento. Il gradino inferiore è l’agitazione, poi il rumore e  poi pian piano sali sempre più su e raggiungi la calma, l’essenziale, il  silenzio.
Conclude con un’ulteriore considerazione sulla città di Napoli, stimolata da  una domanda del pubblico. Gli viene chiesto che senso assuma lavorare tra il  silenzio del teatro e una delle città più rumorose che esistano. Brook risponde: <È assolutamente meraviglioso. L’esempio migliore che viene dal passato ma che
riporta al presente è Shakespeare. Lui affronta grandi temi, va dritto in  profondità nell’essenza dell’essere umano partendo dai temi più bassi: l’ isteria, l’agitazione, i rumori che ci accompagnano nella nostra vita  quotidiana, per salire nella nostra piramide. E quindi le condizioni di rumore  di Napoli sono proprio quelle che ci vogliono per penetrare, per andare sempre  più in alto.>


Francesca Saveria Cimmino

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