Il film diretto da Fernando Meirelles
è l’insieme di frammenti in cui l’uomo può decidere chi essere e come
relazionarsi all’altro. Quattro le storie che si incontrano e scontrano
continuamente; perché le linee in realtà non sono mai parallele. C’è sempre un
punto in cui convergono; ed è quello l’attimo in cui si deve decidere se vivere
e abbandonarsi al momento o scappare e chiudersi in se stessi.
Ognuno ha un proprio trascorso e
ciascuno imbocca quella strada coscientemente. C’è chi tradisce ed è invaso dai
sensi di colpa (Rachel Weisz) e chi, invece, prova a tenere un piede in due scarpe;
c’è chi fugge per dimenticare un torto (Maria Flor) e chi ne è stato causa (Anthony
Hopkins). C’è chi per diventare ricco vende il proprio corpo (Katrina Vasilieva),
a chi è disposto ad acquistarlo (Jude Law) e chi combatte la solitudine
immergendosi nella lettura (Gabriela Marcinkova), considerando la conoscenza
l’unica forma per combattere e vincere un mondo ormai marcio. C’è chi ama la
propria dipendente quanto la religione e resta nel silenzio pur di non peccare
(Jamel Debbouze), chi è terrorizzato dalla paura di sbagliare ancora (Ben
Foster), e chi ha la sfrontatezza di vivere attimi intensi ed emozioni forti. L’essere
umano è uno, nessuno e centomila, si sa: le sue sfumature sono innumerevoli. I
dubbi, le perplessità, le paure possono stravolgere e complicare ogni
situazione; possono rendere l’uomo vigliacco, incapace di agire o dire, possono
indurlo alla via dell’alcol e della solitudine pur di non guardare in faccia
una realtà e pur di evitare di affrontarla. I personaggi sono scomposti e particelle
di un insieme. Le linee di demarcazione sono sottili o nette e non valicabili.
Spesso è usato lo split screen: una tecnica di montaggio che divide lo schermo in piccoli monitor sovrapposti o allineati. Non poteva esserci scelta più appropriata: perché il ritratto psicologico e le vite che si mischiano e incastrano possono solo essere rappresentate così. Non c’è nulla di lineare nella mente di una persona, soprattutto se il cuore batte forte.
Spesso è usato lo split screen: una tecnica di montaggio che divide lo schermo in piccoli monitor sovrapposti o allineati. Non poteva esserci scelta più appropriata: perché il ritratto psicologico e le vite che si mischiano e incastrano possono solo essere rappresentate così. Non c’è nulla di lineare nella mente di una persona, soprattutto se il cuore batte forte.
Non c’è nulla
di razionale in certe scelte, o talvolta non c’è niente che non sia dettato da
un assoluto e determinatissimo raziocinio. <Disse una volta un saggio: se su
una strada incontri un bivio prendilo. > Questa è una frase che viene
pronunciata all’inizio e alla fine del film. Ma non c’è mai realmente qualcuno
a dirti quale strada bisogna scegliere in quell’incrocio. La psicanalista lo
ribadisce: è sempre il paziente che deve stabilire quale debba essere la sua
cernita. E può andar bene o andar male; ma si vive una volta solamente e non si
hanno troppe possibilità. Questo è un messaggio del film che risuona forte e
chiaro come un’eco. Vivere e non sopravvivere e avere il coraggio di mettersi
in gioco sempre. Rischiare, osare o lasciare il posto al prossimo giocatore
disposto a sedersi al tavolo e puntare. Forse una delle cose più complesse da
fare, soprattutto quando il dolore o i sensi di colpa ti logorano. L’idea
registica di far interpretare il film a visi noti quanto ad attori esordienti e
di girare tutto nel pentolone utilizzando come ulteriori ingredienti le loro
storie, fa sì che il risultato sia un bel piatto esteticamente, con dei sapori
particolari e apprezzabili, ma che allo stesso tempo lasci un minimo a
desiderare… Sarà che la prevedibilità del finale e delle singole conclusioni
dei subplot non poteva essere altrimenti e questo, purtroppo, fa perdere
l’effetto sorpresa a chi dall’altro lato si è seduto, ha indossato il
tovagliolo ed è pronto a degustare.
Francesca Saveria Cimmino
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