Teatro
Sala Fontana, Milano. Dall’11 al 23 giugno
2013
Foto Stefania Ciocca |
Nella sala buia una
chitarra rock comincia a diffondere note trascinanti e disperate, “ondate di
paura” di Lou Reed. In questo modo, il regista e interprete Roberto Trifirò introduce
il suo personaggio, ma non facendolo uscire da una botola nel pavimento dove
invece si calerà alla fine della sua confessione di memorie, ma avanzando dal
fondo, lungo il corridoio della platea.
Da dove è venuto? Dalla strada? Dal gabinetto? Era seduto insieme a noi,
alle nostre spalle? O era già dentro il
nostro inconscio?
Sale sul palco che
l’interessante scenografia “homeless” di
Gianni Carluccio ha “distrutto e mortificato” con un tappeto di cartoni, quelli che si mettono nelle cantine
contro la muffa, o ci dormono sopra i senza tetto e con strati di polvere che ricopre
silenziosa e leggera ma visibile quattro tavoli speculari, quattro immaginari
ambienti, conquiste inutili, ma pur sempre conquiste, e si confessa a noi,
spogliato dei suoi abiti se non un paio di mutandoni di lana.
Parole dure da pronunciare davanti ad
estranei. E allora ci chiediamo che cosa avrà mai fatto quest’uomo del
sottosuolo per parlare così di se stesso.
Lui risponde con
“Godevo nel dare dispiacere a qualcuno….spaventavo i passeri e ne godevo”.
Una presentazione che dovrebbe rendercelo
antipatico, sgradevole appunto. Nelle parole, nei ricordi, c’è la
consapevolezza delle sue mancanze, dei suoi peccati, del suo non essere
diventato NULLA. Si rivolge a noi, ma in
realtà è a se stesso che parla, mica ci vede, non ci ascolterebbe nemmeno, se
gli rispondessimo. È come accartocciato
nel suo risentimento covato per quarant’anni nel sottosuolo. Ha cercato di
distruggere quei cartoni, per uscire allo scoperto, ma sono diventati il
terreno su cui si muove, saltella, corre, come un topolino da circo.
Foto Stefania Ciocca |
E ora? Che cosa vuole
fare? Sfogarsi o continuare a tenersi a
freno perché “sennò c’è il rischio che sbotti”? Ma non è quello che sta
facendo?
Un uomo pieno di
accidia, elucubrazioni, risentimento, figlio bastardo del positivismo, che
porta dentro il desiderio di umiliazione, di disperazione, di rovina, un punto
di vista molto realistico e pessimista.
Spietata risposta, la sua, all’ipocrita visione religiosa della bontà e
amore universale.
Quest’uomo, che
assomiglia a un topo che vive nelle fogne dell’inconscio collettivo, quello che
si nutre del buio, perché se è portato in superficie, ci sbatte in faccia le
nostre bassezze umane, depravazioni, impossibilità di amare, ha un senso
dell’autoironia molto feroce e un po' di vittimismo. Ma quella sua autoironia
travalica il sottosuolo e si sparge in mezzo a noi, e allora diventa un’accusa
all’umanità tutta.
Di quell’umanità del
sottosuolo fa parte la prostituta Liza, molto ben interpretata da Caterina
Bajetta, sensibile, mai volgare, eccessiva, quasi una recitazione
cinematografica, sembra un angelo caduto sulla terra proprio per incontrarsi
con il nostro protagonista. Due perdenti che uniscono i loro corpi, in silenzio,
in fretta, perché lui dice che all’uomo interessa “l’idea della conquista, non
l’avere conquistato”.
Foto Stefania Ciocca |
Trifirò ammette di
prediligere gli autori classici russi, e fa bene, ci fa bene vederli
rappresentati con sensibilità e finezza, rispetto e intelligenza, anche se
quello che mostrano non sempre ci piace, raramente diverte o ci rassicura. Ma
certamente ci fa riflettere e pensare.
Lasciare la sala con
in testa quella terribile domanda “Meglio una felicità a buon mercato o elevate
sofferenze?” e sentirla ancora echeggiare è la prova che i semi, se trovano
terreno fertile non possono che crescere, anche in silenzio, anche dove tutto
sembrava perduto. Come nel sottosuolo della vita.
Arrivederci alla
prossima stagione.
Daria D.
Memorie
del sottosuolo di Fȇdor Dostoevskij
Con
Roberto Trifirò e Caterina Bajetta
Regia
e drammaturgia di Roberto Trifirò
Installazione
scenica di Gianni Carluccio
Dall’11
al 23 giugno 2013 alla Teatro Sala
Fontana di Milano
Produzione
Elsinor
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