Milano,
Spazio Tertulliano. Dal 30 maggio al 2 giugno 2013
“Non nominare in nome
di Dio invano” dice il famoso comandamento.
Ora, lasciando da
parte citazioni altolocate e abusate, portiamo il concetto nel campo dell’arte,
e specificatamente a questo “Primo studio dedicato ai blues di Tennessee
Williams e ai detriti precipitati di un’America sciolta nel suo sogno”. Belle e
poetiche parole che leggiamo nel comunicato stampa, e che prosegue nel concetto
della follia e del decadimento, suscitandoci la curiosità di vedere lo
spettacolo.
Ma già dopo qualche
minuto, in cui un’attrice truccata come una bambola uscita da un bordello,
parodiando Blanche, o Tina o Willie riempie lo spazio con le sue risate
isteriche che purtroppo proseguiranno per tutto lo spettacolo, si capisce che
non sa di che ride, ma l’importante è recitare il cliché della pazza, (con
nostalgia pensiamo alla straordinaria
Vivien Leigh), capiamo che il nome di Tennessee Williams, anche se quel
“da” la dice lunga, o corta, è stato usato invano. Molto probabilmente solo come pretesto per
allestire uno spettacolo che non ha fuoco drammatico, blues ancora meno, e la
bellezza anche del degrado morale, degli
istinti brutali, della melanconia che sono alla base delle opere del grande
drammaturgo americano , nemmeno l’ombra. Per ciò il regista aveva messo le mani
avanti con quel “altri pretesti”. Ma non per questo dobbiamo scusare un'
operazione fallita.
Il Blues citato nel titolo, che è anche il titolo di una raccolta di 5 short
plays è rumore spiacevole che rimbomba nella sala, dietro l’alibi, cito di
nuovo, di “scritture sperimentali per chitarra elettronica, percussioni,
rumori”. Secondo me era solo una sega
che raschiava da qualche parte.
Il blues nelle opere di Williams è come una lullaby che ritma la disperazione, la
snervante attesa, gli amori, le follie dei suoi personaggi. Qui è assente. E poi, mi domando, perché voler vedere a tutti i costi bruttezza e
volgarità in questi uomini e donne del Sud dell'America che anche se disperati,
soli, malinconici, mantengono una loro dignità, eleganza e profondità?
Per questa ragione li ricordiamo tra i più belli di tutta la storia
della letteratura, del cinema e del teatro.
Quale attore non si è mai cimentato in uno di loro?
Le urla, le voci
sopra le righe, gli atteggiamenti volgari e caricati , la mancanza di
atmosfera, distruggono tutta la poesia che ci aspettavamo da uno spettacolo il
cui titolo è accattivante soprattutto grazie al nome del famoso Autore.
S’invitano i registi
e nuovi drammaturghi a non nominare invano Autori davanti ai quali dovrebbero
prostrarsi umilmente, lasciando da parte il proprio Ego. Naturalmente solo se
hanno desiderio di imparare, di migliorare e di darci dei bei prodotti, che ci lascino
dentro qualcosa di buono e di bello. Come fa per esempio Tennessee Williams.
Le critiche negative
servono anche a questo. A forza di
consensi e di autoesaltazioni non si va molto avanti e c’è il rischio di
ricadere negli stessi errori, che fanno tanto male all’Arte, oltre che a chi li
commette.
Daria D.
(RATHER
THAN) BLUES
Crediti
completi
interpreti:
Elena Russo Arman, Margherita Ortolani, Fabio Paroni
Dramaturg:
Francesca Marianna Consonni
Regia:
Giuseppe Isgrò
Produzione:
Phoebe Zeitgesist Teatro
Voci registrate: Sara Borsarelli, Nicola Russo -
Musiche: Alessandra Novaga
Suono,
missaggio: Giovanni Isgrò - Scene:
Giovanni De Francesco, Giuseppe Isgrò
Disegno
luci: Giuseppe Marzoli
Bambole
e pupazzi: Francesca Cianniello, Francesca Frigoli
Proiezioni
pellicola: Francesco Tartaglia
Assistente
alla regia: Rossana Abalsamo -
Attrezzista, tecnico: Gilles Ielo
Costumi
: Giuseppe Isgrò - Assistenti ai costumi :Vito Bartucca, Rossana Abalsamo,
Alberto Baraghini
RispondiEliminaLa bellezza e la freschezza dei blog è quella di poter esprimere idee e competenze appena raggiunte,sperando di partecipare a una più generale storia del dire,somma di tutti i detti e dei suoi opposti.Più in generale la possibilità che da' la rete di inventare identità e ruoli,stimola un processo di invenzione bellissimo,ancora più prezioso se agganciato alla realtà, poiché da essa trae veridicità:così,mentre noi sappiamo perfettamente chi sono Elena Russo Arman, Margherita Ortolani, Fabio Paroni e il regista Giuseppe Isgrò e possiamo di questi rintracciare i valori,i percorsi e le carriere,di Daria che scrive conosciamo solo i pareri.Tuttavia,per il fatto che quelle carriere esistono, anche i pareri di Daria sembrano esistere.Esistenti o meno, comunque sono importantissimi, perché partecipi di una più' generale funzione di creare e distribuire senso.Ecco dunque che si può approfittare dei pareri di Daria per dare senso a ciò che non lo ha. E' sfuggita a Daria, che sceglie gli spettacoli dai comunicati stampa e con essi verifica la giustezza del lavoro,che lo studio proposto s'intitolava Rather than...Forse notando la particella anziché venirne sedotta,la Daria avrebbe potuto intuire che un'istanza di trasformazione e risignificazione del testo era in atto fin dagli intenti e che forse in questo spettacolo sarebbero venute meno le certezze di genere, sia esso quello musicale che narrativo. Occorre dire teneramente a Daria che se si spara sull'arte un rimprovero di eccessiva appropriazione, autorappresentazione o autoesaltazione, esso casca nel vuoto, o nel pieno di tutte le forme di espressione artistica.Non c'è atto artistico che non sia generato da un ego irrequieto, analitico, animato da urgenza e necessità.La ricchezza e la forza dell'arte poi è non coincidere con quest'unico bisogno ma andare oltre.Ecco forse la differenza tra qualche riga anonima su un blog e un lavoro firmato e certificato dal se'. In un blog qualunque infatti si può fingere che l'arte sia oggettiva ed altissima, che Tennessee Williams lo sia, che esistano messinscene giuste, le più giuste per un modello giusto che può' essere letto solo così.In un lavoro artistico invece si dichiarano e ricercano identità e fonti, si fa un taglio nella propria cultura e nella propria competenza, dandosi un approdo che è un punto in più, un'evidenza e un'esistenza un metro più in la' di dove si stava prima, che piaccia o meno.
RispondiEliminaLa Daria dovrebbe quindi, invece di confrontarsi col Tennessee Williams del cuore suo che leggeva al liceo, o con i film che ha visto sul divano con i genitori con quelle belle attrici e quei bei attori ammantati di una delicatezza che oggi noi chiamiamo censura, confrontarsi con quello che ha visto. Così facendo sarà più chiaro ai lettori di Daria - se esistono- e a Daria stessa chi è Daria, quella Daria che quando sente della musica forte la chiama rumore assordante e spera che l'abbassino presto e che non disturbi i vicini,spera anche che non si dicano mai bestemmie e che non si rida convulsamente perchè per lei questo è per forza sinonimo di pazzia o isterismo e questo non va bene affatto. Una "bambola uscita da un bordello" è un modo possibile di descrivere una bambina adultizzata dalla sua esperienza grave, ma è un modo decisamente più volgare e impietoso,in quella maniera tipica di chi odia la volgarità e la capacità di non essere pietosi. "Prostrarsi umilmente davanti ai grandi autori "e vedere rispettata "la dignità" dei diseredati e dei bifolchi, personaggi che sono alla base di tutta la ricerca americana di genere dagli anni trenta ad oggi, tv commerciale compresa, sono poi gli ultimi due tratti di carattere della tenera, giovane vecchia Daria, che rimprovera al lavoro degli altri l'ego di cui lei stessa non riesce a non abusare. Con l'unica differenza che i Phoebe Zeitgeist comprendono una Daria possibile, una daria fatta d'aria e immaginano di volerle bene e forse un giorno di metterla sulla scena,riconoscendola in una Morgan o in una caffettiera di Tennessee,mentre Daria oggi non riconosce più nessun altro che se'