San Lorenzo al Mare, Teatro dell'Albero. Sabato 8 giugno 2013
L'8 giugno 2013 al Teatro dell'Albero di San Lorenzo al
Mare (IM) Aram Kian e il regista Gabriele Vacis hanno presentato “Mi chiamo
Aram e sono italiano”, una pièce moderna che va a descrivere i cosiddetti
italiani di “seconda generazione”, figli di immigrati nati in Italia, proprio
come Aram, figlio di padre iraniano e di madre romana.
In scena troviamo solo Aram, una sedia e un palco vuoto.
Davanti al pubblico un monologo molto divertente, ma nello stesso tempo amaro,
un monologo che vuole far riflettere lo spettatore.
Aram ripercorre la sua storia ambientata a Sinago
Milanese: l'infanzia negli anni Ottanta; l'adolescenza e quindi gli amici
Ludovico Castiglioni, una sorta di bulletto bello e affascinante e invidiato
per tale motivo da Aram, Davide, Carmen, “terrona” anch'essa, come si auto
descrive, e Michela, ragazza un po' sopra le righe; gli anni Novanta, il
decennio del “come è stato possibile”, decennio che vede come protagonisti la
nascita del cellulare, l'espansione di internet, Bill e Hillary, Berlusconi e
il terrorismo, decennio in cui Aram si iscrive a filosofia, e passa sette anni senza
fare nulla se non dare un solo esame, senza capacitarsi di ciò. Infine si
arriva al 2000, alla disoccupazione e alla nascita di una famiglia propria,
anche se un po' bizzarra, insieme a Carmen, l'amica di sempre.
Descritta in questo modo sembrerebbe una storia come
tante altre, ma in realtà è imperniata da una sorta di tristezza e
drammaticità, in quanto come protagonista troviamo il figlio di un immigrato,
l'iraniano, il “ragazzo basso, olivastro e peloso”, colui che viene chiamato
Gheddafi, Bin Laden, Saddam Hussein, iracheno, persiano, arabo, terrorista già
dall'infanzia e questo a causa dell'ignoranza e degli stereotipi malsani che
caratterizzano l'Italia di ieri e purtroppo anche quella di oggi.
Possiamo quindi notare attraverso l'ottima recitazione di
Aram Kian la paura di essere sempre giudicato per qualcosa che non gli
appartiene, la paura di non essere accettato, la paura di non essere
all'altezza dell'italiano biondo e alto, di Ludovico Castiglioni, dell'italiano
del Nord, perché “da Roma in giù sono tutti terroni”.
Divertenti ma nello stesso tempo drammatiche sono le
parti in cui Aram spiega di essere italiano a tutti gli effetti e di possedere
una carta d'identità come tutti gli altri. Ciò si può riscontrare quando
racconta del suo esame di maturità e della nottata passata in commissariato per
un semplice equivoco, cioè quello di essere perquisito in quanto olivastro,
quindi straniero, e conclusa con l'attacco da parte di Aram verso l'avvocato
Castiglioni, vestito completamente di bianco. Bianco è inoltre il termine usato
molte volte da Aram per sottolineare il suo disagio, il suo sentirsi diverso
dagli altri, la sua fissazione verso ciò che lui non è.
Per concludere mi complimento con un attore che è
riuscito in modo impeccabile a interpretare parti diverse contemporaneamente, a
far sorridere, divertire e nello stesso tempo far riflettere lo spettatore,
l'italiano che, spesso, a causa di un sistema malsano, cade nell'ignoranza.
Maria Pettinato
Mi chiamo Aram e sono italiano. Storie
da Synagosyty
di Aram Kian e Gabriele Vacis
con Aram Kian
regia di Grabriele Vacis
scenofonia di Roberto Tarasco
Teatro dell'Albero, sala teatro
“Samuel Beckett”
Via Vignasse, 1
San Lorenzo al Mare (IM)
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