Nel vasto fiorire
letterario dedicato alla camorra è uscito fresco di stampa l’ultima opera
narrativa di Gildo De Stefano, dal titolo “È troppo tardi per scappare”,
(Ilmondodisuk Editore, Napoli 2013, pagg. 110, €. 11,00). De Stefano, giornalista
e sociologo, alterna l’attività di saggista musicologo a quella di narratore,
forte della gratificazione di essere entrato nella rosa dei finalisti
dell’autorevole Premio Calvino negli anni Novanta, e si cimenta per la seconda
volta (la prima è stata nel 2007 con un romanzo breve per ragazzi sul fenomeno
della droga) con una raccolta di racconti che prendono spunto dai misfatti di
cronaca di Scampia.
Le dimensioni assunte
dal fenomeno della delinquenza organizzata a Napoli riposano su una realtà che
è quella della solida presenza di una subcultura deviante in vaste aree del
territorio urbano e metropolitano. Da questa realtà parte l’autore per
raccontare il disagio sociale di Patrizia, Veronica, Carmela, Nunziatina,
quattro donne racchiuse in tre racconti che colgono situazioni di vita che
formano un quadro agghiacciante del ruolo femminile nel più grande supermercato
europeo della droga, Scampia. Donne d'onore vistre attraverso un’angolazione
tutta diversa, che disegna una mappa del dolore, della violenza, delle assurde
condizioni in cui una parte di metropoli vive al limite dell'intollerabile. De
Stefano utilizza una lingua quasi tutta costituita dal parlato e, in casi rari,
dal dialetto, a tratti vivacissima, anche se in tale contesto la lingua si è
corrotta, il grezzo è diventato la lingua ufficiale, un idioma di consumo,
tuttavia di grande naturalezza quasi ad invocare un gusto letterario e di
notevole intensità espressiva da non togliere nulla alla sua capacità di
coinvolgimento e alla straordinaria potenza inventiva del linguaggio.
L’autore ha tracciato
una narrazione abbastanza levigata con l’auspicio che dia l’impressione di una
certa maturità editoriale, e lo fa descrivendo scene veloci, ricche di
dettagli, che raccontano fatti a volte atroci in una maniera calma, quasi
ovattata, come a sottintendere che quei fatti non sono eccezionali ma normale
amministrazione. Egli ha cercato di descrivere questi personaggi in modo
elegante, talvolta anche eccessivo ed imbarazzante, perché si potrebbe
scambiare per indifferenza morale, dato che rappresenta il male e la crudeltà
con uno stile plastico, con parole messe –mi auguro- tutte al posto giusto. I
suoi abituali lettori normalmente sono abituati ad una scrittura saggistica
poiché De Stefano è soprattutto un musicologo, tuttavia in questa opera è
riuscito a far trasparire dal tessuto dialogico la potenza e la capacità
rappresentativa. Tre racconti in cui egli cerca di disegnare un quadro, uno
stato d'animo, le strettoie e le costrizioni, le servitù, che donne e bambini
vivono in un quartiere dove vigono regole spietate; e dove lo Stato è assente o
non ha alcun valore.
Annamaria Alagna
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