17 giugno, 2013

“Il successo italiano a Parigi. Negli anni dell’Impressionismo: La maison Goupil”. Di Daria D.


Palazzo Roverella, Rovigo. Dal 23 febbraio al 23 giugno 2013

Il Palazzo Roverella, sede della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, ospita dal 23 febbraio al 23 giugno 2013 la mostra “Il successo italiano a Parigi. Negli anni dell’Impressionismo: La Maison Goupil”, curata da Paolo Serafini e promossa dal Comune e dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Da quando l’imponente palazzo della fine del mille quattrocento è stato ristrutturato, agli inizi del duemila, Rovigo, vessata più che mai dalle forze della natura, basti pensare alla tragica alluvione del 1951, città situata nel cuore di quell’ampia zona della Pianura Padana, che verso est si trasforma lentamente fino a diventare il paesaggio ricco di fascino ineffabile e unico che è il delta del Po’, ha ricevuto una sferzata di nuova vita culturale, di cui i rodigini non possono che esserne fieri.
Con il pretesto della mostra, si può cogliere l’occasione per scoprire una cittadina che, alacremente da qualche anno, grazie a importanti lavori di ristrutturazione e di riqualificazione, sta cambiando volto per venire incontro alle esigenze dei suoi cittadini e soprattutto di quelle delle generazioni future, desiderose di vivere in una città che sia culturalmente dinamica, vivace, moderna, rispettosa delle diverse realtà etniche che la compongono e capace di attirare nel territorio, la cui ricchezza sta essenzialmente nell’ agricoltura, nuovi investimenti, lavoro e creatività.
Antonio Mancini, Il piccolo saltimbanco
Dopo questa doverosa digressione, perché l’arte non può essere disgiunta dal resto della vita, dalla situazione sociale e dal territorio, pur rimanendone l’espressione più libera e più nobile, concentriamoci su questa piacevole mostra che ha il merito di avere esposto opere fino adesso sconosciute e raggruppato quadri di artisti italiani che ebbero la fortuna di lavorare con la famosa Galleria Goupil di Parigi, o, si potrebbe anche rovesciare il concetto, che loro stessi ne decretarono la fortuna, nella seconda metà dell'Ottocento.
Dopo essere stati virtualmente invitati a Palazzo Roverella da“Le due istitutrici” di Vittorio Corcos, opera scelta come immagine della mostra, che, sedute tra le foglie autunnali in contrasto armonico con un mazzo di fiori che riposano su una sedia , unica vera macchia di colore tra tutto quel nero di prezioso taffetà delle vesti severe, entriamo nella prima sala dove ci accoglie Giuseppe De Nittis. Del pittore pugliese sono esposti una fotoincisione e alcuni quadri di serene scene campestri.
Ecco poi Giovanni  Boldini, i cui “Les dames”, “Berthe esce per la passeggiata”, “La visita” ci fanno assaporare l’atmosfera leggera ed elegante delle Belle Epoque, e così la pittura diventa una pennellata che tutto assorbe, vesti, parasoli, visi, fiori, gioielli, nastri, piume. I contorni sfumano, come un sogno, un bel sogno.
Per la prima volta ammiriamo, sempre di Boldini due opere provenienti da collezioni private: “Confidance” e “Indolance”, i cui soggetti, giovani donne che suonano la lira o distese su un letto si tengono languidamente abbracciate, sfiorano un raffinato erotismo.  Perfino il drappo rosso di un mantello, buttato con nonchalance su una sedia, sembra ascoltare le due ragazze, tanto è vivo e presente. Per non parlare di “Mademoiselle Marthe Régner “ quasi ricoperta di petali di rosa danzanti, e lo sguardo civettuolo e nello stesso tempo ingenuo della ballerina Clèo de Mérode che Boldini ritrae in “Femme a la turquoise”.
Giovanni Boldini, Femme à la turquoise
Anche di Vincenzo Capobianchi è esposto per la prima volta “Il mercante di chitarre”.
Molto dannunziano è il “Enfin…seuls!” di Edoardo Tofano, dove, su uno sfondo di cui nessun centimetro è libero da rose, tendaggi, foglie di palme, specchi e ninnoli, una coppia si abbraccia, godendo della propria intimità, finalmente.
A mio parere, la stanza più interessante, è quella dedicata ad Antonio Mancini, allievo di Domenico Morelli di cui è esposto, dopo settantotto anni il bel “La figlia di Jairo”.
Mancini, nato nel 1852 a Roma, ci trasporta in un mondo che non è più quello dei contadini, come “La strada da Napoli a Brindisi” di De Nittis, o dei soggetti cari all’ art noveau che dipinge Boldini, ma diventa ricerca del vero in quei bambini saltimbanchi, dai visi belli e già vissuti, che se ne stanno ritti, un po' impacciati e un po' con aria di sfida, con le loro gambette magre ricoperte di calzamaglie bianco rosate e ci guardano senza vederci, perché i loro occhi tristi sembrano cercare qualcosa che non hanno più, o mai hanno avuto.
Notevoli tutte le opere da “Lo scolaro” a “La bolla di sapone”, a “Saltimbanco con cesta di frutta”, tanti piccoli Pierrot di un circo fantastico e perduto.
La mostra è divisa poi in “Artisti senza contratto” quelli di cui la Galleria Goupil acquistò solo poche opere o semplicemente i diritti di riproduzione senza contratti di esclusiva, come Mosè Bianchi, Teofilo Patini, Eugenio De Blaas di cui ammiriamo il bel “Pulcinella in convento”.
Poi si passa a “Gli artisti meridionali”: “Il viatico dell’orfana “ di Gioacchino Toma, “Il pranzo di nozze” di Francesco Paolo Michetti, il pregevolissimo “Uno sposalizio in Basilicata” di Giacomo Di Chirico, quest’ultimo acquistato da Goupil durante l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli nel 1877, dove si era recato su invito di Domenico Morelli ed esposto qui per la prima volta, dopo un fortuito ritrovamento in Messico.
La mostra alla fine ci lascia piacevolmente soddisfatti, anche se tutto quello che abbiamo visto fa parte del passato, ma è sulla sua eredità  che si costruisce il nostro avvenire,  che a sua volta diventerà anch'esso passato, quindi, possiamo affermare che tutta l'Arte è modernità che viene da lontano.
Giacomo Di Chirico, Sposalizio in Basilicata
 Senza Arte la nostra civiltà e il nostro futuro sarebbero a rischio, allora chiediamo a chi se ne occupa, di tenerla sempre viva, di promuoverla, diffonderla, rispettarla.  Vedere una bella mostra è come un toccasana, un arricchimento per lo spirito, una certezza di educazione e di cultura, una speranza che i valori positivi della nostra civiltà si tramandino nel tempo.
Aspettiamo con fiducia la prossima mostra, a Palazzo Roverella, in quel di Rovigo, che Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso descrive come «la terra il cui produr di rose / le dié piacevol nome in greche voci».

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Daria D.

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