Palazzo
Roverella, Rovigo. Dal 23 febbraio al 23 giugno 2013
Il Palazzo Roverella,
sede della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, ospita dal 23
febbraio al 23 giugno 2013 la mostra “Il successo italiano a Parigi. Negli anni
dell’Impressionismo: La Maison Goupil”, curata da Paolo Serafini e promossa dal
Comune e dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Da quando l’imponente
palazzo della fine del mille quattrocento è stato ristrutturato, agli inizi del
duemila, Rovigo, vessata più che mai dalle forze della natura, basti pensare
alla tragica alluvione del 1951, città situata nel cuore di quell’ampia zona
della Pianura Padana, che verso est si trasforma lentamente fino a diventare il
paesaggio ricco di fascino ineffabile e unico che è il delta del Po’, ha
ricevuto una sferzata di nuova vita culturale, di cui i rodigini non possono
che esserne fieri.
Con il pretesto della
mostra, si può cogliere l’occasione per scoprire una cittadina che, alacremente
da qualche anno, grazie a importanti lavori di ristrutturazione e di
riqualificazione, sta cambiando volto per venire incontro alle esigenze dei
suoi cittadini e soprattutto di quelle delle generazioni future, desiderose di
vivere in una città che sia culturalmente dinamica, vivace, moderna, rispettosa
delle diverse realtà etniche che la compongono e capace di attirare nel
territorio, la cui ricchezza sta essenzialmente nell’ agricoltura, nuovi
investimenti, lavoro e creatività.
Antonio Mancini, Il piccolo saltimbanco |
Dopo questa doverosa
digressione, perché l’arte non può essere disgiunta dal resto della vita, dalla
situazione sociale e dal territorio, pur rimanendone l’espressione più libera e
più nobile, concentriamoci su questa piacevole mostra che ha il merito di avere
esposto opere fino adesso sconosciute e raggruppato quadri di artisti italiani
che ebbero la fortuna di lavorare con la famosa Galleria Goupil di Parigi, o,
si potrebbe anche rovesciare il concetto, che loro stessi ne decretarono la
fortuna, nella seconda metà dell'Ottocento.
Dopo essere stati
virtualmente invitati a Palazzo Roverella da“Le due istitutrici” di Vittorio
Corcos, opera scelta come immagine della mostra, che, sedute tra le foglie
autunnali in contrasto armonico con un mazzo di fiori che riposano su una sedia
, unica vera macchia di colore tra tutto quel nero di prezioso taffetà delle
vesti severe, entriamo nella prima sala dove ci accoglie Giuseppe De Nittis.
Del pittore pugliese sono esposti una fotoincisione e alcuni quadri di serene
scene campestri.
Ecco poi
Giovanni Boldini, i cui “Les dames”,
“Berthe esce per la passeggiata”, “La visita” ci fanno assaporare l’atmosfera
leggera ed elegante delle Belle Epoque, e così la pittura diventa una
pennellata che tutto assorbe, vesti, parasoli, visi, fiori, gioielli, nastri,
piume. I contorni sfumano, come un sogno, un bel sogno.
Per la prima volta
ammiriamo, sempre di Boldini due opere provenienti da collezioni private:
“Confidance” e “Indolance”, i cui soggetti, giovani donne che suonano la lira o
distese su un letto si tengono languidamente abbracciate, sfiorano un raffinato
erotismo. Perfino il drappo rosso di un
mantello, buttato con nonchalance su una sedia, sembra ascoltare le due
ragazze, tanto è vivo e presente. Per non parlare di “Mademoiselle Marthe
Régner “ quasi ricoperta di petali di rosa danzanti, e lo sguardo civettuolo e
nello stesso tempo ingenuo della ballerina Clèo de Mérode che Boldini ritrae in
“Femme a la turquoise”.
Giovanni Boldini, Femme à la turquoise |
Anche di Vincenzo
Capobianchi è esposto per la prima volta “Il mercante di chitarre”.
Molto dannunziano è
il “Enfin…seuls!” di Edoardo Tofano, dove, su uno sfondo di cui nessun
centimetro è libero da rose, tendaggi, foglie di palme, specchi e ninnoli, una
coppia si abbraccia, godendo della propria intimità, finalmente.
A mio parere, la
stanza più interessante, è quella dedicata ad Antonio Mancini, allievo di
Domenico Morelli di cui è esposto, dopo settantotto anni il bel “La figlia di
Jairo”.
Mancini, nato nel
1852 a Roma, ci trasporta in un mondo che non è più quello dei contadini, come
“La strada da Napoli a Brindisi” di De Nittis, o dei soggetti cari all’ art
noveau che dipinge Boldini, ma diventa ricerca del vero in quei bambini
saltimbanchi, dai visi belli e già vissuti, che se ne stanno ritti, un po'
impacciati e un po' con aria di sfida, con le loro gambette magre ricoperte di
calzamaglie bianco rosate e ci guardano senza vederci, perché i loro occhi
tristi sembrano cercare qualcosa che non hanno più, o mai hanno avuto.
Notevoli tutte le
opere da “Lo scolaro” a “La bolla di sapone”, a “Saltimbanco con cesta di
frutta”, tanti piccoli Pierrot di un circo fantastico e perduto.
La mostra è divisa
poi in “Artisti senza contratto” quelli di cui la Galleria Goupil acquistò solo
poche opere o semplicemente i diritti di riproduzione senza contratti di
esclusiva, come Mosè Bianchi, Teofilo Patini, Eugenio De Blaas di cui ammiriamo
il bel “Pulcinella in convento”.
Poi si passa a “Gli
artisti meridionali”: “Il viatico dell’orfana “ di Gioacchino Toma, “Il pranzo
di nozze” di Francesco Paolo Michetti, il pregevolissimo “Uno sposalizio in
Basilicata” di Giacomo Di Chirico, quest’ultimo acquistato da Goupil durante
l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli nel 1877, dove si era recato su
invito di Domenico Morelli ed esposto qui per la prima volta, dopo un fortuito
ritrovamento in Messico.
La mostra alla fine
ci lascia piacevolmente soddisfatti, anche se tutto quello che abbiamo visto fa
parte del passato, ma è sulla sua eredità
che si costruisce il nostro avvenire,
che a sua volta diventerà anch'esso passato, quindi, possiamo affermare
che tutta l'Arte è modernità che viene da lontano.
Giacomo Di Chirico, Sposalizio in Basilicata |
Senza Arte la nostra civiltà e il nostro
futuro sarebbero a rischio, allora chiediamo a chi se ne occupa, di tenerla
sempre viva, di promuoverla, diffonderla, rispettarla. Vedere una bella mostra è come un toccasana,
un arricchimento per lo spirito, una certezza di educazione e di cultura, una
speranza che i valori positivi della nostra civiltà si tramandino nel tempo.
Aspettiamo con
fiducia la prossima mostra, a Palazzo Roverella, in quel di Rovigo, che
Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso descrive come «la terra il cui produr di
rose / le dié piacevol nome in greche voci».
cliccare sulle immagini per ingrandirle...
Daria D.
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